Andare a vivere da solo non è una cosa facile di suo, quando la casa in cui ti trasferisci non ha niente ogni piccolo passo diventa una sfida. Quando dico niente significa proprio quello, niente: la porta d’ingresso, le finestre, il bagno, il lavandino in cucina. E la muffa. Tanta, tantissima, io non ho mai visto una quantità simile di muffa neanche nel laboratorio di un micologo.

Per non parlare dell’impianto elettrico, risalente a quando Galvani ci faceva muovere le zampette delle rane morte, e piuttosto inadeguato per gli elettrodomestici odierni.

Comunque niente che un po’ di lavori di muratura.. ochei, tanti lavori di muratura.. e qualche filo più spesso non possano risolvere, e finalmente ti trovi una sera che hai spostato in solaio tutto quello che apparteneva alla tua vecchia vita, e ti trovi a preparare il lettino in una stanza piena di scarpe e fogli sul pavimento e borse e un armadio nuovo già pieno e in disordine dopo neanche mezz’ora che hai cominciato a riempirlo. Chissà se il Guinness dei primati registra il record di messa in disordine di un guardaroba.

Insomma che vado a dormire nel vecchio letto nella casa nuova, e la prima prova è spiegare a Jack che la nuova collocazione del letto non ha un lato appoggiato al muro, perciò se si butta da un lato come è abituato a fare si ritrova sul pavimento.

Lo capisce da solo quasi immediatamente, migliorando di parecchio la mia postura orizzontale.

Ci si dorme bene nella casa nuova, i vicini è come se non ci fossero, e in effetti non ci sono proprio, sono l’unico inquilino dell’edificio, e gli appartamenti adiacenti sono occupati rispettivamente da una coppia di mummie e da un ingegnere informatico, categorie silenziose da sempre.

La mattina prendo il pentolino nuovo e mi scaldo la colazione, intanto vado a lavarmi in bagno, dove scopro di avere commesso il primo errore: non ho portato gli asciugamani. Neanche uno.

Vabbè, una volta conoscevo una ragazza che diceva di non asciugarsi mai la faccia, mi risulta essere ancora viva, correrò il rischio.

Il secondo errore lo scopro dopo aver tirato la catena e aver notato come l’acqua da sola non riesca a liberare del tutto l’area di lavoro. Occacchio. E adesso?

Sono piccole cose alle quali ti abitui a non pensare, voglio dire, quando mai ci è capitato di non trovare lo scopino del gabinetto accanto alla tazza? Quando avremmo dovuto ricordarcene noi, per esempio.

Passo la mattina a comprare le cose di prima necessità, tipo lo scopino, e di seconda necessità, tipo il sale e la frutta. Attrezzarmi a vivere per conto mio mi ha abituato a certi accostamenti bizzarri negli acquisti: due spine e una bottiglia d’olio, una sedia un ferro da stiro e un pacco di biscotti, tre metri di prolunga e un fon, che il ferramenta mi ha chiesto se avevo intenzione di asciugarmi i capelli in strada.

La connessione internet è arrivata stasera, cosa che mi ha spinto ad accantonare i progetti di pulizia in favore di uno sfrenato e salutare cazzeggio.

Dalla sua sedia, la chitarra mi osserva tristemente (ho solo due sedie, la mia e quella della chitarra), ha capito che i giorni di studio subiranno un drastico ridimensionamento.

Ma no, le dico, è solo stasera che ho la botta di recuperare tutto quello che ho lasciato indietro, fumetti, telefilm, musica e cazzate, e poi ho da promuovere il nuovo libro.

Perché magari c’è ancora qualcuno fra i lettori del pablog che non lo sa, ma il 2 maggio esce il libro di ARTErnativa, e per l’occasione abbiamo pure aperto un bel sito, e una bella pagina facebook, e un tumblr, e un account twitter, e pure hahaha, una pagina su huhuhu, mi vien da ridere, google+.

Il libro di ARTErnativa, siore e siori

Il libro di ARTErnativa, siore e siori

Saremo simpatici? E quando dico saremo intendo ovviamente noi staff di ARTErnativa, cioè Alberto Ghè, Andrea Lombardo e io. Scrivo i nomi così se ci cercate su guggo succede delle cose che non ho capito perché quando me le spiegavano giocavo con lo smarfo.

E poi? Che altro è successo in questi mesi in cui sono scomparso dalla rete? Boh, un sacco di cose, certe interessanti, altre curiose, certe pazzesche, altre tristi e certe incomprensibili. E ci sono stati dei momenti che sono arrivate tutte insieme e ho dovuto sedermi un attimo, che a una folla di emozioni così non sono più abituato. E poi ci sono stati altri momenti in cui il silenzio mi è pesato, e allora ho acceso la radio e mi sono messo ad ascoltare e trasmettevano un’opera di Verdi, e mi sono immaginato queste persone ben vestite, su un palco, a cantare cose di cui nessuno capisce mai il testo, come in una lingua perduta, e ho pensato che in fondo io sono uguale, mi esprimo in un linguaggio che capisco soltanto io, e da sotto il palco la gente applaude, ma alla fine esce e si chiede “ma che cazzo ha detto?”, e io sto lì sul palco e cerco una sedia, e mi siedo accanto al clown triste, che tutti i clowns sono tristi, col loro cerone in faccia e il sorriso sformato che li rende ancora più tristi, e gli dico “Ma senti un po’, clown triste, ma chi ce lo fa fare di venire fin quassù a cantare canzoni che non capisce nessuno? Non potremmo arrenderci e fargli un pezzo di Celentano, tipo?”, e lui mi risponde che no, il tuo linguaggio è quello che sei, e quello che sei non si regala, e se non ti capiscono sono problemi loro, mica tuoi. Poi però scoppia a piangere e mi appoggia la testa sulla spalla, e allora io mi alzo di scatto e gli urlo “E no, cazzo! La camicia nuova!” che il cerone non viene più via, e vorrei stare ancora un po’ lì a commiserarmi, ma ormai mi sono alzato, tanto vale che faccia qualcosa di utile, così mi metto a far da mangiare, e pulisco casa, e piano piano la tristezza se ne va, e alla fine era solo un po’ di niente che si era depositato nello stomaco, basta riempirlo e se ne va da solo.

Allora, credo di dover raccontare qualcosa dei miei progressi con la nuova vita da single, ve l’avevo promesso, so che ci tenete. Ogni tanto mi scrive qualcuno che vuol sapere a che punto sono, se ho firmato il contratto, se ho cominciato il trasloco, e io mi sento anche lusingato, che è bello avere dei fans così premurosi. Poi ho scoperto che è mio padre dalla Thailandia, fra una settimana torna e non vuole ritrovarmi ancora in casa sua.

Comunque la novità grossa è che ieri ho finalmente ricevuto il mio mazzo di chiavi e ho potuto prendere le misure dell’appartamento.

Ma facciamo un passo indietro.

Ho trovato questo trilocale più bagno al secondo piano di una palazzina di due piani nel quartiere dove sono cresciuto, sopra di me il solaio, sotto una signora che credo sia morta l’anno scorso e nessuno si è ancora preso la briga di andarla a scrostare dal pavimento, affitto basso e stanze ampie. Niente spese di amministrazione. Il padrone di casa mi conosce e non vuole neanche la caparra.

Bene! Direte voi. E anch’io ho detto così quando l’ho saputo, pensando ingenuamente che avrei potuto traslocarci dentro in un paio di settimane al massimo, sfruttando nel frattempo la casa di mio padre che tanto è in ferie fino a fine febbraio.

Ferie Fino Fine Febbraio Fa Fico.

Non è andata proprio così, dopo un mese e passa dovevo ancora firmare il contratto, e il padrone di casa se ne stava placido al bar sotto casa a leggere la Gazzetta Dello Sport, strabattendosene altamente di me, del contratto, delle chiavi di casa e dei lavori da fare in bagno, che pare sia tipo esplosa la fogna o non so bene, e bisognerebbe chiamare un idraulico prima che subentri il nuovo inquilino, che sarei per l’appunto io.

È l’inconveniente di avere a che fare con un padrone di casa vecchissimo e ricchissimo e pigrissimo, un incrocio fra Zio Paperone e Cicciodinonnapapera, che preferisce pagare le tasse su una casa vuota che attraversare la strada per andare dal commercialista a fargli preparare il contratto di affitto. Aggiungete poi che la firma sul foglio deve mettercela lui, ma anche un paio di suoi consanguinei altrettanto maturi e scattanti, dislocati lungo la Riviera Ligure, e capite bene perché le chiavi dell’appartamento le ho ottenute un mese e passa dopo la conferma.

Adesso però ce l’ho, e ieri sera sono entrato con piglio bellicoso e un metro in mano per stimare le dimensioni dei vani e non presentarmi fra qualche giorno con un armadio che è bello, ma per farcelo stare devi tenerlo inclinato.

L’odore di fogna permeava l’appartamento, segno che l’idraulico aveva fatto il proprio dovere, e le pareti erano nere di muffa, segno che prima dell’idraulico nessuno ha calpestato quei pavimenti per un anno e mezzo, e le finestre non si aprono da sole tranne in Paranormal Activity, credo, mi sembra strano che il fantasma si accanisca solo sulla porta della camera da letto. Nel caso sarebbe facile, vai a dormire in salotto e ciao.

Nel mio caso il salotto non c’è, e neanche la camera da letto. Ci sono due stanze, una più larga dell’altra, con porta e finestra sul lato corto, cosa che mi obbligherà a sbattermi per trovare una sistemazione consona all’armadio, che non ho ancora, ma facciamo finta che.

Non è una brutta notizia, ci sono delle camere a ponte con letto e armadio dallo stesso lato, che dovrebbero risolvere il problema, oppure potrei farmi una camera da letto molto larga e un salotto piccolino, ma credo che a parte le spiegazioni psicanalitiche servirebbe a poco.

Poi ci sono le notizie fighe:

il solaio è già attrezzato per metterci una camera degli ospiti, manca giusto di decidere come scaldarla, ma c’è anche una canna fumaria, al limite si mette una stufetta a legna;

la cantina è dotata di scaffalature per bottiglie di vino e attrezzatura da imbottigliamento. È un segno divino: lì deve sorgere una tavernetta;

stamattina mi hanno attaccato la luce e in una decina di giorni mi metteranno pure la linea telefonica, perciò mi vedo già seduto per terra al freddo a scaricare illegalmente ogni genere di vaccata, proprio come ai vecchi tempi.

Restano da postare le foto che ho scattato stasera col telefono, che sono solo quattro e riguardano tre stanze, che la quarta non ha la lampadina e col telefono non si capiva se stavo fotografando una stanza vuota o l’interno della mia testa.

Prossimamente aggiungerò altre foto per documentare l’andamento dei lavori e le stanze ancora assenti, per il momento sentitevi liberi di suggerire colori e soluzioni, il cantiere è aperto!

 

our house in the middle of our street

 

Punxsutawney Phil può dire quello che gli pare, un inverno così mite non lo vivevo da anni. Sarà il discorso dei tedeschi che arrivano da Düsseldorf e vanno al mare a gennaio, ma oggi non l’ho seguita la diretta dalla città della marmotta (scusate la rima, non sono diventato improvvisamente un poeta, nei loro confronti mantengo la linea delle Storie di Ieri), l’unica storia interessante sul tizio che cerca la propria ombra l’ha scritta James Matthew Barrie un secolo fa.

Mi sono preparato un bel pranzo, invece, con primo e secondo e un bicchiere di bianco che tenevo in frigo, e ho ascoltato l’ultimo disco di Jamiroquai.

Perché ad un certo punto il freddo è solo freddo, ti metti un maglione più pesante e aspetti che passi. Credo sia quello il punto, aspettare che passi.

Il film della marmotta ci gioca con questo concetto, ti mostra un uomo cristallizzato in una realtà che non riesce ad accettare, ma dalla quale non riesce a tirarsi fuori in nessun modo. Per un po’ cerca di sfruttare la cosa a suo vantaggio, ma sono piaceri effimeri che non gli lasciano niente, per quante banche rapini e donne conquisti si ritrova sempre allo stesso punto la mattina dopo, da solo nel letto della sua camera d’albergo.

Quando non riesce più a sopportare la situazione prova ad uccidersi, ma la fuga non è mai la soluzione, i problemi bisogna affrontarli se si vuole ottenere qualcosa, così si lascia andare, investe su sé stesso: impara a scolpire il ghiaccio, a capire gli altri, a suonare il pianoforte. Diventa un uomo migliore, e alla fine la metamorfosi lo libera dalla gabbia in cui era finito e gli apre le porte al mondo. È una bella metafora del potere del tempo, della forza del cambiamento, e anche di certe situazioni che sto vivendo adesso, sospese come il paracadutista al primo salto, fra la voglia di buttarsi e la paura del vuoto.

Ho realizzato che il rancore non serve a niente, non fa che passare una mano di pittura verde acido su tutto quello che sta sotto, pensieri cattivi e bei ricordi, e li copre. Ma appena abbassi la guardia e smetti di masticarti la bile il dolore torna ad aggredirti e ti fa a pezzi, perché è sempre lì, come nuovo, ha ancora il cellophane.

Allora è meglio abbandonarsi e rassegnarsi al cambiamento, stare male quanto occorre, scoppiare a piangere mentre lavi i piatti, scendere fino in fondo, e quando lo raggiungi raccogliere un sasso, e conservarlo come portafortuna nella lenta risalita.

Ci vorrà del tempo, mi sveglierò mille volte con Sonny & Cher che cantano I got you babe, finirò coi piedi a mollo nella pozzanghera e dovrò sopportare le risate del venditore di assicurazioni, ma fa parte della sceneggiatura, gli ostacoli sono quelli che rendono il finale più gradevole.

Alla fine, nonostante tutto, avrò una casa mia, con una mensola in salotto, e un sasso su quella mensola, da prendere ogni tanto in mano e sorridere di tutto questo.

Buona festa della marmotta, Pablo.

Stanco di parlare di calcio, cui ho dedicato tutte le mie ultime rare povere attenzioni, torno a fare ciò che amo di più, dopo mangiare faresesso leggerefumetti ascoltaremusica giocareaivideogiochi andareinbici arrampicarmi andareallostadio guardarefilm ubriacarmicongliamici ballareneilocalipocoaffollatidovemettonobellamusica non necessariamente in quest’ordine: scrivere cazzate tanto per scrivere, senza curarmi di cose superflue come lavarmi metterelapunteggiatura andareacasa.
Andareacasa, per dire, come se non ci fossi già a casa, come se ci fosse un altro posto che posso chiamare casa, che sono felice di chiamare casa nonostante i disagi, il gatto più grasso e peloso del mondo, la tele senza antenna, il pici lontano, pochi giochi nella pleistescio. Ebbene, ed è una novità, un posto così c’è. C’è e giorno dopo giorno me lo sento cucito addosso come una camicia costosa tagliata da un sarto di quelli bravi; indosso la mia nuova cuccia come un paio di scarpe che non fanno male, o sarebbe meglio dire come un paio di pantofolone con la bandiera del Brasile stampata sopra, neanche usassero pantofole pelose in Brasile.
Che poi non è mica una cosa difficile ritagliarsi un proprio angolo fuori dalle mura paterne, basta portarsi via tutti i cidi e i film, e finalmente tutti i libri. Non ne potevo più di vivere separato dai miei libri, finalmente posso tenerli tutti insieme a casa mia, invece che sparsi fra qui e la libreria di mia mamma. Sono tornato a sfogliare titoli che avevo scordato di possedere, mi sono immerso un’altra volta in pagine dimenticate, ho riassaporato parole che non conoscevo più, ritrovato vecchi amici sepolti..
Passati quei dieci fantastici minuti ho richiuso tutto e mi sono riletto per l’ennesima volta le strisce di Calvin & Hobbes.
Per scrivere strisce senza i ho dovuto consultare il dizionario, però so scrivere giusto Calvin & Hobbes e Dostoevskij. Questo in che categoria mi mette, nel 66% di cittadini italiani quasi analfabeti o nel restante 34 di inetti colti?
Eggià, in Italia ci sono 6 milioni di analfabeti, 4 di laureati, una folla nel mezzo che cerca di coniugare giusti i congiuntivi, e io sto qua a parlare di quant’è bella casa mia. Ma dov’è il mio impegno sociale? Dovrei vergognarmi dovrei! Come italiano dotato di senso civico, avendo ricevuto un tempo la dose minima consentita di istruzione, essendo il legittimo occupante di un mezzo di informazione visitato da una media di 21,1 persone al giorno, molte meno di quelli che seguono l’isola dei figosi, ma comunque una buona media, dovrei sfruttare l’occasione per divulgare pillole di cultura, dovrei dare il mio contributo all’innalzamento del tasso di alfabetizzazione!
E pazienza se la maggior parte di quelli che passano di qua cercano foto di Sveva Sagramola nuda, se non altro hanno spodestato i cercatori di minorenni..
Si, è giusto, in fondo non mi costa niente aiutare il prossimo, e se una domenica allo stadio, dopo avermi piantato l’asta della sua bandiera in un occhio, un grosso ragazzone tatuato mi prenderà a pugni in faccia gridando “se non ti fossi preso gioco di noi rappresentanti della cosiddetta Tifoseria Organizzata sul tuo blog adesso non avresti messo a repentaglio la tua incolumità e potresti seguire lo svolgersi dell’incontro in un’atmosfera assolutamente gioviale!”, invece di “se non ci pigliavi per il culo la partita la vedevi e invece ora tirompoilculo!”, potrò pensare che un po’ è stato anche merito della mia opera..

Passato remoto indicativo del verbo dire
io dissi
tu dicesti
egli disse
noi dicemmo
voi diceste
essi dissero