Sabato 4 agosto

Con enorme sprezzo del pericolo sono riuscito a importare illegalmente un pezzo di pecorino sardo stagionato, con cui ho in mente di produrre un ordigno rudimentale in grado di sconquassare la routine gastronomica di casa. Per completare la ricetta ho bisogno di altri due ingredienti, basilico e pinoli, e nei supermercati che ho visitato non ce n’è traccia. Il parmigiano se l’è portato Shasha dall’ultimo viaggio in Italia, è un po’ asciutto, ma lo faremo andar bene.

La complice delle mie diavolerie gastronomiche dice che c’è un posto dalle parti di Sanlitun, un grosso mercato di verdura fresca. È un po’ lontano, ma dovremmo trovare tutto quello che ci occorre, così sfidiamo il gran caldo e andiamo a prendere l’autobus.

Non ero mai salito su un autobus pechinese, in genere mi sposto in metropolitana perché è più facile pianificare l’itinerario, essendo le mappe bilingue. Leggere un cartello alla fermata del bus è come trovarsi di fronte una tavoletta in caratteri cuneiformi, o conosci il cinese o non c’è verso.

Lungo tutto il percorso mi comporto come un bambino noioso con la mamma, punto il dito su ogni edificio dalla forma inconsueta e chiedo a Shasha cosa c’è dentro. Considerato che a Pechino un palazzo su tre sembra un’astronave o un quadro di Escher faccio prestissimo a esaurire la pazienza della mia accompagnatrice, e di lì in poi sono costretto a tirare a indovinare. Grazie alla mia fervida immaginazione sono quasi sicuro di avere superato lungo la via: una chiesa raeliana con annesso ristorante sul campanile, un acquario con vasca sulla facciata dove nuotano le balene, la sede del Movimento Clandestino Per La Liberazione Delle Peonie, la villa dove abita il famoso miliardario cinese Hans Delbruck Chan, una pizzeria.

Giunti a destinazione iniziamo a vagare lungo il marciapiede per trovare il posto, che non è segnato da nessun cartello. Proviamo a seguire la puzza di verdura marcia, ci infiliamo in un vicolo e superiamo una parata di bidoni maleodoranti, scavalchiamo una pozza di liquame e capiamo di averlo trovato, e di essere entrati dall’ingresso delle merci.
Dentro è come ti aspetteresti di trovare un mercato, solo molto più grosso. Ci sono decine di banchi di pesce ricolmi di creature gigantesche, pezzi di animali sconosciuti, robe viscide di cui finora avevo solo letto in qualche racconto di Lovecraft, stomaci grandi come bagagliai ricolmi di mani e piedi e frammenti di arpione. Inutile dire che comprerei tutto e mi viene immediatamente una voglia pazzesca di sushi.
Dopo il pesce la carne, e quella non mi ha stupito più di tanto, insomma, una volta macellata qualsiasi bestia perde parecchio del proprio fascino. Comunque ce n’è tanta, e molto grossa.
Dopo la carne entriamo nella giungla della verdura. I colori sono vividi e ti colpiscono in faccia, le zucchine sono grosse come estintori, la frutta sembra tutta finta per quanto è perfetta e lucida. Penso subito agli ogm, è il mio pregiudizio sulla Cina, per me un paese che non rispetta i diritti umani commette tutte le cattiverie immaginabili, compreso raccontarti il finale delle serie tv. In realtà, pur essendo all’avanguardia nella ricerca in quel campo la popolazione cinese guarda con diffidenza alle colture geneticamente modificate, e il suo utilizzo è ad oggi molto limitato. Inoltre la Cina orientale è uno dei territori più fertili del mondo, e garantisce fino a due raccolti di riso all’anno, quindi magari non ha bisogno di additivi chimici per produrre zucchine grosse come la mia minchia coscia.

Compriamo del basilico, anche lui purtroppo vittima dello stesso gigantismo, e un po’ di pinoli. La signora al banco intuisce i nostri piani e ci offre un barattolo di pesto già pronto, ma se devi comprare del pesto industriale è bene sapere che ne esistono di due tipi: uno è quello prodotto da Novella, a Sori; l’altro è quello da non comprare.

Vi prego di notare le dimensioni delle carote

Andiamo a pranzo in una birreria di vecchia conoscenza, Great Leap Brewing, e ci sfondiamo di hamburger.
La prima volta eravamo stati in un piccolo locale nascosto in un hutong, dove non servivano cibo. Qui fanno anche dell’ottima carne, e l’ambiente è più spartano.
La cosa migliore di questa catena di bar è la grafica di magliette e sottobicchieri, ispirata alla propaganda russa degli anni ’20.
Anche il nome è di chiara ispirazione politica, ma l’ho scoperto solo di recente, documentandomi sul governo di Mao mentre scrivevo questo diario.

La mia birreria preferita fuori dall’Italia

A proposito, per scrivere questi post mi sono affidato molto alle mie impressioni e ho cercato di colmare le mie lacune leggendo in giro per la rete, ma ci sono grosse probabilità che abbia scritto anche un mucchio di cazzate. Se ritenete che ci siano delle inesattezze, o volete aggiungere qualcosa di vostro scrivetemi, sarò felice di correggere gli errori e imparare qualcosa.

Già che siamo in giro ci dedichiamo a un po’ di shopping sfaccendato dentro qualche centro commerciale, e in pratica con una cinquantina di euri mi rifaccio il guardaroba.

Trovo anche un bellissimo modello del Millennium Falcon coi mattoncini uguali identici ai Lego, ma falsi. Oddio, l’azienda che li produce si chiama Lepin e ha pure un sito e vende in tutto il mondo, perciò se sono falsi sono falsi ufficiali, ma quando vedi la linea dedicata a Star Wnrs non puoi che inchinarti alla sfacciataggine.

Bisognerebbe dedicare un articolo ai bellissimi falsi cinesi

Il nostro sabato di relax si conclude da Genki Sushi a Chongwenmen, non lontano da casa. Sul trenino dell’orso mangione scorrono diverse qualità di cibo indicate dal colore del piattino, un menu davanti al tavolo ti mostra tutti i prezzi. Una piccola spillatrice di acqua calda ti permette di riempirti il bicchiere, che puoi trasformare in tè macha con la polverina verde a disposizione sul tavolo.

 

Domenica 5 agosto

Ci si alza presto e si raggiunge l’hotel, dove siamo attesi da un paio di colleghe di Shasha e un minivan con autista per andare a Mutianyu, una settantina di chilometri a nord di Pechino, a vedere un pezzo della Grande Muraglia.

Quello di Mutianyu non è il tratto più visitato di quest’opera architettonica che sta tra il vabbè e il cioè-ma-ci-rendiamo-conto-di-cos’hanno-costruito, alla stessa distanza dal centro di Pechino sorge il complesso di Badaling, molto più conosciuto e affollato. Siccome stare in coda è brutto, ma starci schiacciati su un muretto in salita in cima a un monte è pure peggio, l’idea di andare a Badaling non ci sfiora neanche per sbaglio. 

L’ingresso dell’area di Mutianyu

Non che qui non ci sia nessuno, all’arrivo il piazzale è pieno di pullman e gente in coda per fare il biglietto, e una volta raggiunta l’area da cui si diramano i sentieri e parte la seggiovia devi attraversare una distesa di negozietti di magliette e collanine e ti scrivo il nome e magneti e burger king, ma almeno sulle mura sei relativamente libero di muoverti e fare qualche foto decente.

Se uno vuole davvero godersi la Muraglia da solo hahahahaha! Ma sei serio? Da solo? In Cina? Hahahahaha! Comunque, se uno volesse visitare delle aree meno affollate dovrebbe allontanarsi di più dalla città, verso est: Jiankou, Gubeikou, Simatai e Jinshanling sono più difficili da raggiungere, offrono meno servizi e mantengono ancora l’aspetto originario. La più lontana dista due ore e mezza di macchina dalla città, niente di impossibile, ed è considerata la migliore.

Mutianyu è la scelta migliore fra quelle più facili, diciamo. Arrivi in cima e hai un percorso in entrambe le direzioni che si snoda lungo la cresta del monte: noi siamo andati a destra, ma ho scoperto dopo che a sinistra è meglio, più autentico, dicono. Non so cosa ci sia di autentico in una struttura ricostruita completamente nel 1986, ma quel che vedi è una copia esatta di quel che c’era prima, quindi fidati, è meglio a sinistra. Va detto che alla fine del percorso di destra arrivi a una torre, tipo la quarta da dove sei partito, da cui non si può proseguire perché il resto della costruzione non è stato restaurato. Da una delle finestre riesci a vedere davanti a te la sezione originale, ed è identica a quella su cui ti trovi tu, ma coperta di erbacce.

La parte non restaurata sarebbe proibita al pubblico, ma se ti ci avventuri nessuno viene a fermarti.

La sezione di Muraglia che si sviluppa sulla sinistra dal punto di partenza comprende la sciocchezza di 23 torri: intuisco che a incamminarsi in quella direzione si può andare avanti fino alla completa perdita delle forze, svenimento, attesa dei soccorsi che ne hanno per le balle di farsi tutta quella strada per recuperare un turista cretino, e morte lenta ma felice sui gradini, osservando un panorama unico al mondo.

Perché, diciamocelo, la Grande Muraglia è soprattutto un grande sbattimento: certe scalinate sono quasi verticali, coi gradini alti e senza niente a cui appoggiarti, e se ci vai ad agosto come ho fatto io devi anche tenere conto del caldo feroce.

Però ne vale la pena: una biscia di pietra si allunga sui monti fin dove riesci a vedere, ti senti all’interno di una qualche saga epica. Se poi sei quel tipo di persona là è un attimo immaginarsi le armate di Saruman che tengono sotto assedio il Fosso di Helm. Mi sono voltato verso la mia fidanzata e, nel tono più enfatico possibile, le ho detto “Cavalca con me”.
Lei ha capito un’altra cosa e mi ha tirato le mutande.

Il lato che va avanti per sempre. Un turista tedesco in forma ha iniziato a camminare in quella direzione ed è arrivato a Busalla.

Oltre che per essere il più lungo pezzo di Muraglia restaurato, la sezione di Mutianyu si distingue dalle altre anche per il fatto che i suoi parapetti sono merlati, cosa che obbligava i soldati che si occupavano della sua manutenzione a pulire mooolti più angoli. Oggi questo compito è affidato ad alcuni inservienti piuttosto anziani, che se la percorrono tutta avanti e indietro con la scopa e la paletta.

Quando arrivi al punto che le tue ginocchia ti fanno scrivere dal loro avvocato è il momento di decidere come scendere a valle:
farla a piedi a quel punto o sei Messner o sei scemo, quindi la scelta rimane fra la seggiovia dell’andata o un emozionante toboga. È un lunghissimo scivolo in metallo che affronti seduto su uno slittino di plastica dotato di un’unica leva: se la spingi avanti sollevi i freni e lo slittino prende velocità. Quanto possa andare veloce non lo so, perché essendo lo scivolo sempre molto affollato si è rivelata una lunga processione di slittini che andavano pianissimo, ma trovandomi fra due membri del mio gruppo ho potuto fermarmi ad aspettare chi stava dietro e recuperare in volata la distanza con chi avevo davanti, e ho capito che gli slittini possono raggiungere anche velocità da fratture scomposte.

Lo scivolo visto dalla seggiovia

Il consiglio più importante che mi sento di darvi, se doveste visitare la Grande Muraglia, è di portarvi una maglietta di ricambio. Mi ringrazierete.

Peraltro qui ho provato per la prima volta l’esperienza della celebrità, una cosa che a Pechino succede di rado.

Ero seduto su un muretto nel piazzale degli autobus, in attesa che i miei compagni di viaggio tornassero coi biglietti, e una famiglia mi si è avvicinata chiedendomi di fare una foto con loro. Erano cinesi di qualche posto in cui i turisti stranieri non si avventurano, e non avevano mai visto un occidentale. Sono stato immortalato con tutti i parenti, dal nonno ai nipoti.

Probabilmente se avessi chiesto dei soldi in cambio me li avrebbero dati volentieri.

Siamo tornati a Pechino e abbiamo pranzato tardi al ristorante Jin Ding Xuan, vicino a Lama Temple dov’ero già stato con Shasha a Natale: si mangia cucina cantonese, ma io non ho mica ancora capito la differenza, per me i ristoranti asiatici si dividono in Quelli che cucinano il sushi e Quelli che cucinano piatti diversi dal sushi. Ho ancora moltissimo da imparare.

Comunque qui puoi provare il dim sum, o diǎnxin, come lo chiamano fuori da Hong Kong: in pratica sono piccole porzioni di molti cibi diversi, perlopiù cucinati al vapore. Non so cosa intendano i cinesi per piccole porzioni, io in tutti i posti dove sono stato ho avuto la tavola piena di piattini carichi di roba, lì come altrove.

La cucina cinese è un po’ tutta uguale