Questo articolo non l’ho scritto io, e si vede.
Lo ha scritto Buoni Presagi stamattina, e io l’ho letto in piedi, con un piede fuori dalla porta, sullo schermo del telefono mentre tornavo a lavorare. E non sono riuscito ad aspettare stasera per pubblicizzarlo come meritava, ho dovuto fare qualcosa subito, mi ha preso un’urgenza lì in piedi con un piede fuori dalla porta che quando ho visto che potevo ribloggarlo l’ho fatto subito, senza guardare come sarebbe venuto fuori, se da qualche parte i lettori avrebbero potuto capire che non l’avevo scritto io, anche se si vede, dai, quando mai ho scritto una roba così puntuale e completa? E poi alla fine non c’è scritto neanche belle merde.

Comunque niente, sono sempre felice di leggere cose di questo genere, anche quando sarebbe meglio che certe cose che spingono poi a scrivere cose di questo genere non succedessero proprio, e pazienza per le cose di questo genere che non si potrebbero più leggere, ma quando succedono è importante che ci sia qualcuno che ne sappia parlare e ti faccia pensare e incazzartici pure.

E magari pigliare la tua bella tastiera e scrivere due righe e spargere la voce.

(qui c’è l’introduzione, se non sapete in quale ginepraio vi state infilando)

Ragazzi, cominciamo male. Il post che segue è stato il primo che ho scritto, circa tre settimane fa, e dovrebbe essere il primo di una serie potenzialmente infinita che andrei preparando con pazienza certosina e tempo sufficiente grazie alla cadenza settimanale. Dopo questo ne ho già pronto almeno un altro, e un quarto già abbozzato, ma in questa settimana avrei dovuto lavorare al quinto episodio, o perlomeno completare il quarto, e invece lo sapete cos’ho fatto? Ho ammazzato mummie, vampiri e banditi sulle alture di Skyrim, e stamattina ero già bello pronto a saltare l’appuntamento con la rubrica musicale per vedere se riesco a installare xp su un portatile che gira sotto linux utilizzando l’unico ingresso disponibile, una chiavetta usb. Vabbè, vedremo come va, nel frattempo cuccatevi la prima puntata (cristo quanto sono anni ’80 stamattina!).

1.
Il mio viaggio parte da Genova, e non potrebbe essere altrimenti, visto che è la città cui, almeno culturalmente, appartengo. E poi buona parte dei miei viaggi reali partono da Genova, ed è stato così per tantissime persone, quando si viaggiava per nave verso paesi che non si sapevano neanche pronunciare e non ci si andava per fare i turisti. Insomma, Genova è una partenza perfetta per un viaggio, anche per uno musicale, che qui il difficile è trovare qualcuno che non ha mai suonato uno strumento.

Uno pensa a Genova e subito dice De Andrè, e verrebbe anche bene, che poi ci si può attaccare idealmente la Francia di Brassens, ma se partissi da lui dove starebbe la ricerca?

Ho deciso quindi di partire da Bruno Lauzi, che sebbene fosse nato in Eritrea è giustamente considerato uno dei fondatori della scuola genovese dei cantautori.

Una sera, saranno otto anni fa, mi trovavo alla festa di compleanno di Gino Paoli. Questo farebbe di me un vip, se non fosse che ero solo uno fra le migliaia di invitati, e che il genetliaco si teneva su un palco alla Festa dell’Unità, molto fuori l’area della festa, lontanissimo dall’area della festa, su una spianata di cemento che dovemmo camminare tutti per mezz’ora.

Una volta lì c’era una bella spiaggia, ci raccontò dal palco Gino Paoli, dove lui e i suoi amici andavano ad abbronzarsi e a rimorchiare. Probabilmente doveva essere quando Paoli e i suoi amici partecipavano al Festival di Sanremo, avevo pensato, che la distanza percorsa per raggiungere quel luogo mi faceva sentire più vicino alla città dei fiori che non a quella della Lanterna.

Poi aveva introdotto i suoi amici, venuti fin lì (in macchina, loro) per celebrare i settant’anni del cantautore, e ognuno aveva cantato uno o due pezzi.

C’era stato Baccini, quel noioso di Vittorio De Scalzi, ma su tutti mi ricordo di Bruno Lauzi.

Aveva questa voce potente, che non ti aspetteresti da un malato di parkinson, e infatti lo disse anche lui; poi fece un’altra battuta sulla sua malattia, non me la ricordo, ma ridemmo tutti, e pensai che sarà stato anche basso, ma piccolo proprio no, quello lì era un gigante.

Era un uomo divertente, esordì spacciandosi per cantante brasiliano, con un singolo in dialetto genovese, “U frigideiru”, si esibì al Derby di Milano come cabarettista, e me lo ricordo negli anni ’80 a fare da spalla a Francesco Salvi in un noir a puntate ambientato al Festival di Sanremo, all’interno di Megasalvishow.

Non era solo un cantante ironico, altrimenti sarebbe stato relegato nella categoria dei “cantanti demenziali” (definizione di per sé demenziale, visto che accomuna artisti diversissimi come Elio e le storie tese, Gigi Sabani e Checco Zalone): è stato interprete dei classici della canzone italiana, come Ritornerai, Amore Caro Amore Bello, ha scritto L’Appuntamento alla Vanoni, Piccolo Uomo a Mia Martini, Johnny Bassotto a Lino Toffolo, che poi è quella che conosco meglio, e la sua La Tartaruga mi ha accompagnato per tutta l’infanzia.

Quella che ho scelto come brano di partenza per il mio viaggio è una cover, che mi permetterà di uscire dall’Italia, imbarcarmi su una nave e attraversare l’oceano. La versione cantata da Lauzi non segue granché il testo originale, e fa parte di quel repertorio ironico che meglio rappresenta il personaggio in questione.

Ochei, la prima è andata. La prossima settimana saremo negli Stati Uniti, su ci sarebbe da scrivere per mesi, ma non mi voglio fossilizzare su un paese soltanto, quindi li affronteremo in maniera trasversale e ce ne andremo altrove, tanto al limite ci sarà tempo per tornarci. Se volete, intanto che aspettate, potete cercare di indovinare di chi parleremo mercoledì prossimo.

(continua)

Dopo la mia lettera di venerdì ecco arrivare pronta la risposta della Segreteria Nazionale del Coisp.
Non mi aspettavo niente di più, purtroppo, ed è per questo che ho deciso da subito di adottare un tono sarcastico e rinunciare al dialogo: da parte loro non ne ho visto alcuno.
Né ho intenzione di replicare, non ho altro da aggiungere di fronte alla cecità di queste belle persone.

 

Grazie per le belle parole. Non esiste la benché minima proporzione quantitativa tra le immagini esposte dal Coisp sul camion che gira a Genova in queste ore e gli undici anni di immagini che sono state proposte ovunque (forse lei non frequenta le manifestazioni) le dietrologie sugli infiltrati e le regie occulte e tutte le amenità sull’argomento, hanno sepolto la realtà dei fatti.

Siamo certi che la sua visione sull’argomento non sarà scalfita dalla nostra iniziativa che, dato il successo che sta riscuotendo, cercheremo di riproporre fino a quando l’espressione democratica “belle merde” le sarà consentita, noi  esprimeremo la nostra opinione.

Nelle nostre caserme  si pensa che “ci è andata bene” quando portiamo a casa la pelle. Liberissimo di continuare a credere altro.

La Segreteria Nazionale del Coisp

Qui il finale.

“Ottimo lavoro!” è l’oggetto dell’email che ho appena spedito al COISP, il sindacato di Polizia, che oggi ha affittato un camion pubblicitario per portare a spasso per le vie di Genova il suo manifesto commemorativo dei fatti del G8.

Sono fotografie delle devastazioni in città da parte dei manifestanti durante il vertice del 2001, corredate dallo slogan “L’estintore quale strumento di pace. Liberi di fare questo!”.

Non sto a raccontarvi come mi ha fatto sentire un gesto del genere, ma l’ho raccontato a loro, potete leggerlo qui sotto:

———————————————————————————

“Sentenze della Cassazione sulla Diaz: ora svoltiamo pagina e non fomentiamo l’odio nei confronti dei servitori dello Stato!

Questo l’ho trovato sulla prima riga del vostro comunicato stampa successivo alle sentenze sulla Diaz, e devo dire che mi ha trovato abbastanza d’accordo, l’odio nei confronti delle forze dell’ordine è sbagliato a prescindere dal loro comportamento, e poi ci si dimentica troppo facilmente di chi svolge il proprio dovere con impegno, e di quei poveracci che dentro la divisa ci hanno lasciato la pelle.
Certo, se da parte di chi ti difende ci fosse anche l’impegno a non scassarti di botte sarebbe tutto molto più facile, ma bisogna capirli, sono stressati, li insultano, qualcuno si prende anche degli sputi, e poi capita a tutti una giornata storta, no? E comunque la polizia al G8 non ha ammazzato nessuno, quelli sono stati i carabinieri!

Oggi invece leggo che il COISP di Genova, il sindacato di Polizia, ha affittato un camion pubblicitario e l’ha tappezzato di foto delle devastazioni compiute in quei giorni in città; lo slogan scelto a commento è una perla di stile: “L’estintore quale strumento di pace. Liberi di fare questo”.

Beh, ragazzi, tanto di cappello, davvero! La Polizia di Stato ha salvato la faccia tante volte che non si contano più: gli abusi del G8, i vari Cucchi e Aldrovandi, la cocaina che girava per le caserme, la mano pesante in Val Susa..  C’è sempre stato qualcun altro a cui dare la colpa, in qualche modo ve la siete sempre cavata, ci voleva una bella figura di merda dall’interno!

Perché se ci pensate è un vero colpo di genio: dopo le sentenze miti agli agenti per le torture alla Diaz e la sproporzione di quelle ai manifestanti per le vetrine spaccate, dopo la promozione sul campo di tutti i pezzi grossi coinvolti, dopo che l’opinione pubblica è riuscita in qualche modo a metabolizzare anche questa ennesima porcata, ecco che il COISP manda per strada il suo messaggio dove interpreta, pensa un po’, la parte della vittima. Le vittime! Non avete pensato di starvene zitti e ringraziare che anche stavolta v’è andata bene, no, macchè! A Genova si direbbe che avete “rimestato la merda col bacchetto”, e non credo di dovervi spiegare cosa significa.
Ma chi è stato quel mago del marketing che ha avuto questa bella pensata? Davvero, se avessi voluto infangare l’immagine della Polizia non avrei saputo scegliere un sistema più efficace che far circolare a Genova, nell’anniversario del G8, un’immagine che riporta alla memoria quei giorni in cui la giustizia non stava più dalla parte di nessuno, i pacifisti facevano la guerra e chi doveva proteggere i cittadini li massacrava.

Genova se le porta ancora addosso quelle ferite vecchie di undici anni, non c’è bisogno che qualcuno vada a buttarci del sale sopra, e soprattutto non che a buttarcelo sia una delle parti che quelle ferite le ha provocate. Volevate ricordare che i manifestanti erano brutti e cattivi? E volete ricordarcelo voi?? Ma credete di vivere in mezzo a dei deficienti o cosa? Va bene che a frequentare solo caserme poi uno si confonde, ma vi garantisco che qui fuori esistono anche dei cervelli funzionanti, ci sono persone in grado di ricordare quel che è successo, e se è il caso sbattervelo in faccia. Certo, non fa male come un tonfa (soprattutto quando impugnato al contrario), ma lascia delle ferite che ci mettono molto più tempo a rimarginarsi. Pensate se per le strade circolassero le foto di Alessandro Perugini, allora vice capo della Digos, mentre prende a calci in faccia un minorenne, peraltro tenuto fermo da due agenti, metti che non riesca a centrarlo. Pensate che bell’immagine a corredo delle assoluzioni, prescrizioni e insabbiamenti che hanno restituito al Corpo quel candore che in fondo sa benissimo di non meritare.

Oppure davvero l’intenzione del sindacato di polizia era quella di svergognare il corpo una volta per tutte, e far capire che la violenza eccessiva non è dovuta ad alcune mele marce nei reparti, ma è un sistema riconosciuto e giustificato, un valore da difendere, un diritto acquisito insieme alla divisa, e in culo al cittadino.

Per quel che mi riguarda ci siete riusciti, quel poco di rispetto che il G8 di Genova non era riuscito a strapparmi me l’ha portato via il vostro manifesto.
Belle merde.

Pablo Renzi


Qui la replica del COISP.
Qui l’ultimo capitolo.

Domani cominciano le mie ferie. Cioè, tecnicamente sono cominciate venerdì alle cinque quando sono uscito dal lavoro, ma funziona che sei in ferie quando dovresti essere al lavoro e non ci sei pur non essendo malato o finto tale, quindi è da domani che avrò un casino di tempo da dedicare ai lavori che mi sono lasciato indietro e che non possono proprio aspettare, tipo tagliare la legna e piantare i pali per stendere e segare l’erba, da domani, non da oggi, oggi non sono in ferie e quindi ho tutto il diritto di perdere il pomeriggio cazzeggiando.

Sono belle le domeniche trascorse nell’ozio, a godersi la tranquillità della via, solo qualche macchina in autostrada, nessuno che ti cerca, puoi cominciare un libro e addormentarti in mutande sul divano, o sulla sdraio in giardino.
Forse dovrei spiegarlo al mio vicino quanto sono belle le domeniche nell’ozio, che è da stamattina alle nove che ci dà di mazzetta per tirare giù una scala di mattoni e adesso che sono le tre del pomeriggio ha tirato fuori il martello elettrico e sta mandando a puttane la giornata a me e a El Bastardo qui accanto, che agita la coda nervosamente cercando di riaddormentarsi.

Qualche giorno fa mi sono arrivati per posta quattro librini dal Cino, che è il mio attuale editore, dato che pubblicherà il mio nuovo libro nella sua collana dal nome impossibile, Samis-qualcosa-at, Samis e una serie di consonanti, un nodo fonetico impossibile da sbrogliare, tipo Samis-dgtzv%simbolodibatman-at. Ho deciso di sostenere la sua politica di distribuzione clandestina, li leggerò e poi li abbandonerò per il mondo col sistema del bookcrossing, mi sembra un bel modo di far conoscere un libro, anche se temo che un settantacinquepercento di titoli abbandonati per strada finisca nella spazzatura senza passaggi intermedi: lettore abbandonatore / spazzino scoglionato / discarica. Non importa, credo sia giusto correre il rischio, così ho finito il primo, In Vece Di Un Addio, di Luigi Romolo Carrino, e poi l’ho lasciato su un muretto del teatro Carlo Felice ieri pomeriggio.
Ne ho approfittato per abbandonare anche una copia del mio primo libro, Acapistrani, in stazione Brignole sul binario diciotto.

Mi è piaciuto il libro di Carrino e mi sono sentito un po’ una merda a mollarlo su un muretto, ma bisogna provarlo questo bookcrossing per sapere se funziona, sono sicuro che anche il suo autore sarebbe d’accordo. È una persona molto alla mano, una volta mi ha pure offerto una cocacola.

Ieri mi sono portato anche Di Luce Nemmeno L’Ombra, di Antonio Koch, che è un autore che non conoscevo e che mi piace un casino, ha quel modo di scrivere che mi fa venir voglia di aggiungere qualche nota al blog e poi magari di raccogliere tutto in un libretto e pubblicarlo magari no, che quando scrivo pezzi senza lo scheletro, tipo questo, uno fa fatica a leggere e un libretto così magari non se lo comprerebbe, e di conseguenza un editore non ci si mette volentieri a stampare un libro che non vuole nessuno. Però potrei metterlo su issuu, che se lo leggerebbe giusto Misterteena, che lui le cose che scrivo le legge sempre tutte, anche quelle che fanno cagare, così poi può dirmi che gli hanno fatto anguscia e criticarmi un’ora, che si vede che un po’ ci gode.

Su issuu ho in mente di pubblicare il numero zero di una rivista fatta tutta da me, contenuti e impaginazione, che si chiama Plop! col punto esclamativo, ho già cominciato a scriverlo, ma poi mi sono accorto che la copertina mi fa l’effetto delle mie cose a Misterteena e mi sono arenato.

Ma ero rimasto a ieri, che all’andata ho letto il libro di Koch, ma al ritorno no, che nel mezzo fra i due viaggi sono stato in fumetteria dove ho speso due o tre fortune in fumetti di Garth Ennis, che al momento è il mio scrittore di fumetti preferito, ed è brutta come cosa perché oramai ho letto quasi tutto e non so più come farò dopo. Poi sono stato alla fnac, perché in fumetteria The Boys n.5 risultava esaurito e invece lì ce l’avevano ancora, e poi sono stato da Feltrinelli a prendere l’ultimo George Martin e a rischiare di portarmi via anche quello nuovo edito solo in inglese, che però non potrei neanche portarmelo in vacanza, che da solo pesa come una ruota dell’aereo, quindi o qualcuno mi regala un kindle da qui al sedici agosto oppure dovrò aspettare che esca in italiano diviso in tre volumi, cazzo di editori vampiri figli di troia che cercano di guadagnare tre volte sullo stesso titolo e io sapete cosa vi dico, che pubblico solo con editori clandestini e indipendenti come il Cino o come chi capiterà che avrà voglia di investire denari sulle mie seghe da tastiera, spero che facciate la fine di quello che state già facendo visto che in Italia ci sono più concorrenti al grandefratello che lettori di libri.

Nel frattempo il mio vicino deve avere imparato la bellezza del silenzio, perché non lo sento più.

Oppure è deceduto, metti che l’infermiera che abita dietro casa mia sia tornata stamattina dal turno di notte e si sia rotta le palle di trrrrrrrrraaaaaaaaaaaarrrrrrrrrrrrraaaaaaaaarrrrrrrraaatt e lo abbia ucciso in quella che diventerà la camera da letto, con un candelabro. Mentre il Colonnello Mustard lo teneva fermo.

A questo punto mi si presentano diverse opzioni: seguire il buon esempio di Frida, la nipotina adottiva di El Bastardo, che mi ronfa accanto tutta lunga sul copriletto; mettermi a scrivere quel racconto che non ha ancora un titolo né un finale e che per il momento si chiama Giulio Pennacchi Va Alla Guerra, perché per me Frank Miller ha scritto anche delle cose memorabili; continuare a leggere il libro di Koch, così da poterlo finire e mettere sotto quello di Ghezzi o quello del Cino; aprire quella cartella che so essere sotto questo foglio openoffice e che si chiama The Boys e vedere se il Piccolo Hughie ha altri posti interessanti da suggerire dopo aver eliminato tutti i G-Men ed essersi trombato per l’ennesima volta la pettoruta Annie.

Non so voi, ma io ho già deciso.

Splendiddio!

Allora, per l’assemblea di mercoledì direi di cominciare a stampare dei volantini, poi potremmo distribuirli in città. Io li posso portare nei licei. Bene, io allora vado alle facoltà di economia e commercio e di filosofia. Potremmo anche contattare quelli del referendum sull’acqua pubblica. Si, chiediamo se possono venire a spiegarci bene la questione, la gente ha bisogno di essere informata. Ma ragazzi, così non funziona però. Cosa? Questa cosa qui! Siamo quattro gatti, dovremmo essere di più! Beh, col tempo.. Ma che tempo! Io ho trent’anni e faccio un lavoro di merda sottopagato dodici ore al giorno! Io a questa cosa ci credo! Bisogna cambiare! Eh, infatti, siamo qui per questo. No! Ma dovremmo essere di più, capisci? Dovrebbe esserci tutta la città qui in piazza! Perché se vado a parlare con la gente ci sono un sacco di persone che si sono rotte i coglioni di questa situazione, e poi in piazza siamo solo sei o sette. Ma perché? Me lo spieghi perché? Beh, la gente va convinta, informata.. E si! È quel che sto dicendo! Va informata! Non dobbiamo stare qui a mugugnare, dobbiamo fare qualcosa di concreto! Bisogna svegliarla questa città! Infatti, stavamo dicendo di andare a distribuire dei volantini. Si, ma qui non bisogna stare a parlare, bisogna muoversi! Ci vuole qualcosa che attiri la folla in piazza! I volantini servono appunto a dire alla folla di venire in piazza. Ecco! I volantini! Stampiamo dei volantini! Basta parlare!

Gli italiani sono un popolo ben strano, gli aumenti le tasse e se ne stanno, gli metti un puttaniere come presidente e se ne stanno, glielo metti pregiudicato, mafioso, lo circondi di nostalgici del regime, piccoli e grandi delinquenti, e questi niente, imperterriti, al limite mugugnano al bar prima di aprire la Gazzetta e vedere se l’Inter si tiene Milito.
Poi scoppia la rivolta in Tunisia, e tutti dicono che eh, ci vorrebbe qui da noi, che questa classe politica sarebbe da mandare via a calci, però alla fine non succede niente. Scoppia la rivolta anche in Egitto, e tutti dai che forse è la volta che ci svegliamo, epperò niente neanche stavolta, l’Inter pare che Milito se lo tenga, vai un po’ a vedere chi compra il Milan.
Un giorno in Spagna, che ha un governo che magari non è il migliore del mondo, ma che qui ce lo sogniamo di notte, decidono che non si sentono abbastanza rappresentati, che la loro non è mica democrazia e scendono in piazza, e sono tanti.
Ora dico, la Spagna non ha un governo ridicolo come lo abbiamo noi, ha perfino un’opposizione reale, e sono tutti per strada a lamentarsi, possibile che noi no? A qualcuno viene su un conato di nazionalismo, che farsi superare dalla Libia ci sta, ma dalla Spagna no, eh?
Si sente in sottofondo l’inno nazionale, che nelle questioni di chi sia più figo fra gli stati europei è quello dei mondiali, e poo poppò poppo poo poo, ci si organizza per andare in piazza anche noi!

Oppure è solo finito il campionato e la sera non si aveva niente di meglio da fare, fatto sta che ci si dà appuntamento mercoledì 25 maggio in piazza De Ferrari.

Non è stato facile convincere le persone ad alzarsi dal divano, e le altre associazioni si sono messe subito di traverso, quelli della Sinistra Porcoddue non si sentono rappresentati dallo slogan e allora bisogna discutere di cosa scrivere sui cartelloni, sennò loro non ci vengono a far figure, e quelli dell’Opposizione Siamo Noi dicono che invece loro non sono d’accordo sul giorno, che il mercoledì hanno la partita a calcetto, poi ci sono quelli di Italia Svegliati che hanno dei dubbi su Piazza De Ferrari e vorrebbero fare il presidio alla stazione, mentre gli incazzati di Contro Tutti non vengono perché ci sono anche gli altri e loro contro-tutti-e-con-nessuno sennò devono cambiarsi il nome e allora bisogna fare una riunione di emergenza e fino alla settimana prossima non hanno tempo.

Insomma, alle nove in piazza ci siamo io, il Subcomandante e due ragazzi di un centro sociale che però hanno già detto di avere degli impegni. E basta.
Marzia parte subito con gli improperi danteschi, ahi genovesi popoli diversi, perché non sono io pel mondo spersa e invece sto qui insieme a voi morti di seghe? Ma io me ne vado a vivere in Olanda e vi frego tutti, merde!
“Guarda che così va a puttane l’endecasillabo”, commento, ma è inutile, quando parte per le sue crociate non ascolta più nessuno. Non mi resta che tirare fuori il picino e mettermi a cercare una rete wi-fi per giocare a elements.

Come tiro fuori il computer comincia ad arrivare gente, erano già tutti lì in attesa di un segno, hanno visto un tizio con gli occhiali e il portatile e si sono avvicinati convinti di essere al cospetto dell’organizzatore occulto.

No, guardi, io sono solo uno, l’organizzatore non so chi sia”, vorrei dire loro, ma Marzia è in piedi sul muretto ad arringare la folla col piglio del leader, la mia presenza è ormai superflua, qui si fa la rivoluzione senza alcuna distinzione e sembra già di sentire la tromba di Roy Paci scandire il ritmo della protesta.

Arriva un gruppetto e ci dice che il vero organizzatore è un ragazzo con la maglia gialla, guardate, è quello laggiù che sta stendendo manifesti. Ci uniamo al gruppo e transumiamo presso la “base”, seguiti da quelli che nel frattempo si sono aggregati.

In un attimo in piazza ci sono un centinaio di persone, hanno slogan sulle lenzuola, manifesti a pennarello, hanno la faccia da studenti, qualcuno ha portato la tenda, altri la birra, tutti quanti la curiosità di vedere cosa succede. Gira un tizio con una telecamera da reporter, intervista l’organizzatore, poi un punk, che fa sempre scena, poi sparisce, ed è l’unico contatto con l’informazione che il presidio ha in tutta la sera.

I ragazzi che hanno organizzato l’incontro tirano fuori due megafoni da bambini e chiedono ai presenti di sedersi, e la maggior parte lo fanno, poi si presentano e leggono il loro volantino, ma non si sente veramente un cazzo di quello che dicono, e la gente comincia a sbuffare.

Interviene qualcuno a lamentarsi della situazione italiana, gli organizzatori dicono che va bene, ma che ci vorrebbero delle idee, sennò stiamo in piazza a fare niente. Un tizio, che credo appartenga a un centro sociale, dice che bisogna fare casino in via XX Settembre, alla Regione, butta là un “saccheggiare” che non viene preso sul serio da nessuno. Ancora gli organizzatori apprezzano, ma non ci sarebbero idee migliori? Tipo come mantenere il presidio più a lungo?
Più che all’avanguardia di una rivoluzione sembra di essere ad un gruppo di autoaiuto, commenta qualcuno.
Una ragazza propone di portare strumenti e suonare, occupare la piazza occupando il tempo.

Poi prende la parola un ragazzo con la barba e i pantaloni col cavallo basso, alla turca, dice di essere appena arrivato e di non sapere cosa succede, però ha capito che a parte l’entusiasmo lì non c’è altro, e tira su un pippone sulla lotta di classe e su come ostacolare il potere colpendolo nel portafoglio. Restano tutti un po’ spiazzati, che ad alzarsi e dire che una manifestazione è male organizzata è capace chiunque, più complesso è suggerire qualcosa di concreto, ma poi viene fuori che il tizio appartiene al gruppo di Quelli Che Lo Hanno Fatto Prima E Meglio; è l’ultimo rappresentante della sinistra che mancava all’appello, ci si chiedeva che fine avesse fatto, qualcuno temeva uno scontro con le forze dell’ordine, che Quelli Che Lo Hanno Fatto Prima E Meglio ci si picchiano sempre con la polizia, fa parte del loro rito di riappropriazione del territorio. In effetti tendono a riappropriarsi sempre del territorio di cui si sta già riappropriando pacificamente qualcun altro, come se fosse l’unico territorio riappropriabile, e di solito finisce che il territorio poi viene riappropriato solo dai lacrimogeni e da qualche cassonetto ribaltato, e non resta che andare a riappropriarsi di un territorio un po’ più in là.
Cavallo Basso elenca i maggiori successi del suo gruppo d’azione, occupazione di scuole, autostrade, stazioni e autogrill, ma non devono essere stati particolarmente efficaci, perché alla fine l’Italia è nella stessa merda in cui si trovava quindici anni fa, grazie tante. Forse sarebbe ora di cambiare strategia.

Fa una comparsata anche Don Gallo, ma resta ai margini dell’assembramento, discute con qualcuno e poi va via senza prendere la parola. Peccato, magari poteva dare un po’ di slancio. Più probabilmente avrebbe tenuto banco fino allo sfinimento (suo o nostro) e si sarebbe dovuto strappargli il microfono a forza.

Verso le undici e mezza decidiamo che va bene così, il megafono passa di mano senza soste, ma nessuno ha ancora buttato giù un piano, anche di breve durata. Si parla di aggiornarsi a sabato sera, in piazza ci sarà anche una festa, si potrebbe cercare di usarla come trampolino. Più che altro si parla, si parla, ma di concreto poco.

E si che c’è appena stata la manifestazione degli operai di Fincantieri, ce ne sarebbe da fare, contattarli, farli venire a parlare, agganciarsi alle altre piazze d’Italia, visto che con le altre associazioni di Genova non c’è dialogo, che sono tutti degli snob di merda.

Speriamo che la notte porti consiglio..

Il nuovo disco di Vinicio Capossela si chiama Marinai, Profeti e Balene, un omaggio alla letteratura di mare, da Omero a Melville, ma c’è anche Celine, che è come incontrare Gargamella in pizzeria, e non è un caso che il tour prenda il via da Genova: il cantautore ha sempre dichiarato il proprio amore verso la città e il teatro Carlo Felice sembra fatto apposta per celebrare la navigazione d’altri tempi, col pubblico seduto sul ponte di una caravella, i suoni che rimbombano dal palco come dentro un secchio, il mal di mare che ti viene se pensi a quanto cazzo hai pagato il biglietto.

Anche il palco è allestito sullo stesso tema, i musicisti sono vestiti da marinai, c’è una prua sul palco (proprio davanti al mio posto, cristodio), il pennone dell’albero maestro fa da sfondo e le ossa della balena si aprono e si chiudono sulla testa di quello strano equipaggio. Il capitano della nave ha il tricorno in testa, è seduto al pianoforte illuminato da una candela, e appena si apre il sipario attacca con le canzoni dell’ultimo disco.

Ecco, Marinai Profeti E Balene non è immediato come Ovunque Proteggi, forse non ne possiede neanche la freschezza, ma non è neanche tetro come Da Solo, e dopo i primi due tre ascolti cominci a sospettare di essere davanti a un prodotto migliore, pieno di riferimenti letterari senza risultare pesante, stratificato come la millefoglie di cipolla, e quando arrivi a sentir suonare le conchiglie, le catene, una sega e il carillon più complicato del mondo il sospetto si tramuta in certezza, quello in copertina col cappello da Napoleone è un genio.

Ma dicevo del concerto, che scorre via come una fregata fra leviatani e sirene. Tutta la prima parte è occupata dalle canzoni nuove, d’altronde è un album doppio, e dai vecchi cappelli di Capossela, cui si aggiunge il tricorno che indossa nelle foto promozionali. Parla col pubblico senza esagerare, presenta il susafonista di altezza variabile, dice due parole sulle canzoni, ma è quasi esclusivamente musica, tanto che quando escono i coristi si limitano a muovere la bocca senza proferire alcun suono, lasciandoci tutti un po’ scossi. Scopriremo poi che c’era un problema fonico.

Solo alla fine della parte “concept” il cantante introduce il gruppo, e scopriamo che dietro le casse che abbiamo di fronte, dietro la prua della barca da cui ogni tanto va a cantare Capossela, ci sono altri due membri dell’orchestra, di cui uno con dei capelli pazzeschi, bianchi e riccioli e sparati in ciuffi che sfidano la gravità.

Comincia la seconda parte, quella dedicata ai “relitti che porta la risacca”. Una versione rallentata di Che Coss’è L’Amor, la sorpresa di Morna, che io e il Subcomandante ci guardiamo a bocca spalancata e poi lei muore di gioia, poi qualche altro pezzo nuovo, poi tutti in piedi per L’Uomo Vivo e Il Ballo Di San Vito, poi Camminante, che non sto neanche a riguardare il Subcom, la raggiungo all’altro mondo con un sorrisone in faccia. Chiude con Le Sirene, che più lo ascolto più credo che sia una perla.

Oggi tutte le mie certezze sulla musica stanno barcollando, non sono più sicuro neanche di chi sia il mio cantante preferito, ho solo voglia di sedermi da qualche parte e mettere su il mio ultimo acquisto. E non ho ancora visto l’altra cosa che mi sono comprato, il dvd del tour precedente, che ho già collocato fra i tre più bei concerti cui abbia mai assistito. Vi saprò dire..

“C’è Wu Ming al Buridda!”, mi annuncia il Subcomandante già in assetto da guerra, con borsa CCCP a tracolla e pipa di ordinanza. “Preparati che andiamo!”

“Al Buridda? Ma è un centro sociale Okkupa E Preokkupa! E se mi offrono una canna? E se arriva la polizia? E se offrono una canna alla polizia?”

Il Subcomandante mi percuote l’autostima col suo ricco epitetario, e in barba al freddo ci mettiamo in strada.

Appuntamento alle ottoemmezza sotto il Buridda, arriviamo prima e andiamo a mangiare farinata in un buco fighissimo stile bettolaccia alla buona. “Stile”, perché nonostante la cura dei particolari il listino prezzi è quello di un ristorante recensito dall’Espresso, uno di quei posti da comunisti ricchi dove una pizzetta formato panificio ti costa diecieuri belli secchi, roba che quando l’hanno portata alla signora impellicciata accanto a noi ancora un po’ sviene, che visto il prezzo si aspettava come minimo una ruota di camion.

Quando arriva Lucilla ci facciamo prelevare un rene per saldare il conto e ce ne andiamo al centro sociale.

Io conosco l’edificio per averlo frequentato ai tempi in cui ospitava la facoltà di economia, e lo trovo un po’ cambiato, ci sono scritte che allora non avevo notato, forse perché troppo affollato.

Eppure quel grosso cazzo multicolore di due metri per tre che campeggia all’ingresso credo che avrebbe attirato l’occhio anche allora..
Sono comunque sorpreso, mi aspettavo scritte tipo Sbirribastardi, o Mortealpapa, e invece niente, solo disegni e neanche malfatti. Vado in bagno e non c’è niente neanche lì. Per fortuna mi sono portato il pennarello e un paio di porchidii dietro la porta ce li aggiungo io.

Nella sala degli incontri si mangia della grossa, una quindicina di personaggi dall’aspetto tipico del centro sociale chiacchiera e sganascia. Lucilla si ferma a salutarne metà, dati i suoi trascorsi da scammurriata si è fatta parecchie amicizie.

Finalmente ci sediamo e si comincia, la sala è bella piena, arriva Wu Ming 1 accompagnato da un “esperto di cultura pop” o qualcosa del genere e da una che ha scritto un libro sul collettivo di scrittori. Vengono presentati, ma non si fa in tempo ad andare oltre che prende la parola un altro tizio allampanato, che sale sul palco e si presenta:
“Brutto stronzo di merda!”, dice al Wu Ming presente, e mi sa tanto che non è venuto a farsi autografare Manituana.

Insomma viene fuori che questo qui dieci anni fa ha scritto degli articoli critici “ma molto corretti” sui Wu Ming, e loro per ringraziarlo hanno dato il suo nome a un poliziotto bastardo in un film. L’ha presa poco sportivamente e da allora cerca di rompere i coglioni a tutte le presentazioni del collettivo che si tengono a Genova.
Per fare ciò legge una dichiarazione in cui spiega le sue ragioni e ogni tanto si volta verso l’invitato e lo rimanda a fare in culo.

Devo dire che la faccenda sembra interessante, la dichiarazione è esauriente e le sue ragioni non sembrano neanche tanto assurde, se riusciamo a dimenticarci che stiamo parlando di una vicenda vecchia di dieci anni e anche piuttosto ridicola, ma ognuno è padrone di offendersi come vuole, e alla fine gli faccio anche un applauso sincero: io non sarei stato capace di salire sul palco davanti a una folla ostile e prendermi una riga di insulti solo per dire la mia.

È che la cosa non si ferma lì, tra un vaffanculo di qua e un merda di là c’è sempre quello che esagera e la presentazione del libro finisce a manate in faccia, cadono i microfoni, le luci, la gente si alza e se ne va, questo che continua a urlare, quelli di là che gli dicono di tacere, Wu Ming e i suoi si scoglionano e se ne vanno prima di finire allo spiedo. 

Li imitiamo. Marzia è furibonda, che è uscita con la febbre per vedere i suoi scrittori preferiti e si è ritrovata con un pugno, e neanche di mosche; io devo dire che mi sono divertito, che vedere Ammaniti è stato simpatico, ma questa presentazione era molto più coinvolgente. Anche meglio del libro, direi!

Wu Ming

banner renzportDomenica viene il Papa a Genova. Non so in cosa consisterà la sua esibizione, perché quando c’era da scegliere se andare a vedere il Papa o i Pink Floyd ho preferito questi ultimi, forte del fatto che il Papa non fa volare maiali, mentre se non fossi andato a vedere i Pink Floyd sarebbero volate delle madonne.
Immagino comunque che il Pontefice si esibirà nel solito repertorio, difesa della famiglia, condanna della legge sull’aborto, preghiera ai fedeli e lancio di colombe come il miglior Silvan. Niente di eccezionale, ma la città è in subbuglio. Sono stati asportati alberi che potrebbero oscurare la vista del Pastore Tedesco, blindati portici e montate transenne, ricreando quell’atmosfera che tanto abbiamo apprezzato sette anni fa per il G8.
Non veniamo a facili conclusioni, questa volta le barriere non serviranno a proteggere Ratzy dalla folla, ma la folla stessa da quei gruppi eversivi e potenzialmente pericolosi che da tempo accompagnano il Papa nei suoi viaggi: i Papa Boys.

Chi sono costoro? Si tratta di facinorosi appassionati di due cose soltanto, la religione e la violenza smodata. Eccitati dalla figura del Pontefice, che hanno eletto loro guida spirituale, si raccolgono in squadracce di ultras che adottano la scusa del pellegrinaggio per seminare il terrore in giro per il mondo.
La polizia li tiene sotto controllo durante i loro spostamenti, monitorando i treni speciali di cui si servono e scortando i pullman in giro per le autostrade. Tutti ricordano quel tragico episodio di qualche anno fa, quando un gruppo di Papa Boys si incontrò all’autogrill con una comitiva di Hare Krishna: settanta feriti, di cui una decina costretti al ricovero ospedaliero per ferite da rosario e tamburello, danni alle strutture, centinaia gli automobilisti coinvolti nella rissa più spaventosa che la storia moderna ricordi.
Il fatto è che gli Hare Krishna sono considerati dai Papa Boys i loro nemici peggiori, a causa della testa rasata, che li etichetta automaticamente come skinheads.

Come detto, questi holygans sono presenti ovunque alle esibizioni papali, si occupano del servizio d’ordine schierandosi sotto il palco, e sostengono il loro idolo dalle curve, intonando cori e sventolando bandiere e striscioni.
Sovente eccedono, ed è frequente trovare i capi storici delle varie fazioni sottoposti a divieto di frequentazione, costretti a presentarsi in caserma negli orari di messa. Succede allora che i loro compagni espongano striscioni che recitano “Beniamino e Pio liberi”, “Libertà per i focolarini”, “Diffidati” e altri slogan del genere.

Questa domenica Genova sarà sottoposta a un’altra dura prova. Sinceramente non credo che delle transenne, o qualche poliziotto in più, possano scoraggiare chi ha fatto della preghiera d’azione una ragione di vita, e temo che ancora una volta sentiremo intonare le loro macabre canzoni per le strade della città:

Siam venuti fin qua
Per vedere pregar
Benedetto che va
Verso la santità
Siam venuti fin qua..