Qualche giorno fa ho compiuto gli anni. Mi succede tutti gli anni e dicono che sia una tradizione da mantenere più che si può, perciò cerco di rispettarla anche se a vederli crescere senza rallentare mai un po’ mi girano le balle, lo ammetto. È colpa di quella brutta abitudine che abbiamo di guardarci sempre indietro a vedere dov’eravamo e cosa abbiamo perso per strada, e ripetere con gli occhi bassi che non ci porteremo più la girella a scuola, non vivremo più l’emozione del primo bacio o della prima volta che sullo schermo è apparso il capoccione nero di Darth Fener (si, lo so, Vader, ma sticazzi, ho 42 anni e Fener me lo sono guadagnato. Fener! Fener!). E non che a guardare avanti le cose migliorino, c’è tutto un futuro in sottrazione ed esami della prostata a separarci da quel punto nero laggiù in fondo, che è solo un punto e speriamo che lo rimanga ancora per un bel po’, che quando ti avvicini abbastanza da capire cosa tiene in mano non dormi più.

I miei compleanni, da quando sono entrato negli -anta, hanno sempre fatto cagare. Il primo, quello importante, lo trascorsi a casa di una coppia di amici che si era scoppiata da poco, c’era un clima così triste che se fosse morto il gatto lo avrebbe migliorato. Il tavolo era pieno di patatine della lidl e bottiglie di spuma, mi sentivo alla festa delle medie quando me ne stavo in un angolo a guardare la bambina che mi piaceva circondata dalle sue amichette, e capivo che stava parlando di quanto era bello Sansonedicognome, che aveva gli occhi verdi e giocava da dio a pallone. Ad un certo punto mi sentii troppo al centro dell’attenzione, così mi alzai e spinsi la sedia contro la parete in fondo. La mia fidanzata mi guardò interrogativa per un momento, poi tornò a sfogliare il catalogo ikea, coadiuvata dalla sua amica.
Giurai a me stesso che non avrei permesso a nessuno mai più di rovinarmi un compleanno, piuttosto non lo avrei festeggiato, come d’altronde ho sempre fatto, ma l’anno successivo ci ricascai.

Come un domino, la stessa febbre che aveva scassato la coppia dei nostri amici contagiò noi, poi un’altra coppia, poi un’altra, e insomma che nel gennaio 2013 mi sono trovato a grattarmi la testa e osservare quell’ammasso di lamiera piegata che fino a cinque minuti prima era stato la mia relazione. Facile immaginare che l’umore non fosse proprio quello adatto ai festeggiamenti. Credo di avere passato il mio quarantunesimo compleanno in casa, seduto sul pavimento a piangermi in mano, in pigiama e con la barba di un mese, il sonno arretrato di quindici giorni e almeno un paio di chili sotto il mio peso forma. Non ricordo i dettagli né ci penso volentieri, ma credo che le mie prospettive per il futuro abbiano previsto, ad un certo punto, anche un episodio di Art Attack con Giovanni Mucciaccia che ci insegna a fare un nodo scorsoio alla corda e ad appenderla a un grosso ramo nel bosco.

Un netto miglioramento rispetto al compleanno precedente, comunque.

Adesso sono tornato a percorrere i binari placidi della mia vita di prima, senza grossi scossoni emotivi, faccio le cose che mi piacciono quando ne ho voglia, mi conto i capelli bianchi e li porto con un certo orgoglio, che almeno io i capelli ce li ho.

Qualche sera fa ero a una degustazione di scotch con un vecchio amico, gli raccontavo che il mio quarantaduesimo è stato particolarmente figo, un po’ perché 42 è la risposta alla domanda fondamentale e mica cazzi, è un’età che quelli come me si fanno tatuare su un braccio con una balena e un vaso di fiori accanto, un po’ perché cadeva di martedì, e io il martedì faccio le robe con Rubik Teatro, e la scorsa lezione ho portato il vino e la focaccia, Brodino ha portato la birra e i bicchieri e alle tre e mezza di mattina eravamo ancora tutti lì a raccontarcela.

“Io credo che quando puoi stare in un locale a bere un whisky più vecchio dei tuoi amici dovresti fermarti un momento a riflettere su quanto sei fortunato”, gli ho detto. “Perché trovarsi a proprio agio con persone tanto più giovani di te significa che o tu sei un coglione immaturo o loro sono delle persone molto intelligenti, e credo che nel mio caso la verità stia nel mezzo, che è comunque tanta roba. E inoltre significa che stai bevendo un distillato di qualità, e non la pisciazza che ti danno in certi locali.”

E insomma, ieri sera i miei amici del primo anno al corso di improvvisazione teatrale mi hanno organizzato una festa, coi regali e la pizzeria e il locale dove alla fine ti cacciano, proprio come quando andavo a scuola, ma senza quello stronzo di Sansonedicognome, e stavolta sono stato seduto in mezzo e ci sono stato bene, perché queste persone nuove che frequento sono davvero splendide e mi fanno sentire a casa, e vorrei mettermi lì e raccontare di tutti i momenti in cui da fuori non si capiva, ma dentro c’era Iggy Pop che si dimenava con indosso solo un paio di pantaloni neri, e non lo faccio solo perché sono troppi e poi preferisco tenermeli per me.
Dico solo che grazie, di nuovo, come tutte le settimane, ma un po’ di più, perché ogni volta mi sento sempre di più fra i miei simili.

Ora che la conosco posso affrontare il mio destino con leggerezza. Stamattina, mentre tagliavo l’erba nel prato sotto casa, cantavo, forte della mia nuova consapevolezza. Anche quando mi sono piantato la messuia in un piede, sapevo di non temere alcun dolore, e anche se mi faceva un male boia sorridevo.

Ma come ho potuto raggiungere un simile livello di saggezza, roba che neanche Neo dopo che è risorto?
Beh, è stato complicato, qualche giorno fa sono andato alla Fnac, e ho chiesto il libro che illustrasse la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto, ma la cassiera mi ha spedito nel reparto filosofia, e ci stavano facendo dei lavori, era tutto spostato. Ho trovato uno accanto all’altro la storia degli indiani d’America, l’autobiografia di Fabrizio Corona e un libro denuncia sulle collusioni fra mafia e governo, più un manuale di satanismo e il grande libro delle barzellette di Bramieri seconda edizione riveduta.

Ho capito che la Fnac non poteva darmi le risposte che cercavo, oltretutto i romanzi di Paolo Nori non li teneva, e di Culicchia aveva soltanto l’ultimo.
Me ne sono andato, ancora ignaro di ciò che mi riservava il destino, e ho provato da Mondadori.

Non ci entro mai volentieri in quella libreria, le edizioni che tiene sono poche e mal fornite, e a differenza della Fnac non cerca neanche di compensare offrendomi videogiochi e alta tecnologia. Ho dato un’occhiata alle riviste, non tanto per trovare una risposta alla domanda fondamentale sulla vita l’universo e tutto quanto, quanto per vedere se nell’ultimo numero di PSM c’erano dei demo per playstation che valessero i soldi dell’acquisto.

Per fortuna dall’altra parte della strada c’è la mia libreria preferita, dove sono entrato certo di ottenere soddisfazione. E infatti, poco dopo, avevo fra le mani il libro che contiene la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, sull’universo e tutto quanto.
Stamattina, seduto sul cesso, ho terminato le ultime quattro pagine, e finalmente posso dire di conoscere la risposta, ma c’è un altro problema che è sorto giusto all’ultima riga:
Cosa servono nel Ristorante Alla Fine Dell’Universo?

Oggi pomeriggio potrei scendere in città con largo anticipo, e andarmi a comprare il libro che risponderà a questa ulteriore domanda, e poi portarmelo alla partita.

Mi vedo già, ai cancelli, a cercare di spiegare al poliziotto le ragioni per cui sto cercando di introdurre un libro all’interno dello stadio.

Cos’è quello? Un libro. E cosa se ne fa? Lo leggo prima che cominci la partita. Non mi fido, lo apra per favore. Ecco, vede? Non c’è niente dentro. Come niente? E quelle parole? Sono il contenuto del libro. Secondo il nuovo regolamento bisogna controllare che non ci sia scritto niente di offensivo riguardo l’altra squadra o la Lega Calcio. Ma è un romanzo, è stato pubblicato anni fa, come può esserci qualcosa contro la Lega Calcio? Poche storie, si accomodi laggiù, il mio collega ispezionerà il contenuto del suo libro, e se è tutto in regola la lascerà andare.

E mi toccherà starmene fuori dallo stadio ad aspettare che il suo collega finisca di leggere tutto il libro. Sicuramente poi incapperò nel classico personaggio che ama leggere a tavola, quindi prima che cominci a ispezionarmelo dovrò aspettare che ordini una pizza, e poi vuoi che la mangi da solo? Caruso! Di Michele! La volete una pizza? Che pizza vi prendo? Quattro formaggi e? Margherita col tonno? E da bere? Va bene, cocacola per tutti.
Io ci potrei provare a inserirmi nell’ordinazione, visto che perderò l’incontro almeno riempirmi la pancia.. Ma il poliziotto sarà inflessibile, la pizza rientra in un’operazione di polizia, quindi il suo consumo è riservato ai tutori dell’ordine.

E mentre tutti saranno dentro ad applaudire la squadra che farà un figurone contro un avversario certamente non all’altezza, io dovrò star fuori ad aspettare il ragazzo delle pizze insieme a tre celerini, tutto perché non avrò voluto aspettare per conoscere la risposta alla domanda che viene dopo la domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto.

E’ il mio destino, lo affronterò sorridendo.

Mi sveglio con la cena di ieri sullo stomaco e in testa una canzone di Peppino Gagliardi. E non sono neanche le sette. Marzia è di sotto, fra poco andrà a lavorare, se mi alzo ora avrò davanti una giornata lunga da dedicare al cazzeggio più folle, rischio di annoiarmi.
Ci provo a dormire ancora un po’, ma Jack, che è rimasto ai piedi del letto fino a quel momento, comincia le sue pulizie mattutine leccando rumorosamente la brandina. Frug, frug, frug, frug, la sua lingua è inarrestabile, e quel rumore di grattugia umida mi impedisce di prendere sonno. Tanto vale alzarsi.
Colazione a tè e biscotti e Guida Galattica Per Autostoppisti, sempre sotto lo sguardo vigile del cane, aspetta l’uscita mattutina che seguirà, ma non disdegnerebbe un biscotto come anticipi di attenzioni. Gli concedo il coperchio e il fondo del barattolo di yogurt bianco, e sembra soddisfatto.
Mi vesto, andiamo a fare due corse sulla strada che costeggia i binari del treno. Ha piovuto a lungo ieri, e l’aria è bella fresca. Cerco di sintonizzarmi i pensieri su quel che dovrei scrivere una volta a casa, ma stamattina i miei circuiti sono in sciopero, non so proprio cosa succederà a Francesco una volta incontratosi con Maciste Contro Tutti. Pazienza, il mio romanzo non avrebbe visto la luce entro stasera in ogni caso.
Mi ricordo di avere lasciato il bucato nella lavatrice appena rientro in casa, così salgo a prenderlo e lo stendo in giardino, poi torno su e ne carico un altro. Non c’è molto da lavare, che lo finisca o meno il mio contributo ai lavori domestici non sarà granché. Però se stirassi quel che c’è già lavato..

Lanciato come un ciclista che ha preso male la curva e ha scavalcato un guard rail giù dallo Stelvio vado a prendere l’asse da stiro, il ferro, preparo tutto davanti al pici e faccio partire Gundam. Passerò un paio d’ore a stirare e ne approfitterò anche per guardarmi un po’ della roba accumulata. Sono troppo un grande!

Un’ora dopo ho stirato alla vivailparroco un paio di magliette, qualche calzino e delle mutande, più un asciugamano e un grembiule. Sono sfinito, le piege del tessuto non ne vogliono sapere di cedere sotto i colpi impietosi del mio ferro, la battaglia è impari, e le mie balle sono arrivate al limite della sopportazione. Oltretutto Gundam si sta rivelando una palla incredibile, i primi dieci episodi si possono riassumere con:

– la Base Bianca viene attaccata dai nemici;
– i profughi pensionati a bordo vogliono scendere;
– Peter Rey esce in battaglia col Gundam e gli apre un culo così (ai nemici, i pensionati sono sempre lì);
– il tenente Shea dell’esercito nemico dice che quel Mobil Suit è incredibile, ma la prossima volta lo sconfiggerà.

Vabbè, mettiemoci a fare qualcosa di serio.. Clic, klak, wrrr.. BZZAPP! BZZAPP! GNEOOWWW BOOOOM!! TATATATATATATA BANG BANG!! Complimenti! Hai sconfitto le forze nemiche! Prova il livello successivo! BADABUUM! SBRANG! PEM! PEM! TOTOOOM!