Martedì 14

Shasha deve andare a fare i documenti, perché pare che ora funzioni tutto, e io l’aspetto in hotel, dove consumo una ricca colazione trinazionale. Poi torna a prendermi e andiamo in centro a sbrigare tutte le pratiche.

Non ho capito bene questo passaggio, che senso ha andare a fare i documenti e poi tornare e andare di nuovo a fare i documenti? Quando le ho chiesto delucidazioni in merito, mesi dopo, mi ha risposto che non ho capito niente e in realtà alla stazione di polizia ci è tornata il primo giorno, alcune ore più tardi, perché il sistema aveva ripreso a funzionare. Quella mattina era andata con sua madre a fare delle robe che però a noi non interessano, sono robe di donne che un uomo è bene che non conosca. E poi mi piace di più la mia versione in cui sono finito in un paradosso temporale cinese in cui le ore scorrono in maniera circolare e dopo un po’ ti ritrovi al punto di partenza, perché questo significa che è di nuovo ora di colazione!

là dietro volavano aquiloni, qui saliva l’invidia, che io non sono capace

Non dovendo più tornare alla stazione di polizia perché l’abbiamo già fatto ieri, e non dovendo fare di nuovo colazione perché ne ho già fatte tre, ma facendo comunque il solito caldo fotonico, pensiamo di andare a bere una bibita nel centro commerciale di fronte a casa dei nonni.
Shasha vorrebbe convincermi a provare il bubble tea, la sua bibita preferita. Non ci penso neanche, l’ho bevuta la prima volta che sono stato in cina, l’anno scorso, e ne conservo ancora un ricordo drammatico.

In pratica si tratta di un tè freddo a cui vengono aggiunti diversi ingredienti, dal ghiaccio tritato per renderlo più cremoso a svariati tipi di guarnizioni, come panna, cioccolata, robe colorate o dadi di acciaio zincato chiave sei. Già così mi risulterebbe insopportabile, per me il tè è tè e basta, caccerei gli inglesi dall’Europa solo per la loro mania di aggiungere il latte.
Questo, per aggiungere fastidio, contiene delle palline (da cui il nome bubble) che aspiri mediante una grossa cannuccia. Di solito sono fatte di tapioca, ma se ne trovano anche di gelatina, che ti scoppiano in bocca e rilasciano succo di frutta. Ma non potete bervi il tè come tutte le persone civili e poi farvi un caffè e poi una spremuta e poi un succo di frutta e poi una cioccolata? Ma che fretta avete per dover mischiare tutto insieme, eh, cinesi?

Troviamo un compromesso e andiamo a prenderci una bibita da Happy Lemon, ma il servizio in una città di secondo/terzo livello non è lo stesso che nella capitale, e nel tempo che le due commesse impiegano a riempire i nostri bicchieri mi sono fatto un giro e ho trovato un posto che fa i pasteis de nata, i tipici dolcetti portoghesi con lo stesso peso specifico della ghisa.

la nostalgia di Porto, signora mia!

Non è strano trovarli da queste parti, Macao è stata una colonia portoghese, e da lì i dolci si sono diffusi in tutta la Cina.

Per 10 soldi me ne danno 5, un affarone, e non sono neanche pesanti come quelli portoghesi.

Neanche così buoni, a dire la verità, senza la cannella e la scorza di limone sanno di budino al latte.

Ne mangio uno, gli altri li lascio sul tavolo in casa dei nonni, dove ritengo siano tuttora, dato che nessun altro condivide il mio entusiasmo verso la cucina lusitana.
Per quanto riguarda la famiglia della mia fidanzata questo scetticismo si estende a quasi tutta la cucina occidentale: dall’Italia ho portato un salame di ottima fattura, ed è arrivato a Guiyang invece di restare con noi a Pechino, dove ne avrei celebrato il sapore ogni sera come aperitivo; i suoi nonni lo hanno cucinato. 

Anche i cinesi rompono gli schermi dei cellulari, proprio come faccio io ♥, ma la differenza è che loro li portano a riparare in un laboratorio in città, e non dove li hanno acquistati.

Ed è proprio qui che ci rechiamo per sostituire lo schermo del cellulare di Shasha, in un sottopasso pieno di banchi dove comprare vecchi e nuovi modelli, riparare e sostituire pezzi e farsi riprogrammare le schede.

seduto al banco un classico cinese con la panza fuori, in procinto di farsi crescere la panza

Il tizio da cui ci fermiamo si chiama Liú Máng – Lo stilista del telefonino. Lo scegliamo fra gli altri per il suo taglio di capelli audace, alla bella marinara.

Si mette subito al lavoro, assistito da una donna che gli lancia i componenti quando occorre.

Il nome di lei non l’ho capito, Miba, Miva..

Una volta mio padre aveva una televisione marca Mivar, ma i componenti non li lanciava, quando si rompevano dovevi chiamare il tecnico che li cambiava.

Belli Capelli termina il lavoro in mezz’ora, per un costo di 150 soldi che comprende anche il guscio e il vetro protettivo, più un vetro per il mio telefono, che a stare lì mi è venuta voglia di partecipare.

Se penso che in euro sarebbero meno di 18, quando in Italia per sostituire il mio schermo ne ho spesi 210 e ho aspettato oltre un mese mi viene una gran voglia di iscrivermi ai terroristi.

le bellissime traduzioni cinesi

Sulla via del ritorno ci dedichiamo alla mia attività preferita, quella a cui ho dedicato lo spazio più ampio nei miei resoconti di viaggio.

C’è una specie di mercato coperto dietro casa dei nonni, dove compri la pietanza che preferisci a una delle numerose cucine presenti, e te la vai a mangiare a uno dei tavoli comuni. Shasha non ha molta fiducia nell’igiene di questi posti, per me è come la festa dell’unità, ma senza il porchettaro. Li proverei tutti, se non avessimo un invito a cena di lì a poco.

Sarà la nostra ultima cena a Guiyang, subito dopo dovremo prendere l’aereo per tornare a Pechino, e per questo è stata anticipata a un’orario che neanche all’ospedale.

Il tavolino del salotto, un grosso cubo rosso, viene liberato dalla solita tovaglia e rivela un piano cottura a induzione. Si accende e vi si deposita sopra il pentolone di brodo in cui tutti andremo a intingere i nostri pezzi di carne. Eh sì, stasera hot pot casalingo.

Non ho ancora cominciato a mangiare quando ricevo un messaggio da mia sorella con una foto che impiego qualche secondo a riconoscere: in Italia è appena passato mezzogiorno, e quello è il ponte di Campi, diviso a metà.

La consapevolezza mi colpisce come una martellata in faccia, poi si fa strada un terrore lucido, controllato, che mi mangia lo stomaco un pezzetto alla volta, con metodicità. Un pezzetto per ogni persona che conosco e che potrebbe essere rimasta coinvolta.

Perché il primo pensiero è alla coda che di solito si forma su quel tratto di strada, è alle case di sotto, è a tutta la città che sopra e sotto quel ponte fa avanti e indietro più volte al giorno. Il primo pensiero è una strage.

Mostro la foto a Shasha, le spiego cos’è successo e le chiedo di scusarmi con la sua famiglia, ma non posso stare lì con loro, devo tornare a casa, almeno con la testa.

Passo il resto della serata a cercare di mettermi in contatto con chiunque mi venga in mente, scorro i social per cercare segni di vita, spunto una lista mentale di nomi, aggiorno le pagine dei quotidiani per capire meglio.

Quando saliamo sul taxi per l’aeroporto quasi non saluto nessuno, mi limito ad abbracciare la nonna.

Poche ore dopo, quando atterriamo a Pechino, la situazione appare meno catastrofica: i miei amici stanno tutti bene, il pezzo di ponte crollato è quello che passava sopra il torrente e la ferrovia.

Qualche giorno più tardi scoprirò che sotto quel ponte è rimasto Cico, un collega della mia ex compagna che incontravo alle fiere. Ha passato la vita a viaggiare avanti e indietro per l’Italia per dare una vita dignitosa a sé e alla sua famiglia, ed è morto in un giorno di festa mentre andava a un matrimonio, della morte più assurda che si potesse immaginare.

Sono passate solo poche ore, e già Genova ha fatto il pieno di ignoranza, proclami roboanti, caccia alle streghe, sciacallaggio politico e teorie complottiste. Provo una vergogna così intensa per i miei connazionali che se potessi chiedere asilo in Cina non esiterei a farlo, nonostante i limiti alla libertà di questo governo ho ancora l’illusione che le persone qui siano migliori. Probabilmente perché non so leggere i loro social.

Mercoledì 15 agosto

Shasha ha il giorno libero, ci alziamo con calma e facciamo colazione coi prodotti del supermercato, come in Italia. Ce n’è uno sotto casa che offre grossomodo le stesse cose, seppure di marche differenti. Sennò se vuoi sentirti al sicuro vai al Carrefour un po’ più avanti, ma vuoi mettere l’avventura?

Sulla verdura per esempio ci sono le etichette in cinese, così non sai cosa stai comprando e potrebbe capitarti di prendere le patate dolci invece di quelle comuni. Per dire, eh, figurati se uno non le sa distinguere, chi vuoi che sia così scemo.

Per me il gioco è comprare prodotti familiari in versioni sconosciute, e scoprire solo dopo di cosa sanno: essendo un agosto orrendamente caldo (anche se dopo la prima pioggia le temperature non sono più risalite a quel livello offensivo dei primi giorni) mi specializzo sui gelati.

1 uovo

All’inizio mi limito a infilare la mano nel frigo e tirarne fuori uno a caso, ma col passare dei giorni ci prendo gusto, e alla fine ne prendo due alla volta e li mangio mentre torno a casa.

Il più buono è quello all’uovo, ma è facile, sa di crema pasticcera; fra i gusti inaspettati si piazza molto bene quello ai fagioli rossi, che in Cina sono normalmente utilizzati per preparare i dolci, mentre ottiene un punteggio basso il gelato all’uva ghiacciata, che sarebbe uva normale vendemmiata tardissimo nei paesi nordici, quando il grappolo è ormai coperto di neve. Sa di tautologia e contiene pezzi di roba ghiacciata che potrebbe essere benissimo quell’uva lì.

Devo dire che sono rimasto deluso, dalla confezione avevo capito che fosse una specie di gelato alla frutta candita, e volevo tirarmi fuori dalla mia comfort zone mangiando qualcosa per me disgustoso.
No, la dico vera, quando ho visto la foto sulla confezione ho sperato di poter degustare un gelato alla cima genovese, con tanto di filo da cucito.

Ci sono comunque andato vicino col gusto successivo, il campione di questa mia personale competizione: il gelato ai piselli.

Che non è cattivo, non si può definire cattivo per niente. È che sa di piselli. È come mangiare una crema di piselli congelata, fa strano tirarla fuori da una confezione di gelato e tenerla col bastoncino.

Un’altra differenza fra il supermercato sotto casa e quelli italiani è che qui non vendono l’insalata. Ci sono diversi tipi di verdura simile, ma è tutta roba che dovresti passare in padella, la lattuga non c’è, il radicchio neanche. E le zucchine sono così grosse che le vendono singolarmente avvolte in retine di plastica come i meloni, ma quando le apri non sono andate in semenza come ti aspetteresti, sono zucchine normali, grandi come una coscia di cane. E se compri per sbaglio le patate dolci poi non sai come cucinarle e ti restano nel frigo tipo per sempre. Ma non sto dicendo che sia successo a me.

Mi piace andare a fare la spesa lì, le commesse mi conoscono e mi sorridono. Quella del reparto frutta e verdura mi dice anche delle cose che però non capisco e sorrido e me ne vado alla svelta.

La mattina di ferragosto siamo a casa a fare colazione con la frutta che ho eroicamente acquistato due giorni prima, da solo, e che tengo in un sacchetto vicino a quell’altro che contiene tuberi di cui non mi va di parlare.

Faccio anche il caffè con una Bialetti che ho portato lo scorso natale, a cui purtroppo manca il manico perché qualche scemo l’ha fuso al primo utilizzo, e quella volta Shasha si è incazzata più che per le patate.

Poi andiamo a Sanlitun, dove sono passato solo una volta in bici e non ho visto niente.

È un quartiere moderno, pieno di palazzi e negozi fighi e centri commerciali e un negozio di fumetti assolutamente stiloso, dove certi giorni suonano complessi jazz e puoi sederti al tavolino a sorseggiare un caffè di marca (qui il bicchiere di caffè lo degustano al tavolino per un’ora, non esiste la tazzina di espresso che tracanni e via, perciò sarà anche Illy, ma è comunque una brodazza), ma se vuoi un fumetto la scelta è fra un centinaio di albi spillati e altrettanti brossurati. Però, con mia sorpresa, hanno anche V for Vendetta. Non credevo che un testo contro il totalitarismo che sembra essere stato scritto apposta per raccontare la situazione in Cina superasse le maglie della censura, ma ammetto di essere troppo prevenuto nei confronti del governo locale. In un’altra libreria ho trovato anche 1984 e La Fattoria Degli Animali, di Orwell. Diciamo che la critica al potere è ammessa, basta che non sia espressamente citato il potere cinese.

Mi compro una scatolina di action figures Titans ispirata a Breaking Bad, una di quelle in cui non sai quale personaggio ci troverai dentro. Sono venti, e di alcuni non viene mostrata neanche l’anteprima sulla confezione. Mi aspetto la fregatura, tipo le sorelle scassacazzi o il ragazzino con le stampelle, ma la possibilità di trovare qualcosa di valido è alta, sarei felice di portarmi a casa Mike o Saul Goodman, o magari il camper. Mi va di straculo e dalla scatoletta spunta il porky pie nero di Heisenberg!

Usciamo dal negozio felici come due ragazzini, col mio personaggio preferito e un volume di V for Vendetta in inglese per la mia fidanzata, che certe letture sono imprescindibili anche se non vivessi sotto una dittatura, e andiamo a mangiare un hamburger ciclopico in un posto lì vicino.

Dopo pranzo Lama Temple, una delle ultime attrazioni cittadine che non ho ancora visitato.

Niente di nuovo da raccontare, è il classico tempio cinese composto da diversi cortili su cui si affacciano gli edifici, dentro ai quali puoi trovare niente oppure una statua alta ventisei metri intagliata in un unico tronco di legno di sandalo. La cosa curiosa è che ti danno questi bastoncini di incenso all’ingresso, e un cartello ti spiega che dovresti bruciarne tre in ogni braciere lungo il percorso fino all’ultimo tempio, ed elevare le tue preghiere. Né io né Shasha siamo particolarmente religiosi, e molliamo tutto l’incenso al primo braciere dicendo byebye, che suona come 拜拜, e a Taiwan significa rendere omaggio alla divinità. Non so se in Cina venga usato, ma immagino di sì, visto che a me lo ha raccontato una ragazza cinese. Di lì in poi è tutto un ironizzare sul doppio senso, che ci rende la visita un unico cazzeggio irrispettoso.

In giro la città si è riempita di italiani, ne incontriamo gruppi numerosi al tempio e nell’hutong, dove ci spostiamo per continuare il nostro pomeriggio da coppietta innamorata. Insegno a Shasha un paio di frasi maleducate da usare in presenza dei miei connazionali più molesti e andiamo in un locale che conosce lei, a fare merenda, e poi a cena in un vietnamita. Entrambi i locali si trovano nell’hutong, hanno un giardino interno e ti fanno scordare di trovarti in mezzo a una città enorme.

C’è anche il tempo per un bicchiere in un baretto imboscato dietro una falsa libreria, come uno speakeasy americano: sposti la falsa parete ed entri nel locale, piccolo e poco illuminato. Bella scelta di marketing, ce n’è uno simile anche a Genova, solo che non ho mai capito dove sia, è nascosto troppo bene.

Va detto che questo titolo per la rubrica sulle serie tv andrebbe cambiato, ma per adesso ce lo teniamo.

Mia madre si è abbonata a Netflix e ha scoperto le gioie del binge-watching, e io ho scoperto cosa provano gli orfani: non esce più di casa, quando vado a trovarla è sempre sul divano con gli occhi alla tele, e mi risponde sisì. La capisco, le prime stagioni di Lost hanno fatto lo stesso effetto anche a me.
Poi vai avanti e capisci che quella serie ha perso un treno di possibilità gigante, o forse non l’ha mai avuto, forse è nata con l’intento di intrattenere senza spiegare niente, e allora è perfetta così com’è. Per me comunque una storia che apre mille interrogativi e ne chiude dieci è una storia che non funziona, scusate. Invidio mia madre che si sta divertendo tantissimo, ma non vorrei essere nei suoi panni quando dovrà sorbirsi le ultime tre stagioni e i viaggi nel tempo e i personaggi che entrano ed escono dal niente e i flash-fucking-forward e quel finale che se ci penso mi viene ancora voglia di associare divinità cristiane e animali da fattoria.

Bioparco!!

Intanto che aspetto di ritrovare un genitore perduto cerco di convincerla a guardare un’altra perla presente nel catalogo, e non voglio neanche ripetere di cosa sto parlando, mi limito ad alzarmi in piedi e portarmi la mano sul cuore.

Sarà proprio quella serie lì a introdurre il primo argomento di questo post, di cui proprio stamattina ho visto l’episodio finale della terza stagione: Better Call Saul.

Lo stile narrativo, l’ho già detto, non è lo stesso di Breaking Bad, ma non è un difetto. A dire la verità anche la sua serie madre iniziava con un tono a tratti ironico, poi ha cambiato registro nelle ultime stagioni, e ci ha portati al finale con una tensione addosso che se ci penso mi metto lì e me lo riguardo un’altra volta.
Intanto a mia madre ho proposto una visione collettiva settimanale a casa sua, con la scusa che non l’ho mai visto in italiano.

Mentre nelle prime due stagioni la storia andava avanti per conto proprio, con l’introduzione di un personaggio fondamentale di quell’universo narrativo ci siamo agganciati di prepotenza alla storia principale, diventando a tutti gli effetti un prequel. Ci sono i personaggi che abbiamo conosciuto insieme a Walter e Jesse, i luoghi in cui si sono ambientate le loro vicende, assistiamo alla nascita dei loro rapporti e di alcune loro caratteristiche. Mancano solo Walter e Jesse, ma a questo punto non escludo di vederli nella prossima stagione. D’altronde, se abbiamo ritrovato perfino Huell Babineaux..
L’ultimo episodio andato in onda finora è di quelli che ti fanno alzare dal divano dicendo “Waaah!”.

black is the new orange which is the new black

E restando su serie di cui abbiamo già parlato, ma nel frattempo sono andate avanti e ci sarebbe da dire qualcosa, è uscita la seconda stagione di Preacher.

Sai quella serie che sì, carina, ma il fumetto è un’altra cosa e Tulip mi sta pure sulle palle? Quella che non avevo ancora capito se mi piaceva o l’avrei recensita come gli americani recensirono Dresda nel ’45? Ecco, è ricominciata quella serie lì, e da subito si è capito che qualcosa è cambiato.
Intanto i protagonisti non sono più confinati nel buco del culo del Texas, ma se ne vanno in giro e incontrano personaggi (poi vabbè, sono andati a New Orleans, si fermano lì per tutta la seconda stagione, ma è comunque un miglioramento, voglio dire, New Orleans, c’è ambientato un ciclo di storie fighissime in quella città), e i personaggi sono di quelli importanti, che quando sono in scena se la prendono tutta. E poi c’è molto più umorismo macabro, situazioni grottesche, violenza gratuita, insomma, è Preacher. Magari non è fedele alla storia, ma è coerente, e non so voi, ma a me non dispiace affatto vedere una storia nuova, se è coerente con quella che conosco. È come farsi raccontare una nuova avventura dei tuoi personaggi preferiti.
Anche Tulip, alla fine, non l’ammazzerei più, me la sono fatta piacere. Facciadiculo no, è ancora il cosplay ragazzino odioso di Facciadiculo.

per esempio Ganesh non c’è nei fumetti, ed è un peccato

Questo discorso della coerenza lo ritrovo nel’ultima serie di cui volevo parlare, American Gods.
Hai letto il romanzo, ti è piaciuto da morire anche il finale che invece a me no, ma insomma, hai saputo che ne avrebbero fatto una serie e hai cominciato a sperare fortissimo che fosse fedele alla storia che conosci. E invece qua e là cambia. Ci sono personaggi che vengono sviluppati di più, altri che non esistono affatto, succedono cose che non dovrebbero succedere. Tradimento!

Epperò i personaggi che non sono nel libro potrebbero starci bene, se ci fossero sarebbero così, come una canzone che viene esclusa da un disco e la ascolti dieci anni dopo nell’edizione anniversario e diventa la tua canzone preferita.
Ecco, American Gods non diventerà la mia serie di culto, e i personaggi che sono stati aggiunti non sono già adesso i miei preferiti, ma è una storia che funziona bene, non mi fa mai provare quella sensazione di estraneità in cui per esempio The Walking Dead abbonda. Vabbè, ma lì il problema è che la storia è uno sbriciolamento di coglioni e i personaggi vorrei vederli tutti morti, ma non morti che ritornano, morti e basta.
La serie di Amazon (sì, la passano su Amazon, finora l’unica ragione valida per mantenere un abbonamento a Prime), fra le altre belle cose, mi ha riportato in vita diversi attori di cui avevo perso le tracce, prima fra tutti Cloris Leachman (nitrito di cavalli), che a novantun’anni tira fuori una splendida Zorya Vechernyaya. Una chi? Niente, un personaggio di American Gods, stavamo ancora parlando di quello. E poi c’è Crispin Glover, che tutti ricordiamo come il papà sfigato di Michael J. Fox in Ritorno Al Futuro, “ehi tu porco levale le mani di dosso!”, e qui fa il capo dei cattivi; Gillian Anderson, non potevo immaginarla diversamente che così, e adesso me la vedo vestita da David Bowie coi capelli arancioni e chi se lo ricorda più di Scully?

beating up the wrong guy

Per me American Gods è un grosso pollicione alzato, e non ho neanche parlato della colonna sonora, o della bellezza di Emily Browning, o di Kristin Chenoweth, che se per voi è la voce di un personaggio di Bojack Horseman (perché non ho nessuna voglia di vederlo nonostante ne parlino tutti benissimo?) vuol dire che non avete mai visto Pushing Daisies, e mi dispiace tantissimo per le vostre vite incomplete.

Adesso magari mi rimetto a scrivere qualcosa di divertente, eh? Con calma.

La volta scorsa mi ero congedato accennando ad alcune serie di cui avrei voluto parlare, così sono tornato per scrivere altre due righe su questo passatempo che abbiamo noi proprietari di divani comodi e tempo da perdere.

Better Call Saul è una serie di cui senz’altro avrete sentito parlare, se non altro a causa della sua sorella maggiore [sospiro]. Per quei due o tre che sono usciti dalla giungla l’altroieri sto parlando di [mi alzo in piedi e mi porto una mano sul cuore] Breaking Bad. Questa serie ne è lo spin-off, e parla dell’avvocato Saul Goodman, uno dei personaggi migliori di quella meraviglia     quell’assoluto capolavoro     quella cosa che se non l’avete vista siete degli stolti   quella serie di cui condivide autori, produzione e parte del cast.

A che ti serve Bryan Cranston quando hai Jonathan Banks?

A che ti serve Bryan Cranston quando hai Jonathan Banks?

Al momento siamo arrivati alla fine della seconda stagione, e tutto si svolge prima della storia raccontata in [mi rialzo in piedi e mi riporto una mano sul cuore] Breaking Bad. Dall’inizio della serie siamo venuti a conoscenza di come Jimmy McGill abbia cominciato la sua carriera legale, del rapporto difficile che ha col fratello (un ottimo Michael McKean che non avrebbe bisogno di presentazioni), della sua tendenza a complicare la vita degli altri, e del suo genio.
È una storia dai toni più leggeri di quella raccontata da [mi alzo ancora una volta e mi riporto la mano sul cuore, ma credo che oramai ci siamo capiti] Breaking Bad, sebbene la presenza di Mike Ehramntraut e di diversi narcotrafficanti conosciuti e non garantisca una certa dose di tensione.

Va visto, anche se non è [resto seduto e agito la mano come a dire seeh andiamo avanti] Breaking Bad, ma del resto alla seconda stagione neanche Breaking Bad aveva mostrato tutto il suo potenziale. Gli elementi ci sono, diamogli fiducia e aspettiamo che Mike faccia il suo sporco lavoro.
Il grande mistero di quest’anno è Preacher. Mi è piaciuto? Mi ha fatto cagare?
È una serie tratta (ma sarebbe meglio dire “ispirata”) a un fumetto di (già??!?) sedici anni fa, scritto da Garth Ennis e disegnato da Steve Dillon.
Se non siete pratici di fumetti questi nomi non vi diranno niente, e vi compatisco perché la vostra vita è davvero triste.
Gli altri staranno scuotendo il capo con mestizia, perché il povero Dillon è morto in questi giorni, e quindi anche la loro vita è triste, ma almeno possono consolarsi rileggendo Preacher, e il Punitore, e Hellblazer, e The Boys, e fermatemi sennò vado avanti tutta la sera.

Machos & nachos

Machos & nachos

La storia raccontata nelle pagine di Ennis è volgare, blasfema e violenta. E a leggerla adesso per la prima volta potrebbe apparire datata. E forse il pregio della serie è quello di averla resa di nuovo attuale, se non altro come linguaggio cinematografico. Perché è un gran bel prodotto, se ne ignori le origini. Ha un sacco di trovate pop, didascalie alla Tarantino, un’ironia intelligente, una storia mai banale, e dei personaggi pazzeschi. Se non hai mai letto il fumetto sei un poveraccio, ma di sicuro ti godrai questa serie molto più di quello che ho fatto io.
Perché il fumetto è diverso, è proprio la storia ad essere stata pasticciata. Il rapporto fra i personaggi è cambiato, Tulip è odiosa e vorrei ucciderla.
Conto sul fatto che una serie si propone di andare avanti per diverse stagioni, e voglia allungare il brodo il più possibile, ma una vocina dentro di me punta il dito e rompe il cazzo.

Scendi da quella macchina e trovati un lavoro!

Scendi da quella macchina e trovati un lavoro!

Mi sono tenuto per ultimo la serie che negli ultimi tempi mi ha fatto innamorare e soffrire come una fidanzata mai abbastanza rimpianta: Narcos.
L’ho amata dalla prima stagione, dalla sigla meravigliosa e dalla voce fuori campo che mi ha portato in Colombia, sulle tracce di Pablo Escobar.

Ecco, non si dovrebbero produrre serie tv che trasformano un criminale sanguinario in un eroe, e questo è forse l’unico difetto di questa produzione Netflix: alla fine, ti piaccia o no, tifi per lui. Perché Wagner Moura, l’attore che interpreta Escobar, è proprio bravo. E con quelle felpe orrende e la panza fa simpatia anche quando ammazza qualcuno a revolverate in faccia. E poi dice plata o plomo, e coma mierda, e hijo de puta con quella pronuncia da ciccione che se l’avete guardato in italiano forse è andata persa, e un po’ ve lo meritate perché dovete essere gli stessi che non hanno mai letto i fumetti di Preacher.

È il 1986, sono in prima superiore e lui è il mio prof di tedesco

È il 1986, sono in prima superiore e lui è il mio prof di tedesco

Ochei, si prende anche delle libertà nel raccontare la storia, inventa personaggi che non sono mai esistiti, ma non è mica un documentario. Se hai voglia di approfondire, internet ti offre tutto il materiale che sei disposto a leggere.
Ma se hai tempo di guardare una serie sola guardati questa. E prova a non innamorarti di Tata.

Se ce l’avessi io il tempo vi racconterei di The Strain, di cui è iniziata la terza stagione, di Mr Robot, di cui non so se guardare la seconda nonostante la prima fosse ottima (o forse proprio per quello), e di Black Mirror, di cui sto guardando, in colpevole ritardo, la prima e la seconda tutta insieme, e nel frattempo stanno trasmettendo la terza.

Magari torno.

Tante, e neanche me le ricordo tutte, e neanche so se era poi questo di cui volevo parlare, perché stasera che ho cenato presto e non ho più niente da guardare con l’ansia di chi è stato lasciato a metà di una sparatoria, ho più che altro voglia di sentire i tastini quadrati fare quel rumore clik clik clik che non è già più il suono pulito tk tk tk che facevano appena comprato il portatile, e forse sarebbe ora di cambiarlo, ma coi miei problemi economici vi annoierò un’altra volta, stasera facciamo che vi racconto di qualche cosa che ho visto negli ultimi tempi, e se mi viene in mente altro pianto lì e cambio discorso.

L’altra sera ho visto Dredd. Che sarebbe quel film che se lo racconti a un amico va pressappoco così:

– Ieri sera ho visto un film di fantascienza su un poliziotto violento in una megalopoli del futuro.
– Ah, Robocop!
– No, in questo combatte contro le gang ferocissime.
– Eh, è Robocop.
– No, questo ha un elmetto che gli copre mezza faccia.
– Robocop.
– No, questo ha una pistolona che spara qualunque cosa ed è violentissimo.
– Anche Robocop.
– No, questo dice tre parole in tutto il film e ha la collega bionda.
– Guarda che mi stai descrivendo Robocop. È ambientato a Detroit?
– No.
– Aah! Ma allora è Dredd!

Mi sono divertito, e per tutto il film ho pensato che Stallone in fondo fa la sua figura, e che mostra anche un bel po’ di umiltà a non mostrare la faccia per tutto il film. Poi nei titoli di coda c’è scritto che sotto l’elmetto di Dredd c’è Karl Urban, che ho già sentito nominare solo perché ne ha parlato Ortolani in una sua rubrica di cinema riguardo a non so più che film. Stamattina ne ho parlato col mio collega che vive in un mondo parallelo, ve ne ho già parlato:

Il terzo personaggio ha la mia età e si chiama Atarumoroboshi. È un pazzo con due soli hobby, l’aeromodellismo e i cartoni animati porno giapponesi. Di entrambi conosce tutto, ma solo i secondi, quando te ne parla, gli fanno tremare la voce e muovere le mani come pinzette. Neanche lui, come Muttley, ha mai avuto una fidanzata, e questo lo ha portato a idealizzare la sua donna ideale in una ragazza vestita da scolaretta, con due tette come pentole a pressione Ariston formato ospedale da campo, gli occhi da manga e la possibilità di pilotarla tramite telecomando entro un raggio di due chilometri.

Gli racconto del film, della faccenda di Stallone, di questo attore che invece era uno che non conosco, e mi viene in mente Ortolani, ma non glielo dico. Lui mi risponde che sto facendo casino, il film con Stallone è un altro, questo è il remake. Stasera vado a vedere il blog di Ortolani dove parla di Karl Urban e scopro che anche lui ne parlava a proposito di questo film, e la sua recensione è anche più bella della mia.

Ormai in una locandina di film d’azione te lo scordi il cielo sereno. Sarà l’inquinamento.

Allora niente, siccome di Dredd ne ha già parlato lui provo ad accendere la stufa a pellet, non perché abbia particolarmente freddo, ma perché voglio vedere se mi fa di nuovo lo scherzo dell’Esorcista. Ah ma voi non sapete dello scherzo dell’Esorcista, devo fare un passo indietro.

Lo scherzo dell’Esorcista

Venerdì sera sono andato al cinema a Ronco, che inauguravano il proiettore nuovo. Funziona così nei piccoli paesi dell’entroterra, non avendo discoteche o teatri che iniziano la stagione non possiamo invitare una nota soubrette o un personaggio politico. A Milano per esempio sono fortunatissimi perché in entrambi i casi chiamano la Minetti a ballare sul cubo, ma noi dobbiamo arrangiarci invitando quello che c’è. È comunque andata bene, il proiettore è una roba che quello del multisala più grosso di Genova si è rotto per la vergogna, alla fine c’era anche Burlando che ha detto che doveva essere altrove, ma ha saputo che da noi nascono un sacco di funghi, e i miei amici cinematografi hanno infilato nei trailerz della prossima stagione anche il loro corto che fa il verso ad Apocalypse Now, ma in versione valligiana.

Tornando a casa, sotto una leggera pioggerella, mi godo la solitudine del paese, non c’è proprio nessuno, non passano neanche le macchine. Ad un certo punto, quasi sotto casa mia, sbuca uno con una camicia bianca parecchio estiva, le mani in tasca, e mi fa:

“Ciao, scusa, hai la macchina? Me lo dai un passaggio fino a Isola? Non ci sono più treni.”

Isola sarebbe Isola Del Cantone, il comune che confina col mio. Sono meno di dieci minuti in macchina e io non ho niente da fare, ma sticazzi, neanche provi ad introdurre il discorso, mi chiedi un passaggio come se fossi lì apposta a scarrozzare sconosciuti avanti e indietro per la valle.

“No, non ce l’ho la macchina.”
“È che piove.”
“Eh già. Per fortuna che io abito proprio qui. Ciao eh.”

Appena entro in casa c’è un caldo africano, perché nel pomeriggio ho montato il tubo insieme a un amico che fa queste cose di mestiere, oltre a vendere ferramenta che però quando gliele chiedi gli arrivano giovedì; prima di uscire per andare al cinema ho acceso la stufa per vedere se il tubo perdeva fumo, e l’ho lasciata accesa.

Niente fumo, il lavoro è stato fatto bene, che soddisf.. un momento.. che roba è quella??

Dietro alla stufa, sul pavimento, una grossa macchia rossa, un lago di sangue che cola dal tubo e si infila sotto la lavatrice. La prima cosa che penso, ovviamente, non è “si è rotta la stufa”, ma “poltergeist!”. Per essere proprio sicuro che non si tratti di un guasto vado ad affacciarmi alla finestra, certo di ritrovare il mio amico scroccone in mezzo alla strada a fissarmi negli occhi, con una strana espressione in volto.

Non c’è nessuno, la strada è sempre deserta. Allora dev’essere un guasto.

Poi niente, ho scoperto che era semplice acqua e il colore rosso era dovuto alla cenere del pellet, ma da dove sia uscita non l’ho mica capito.

Fine dello scherzo dell’Esorcista

E quindi niente, stasera provo a riaccendere la stufa e mi si riempie la cucina di fumo. Eccheccazzo, penso, e torno ad affacciarmi alla finestra.
Nessuno, come al solito, allora estraggo il tubo con la mia proverbiale cautela e ci guardo dentro.

Oh, mi ero scordato di tirare via la carta che ci abbiamo infilato durante il trasloco! A questo punto il mistero è come abbia fatto a funzionare la prima volta!

Vabbè, la prossima volta vi racconto che è finito Breaking Bad e sono tristissimo, ma non ve ne posso parlare perché sennò vi rivelo delle robe e voi che lo state guardando in italiano su AXN (esiste un canale che si chiama così? Boh?) poi mi odiate perché vi rovino la sorpresa.

Comunque Luke era suo figlio.

Riassunto delle puntate precedenti:

Introduzione
Bruno Lauzi – Garibaldi
Peggy Lee – Why Don’t You Do Right?

Tony Bennett & Lady Gaga – The Lady Is A Tramp
Joni Mitchell – Chelsea Morning
Neil Young – Cortez The Killer
Banda El Recodo – El Corrido De Matazlan

È uno scherzo, naturalmente. Si tratta di una canzone scritta per un episodio di Breaking Bad, quella serie che parla di un chimico in difficoltà economiche che scopre di avere il cancro, e comincia a produrre metanfetamine per lasciare alla famiglia un po’ di soldi per quando non ci sarà più, e si mette in affari con un piccolo produttore sfigato, e in quattro stagioni e mezza succede qualunque tipo di cosa, e a luglio comincerà l’ultima metà dell’ultima stagione, otto episodi che concluderanno la serie, e ho un macaco sulla spalla che se gli insegno ad andare a fare le commissioni posso passare il resto dell’inverno a casa davanti alla stufa.

Non so se vi è mai capitato di innamorarvi di una serie televisiva. Io ero di quelli che si scoglionavano già dopo due stagioni dei Simpson (si dice I Simpson o I Simpsons o I Simpson’s (avete mai fatto caso che a ripetere più volte la parola Simpson poi perde significato e la si guarda scritta senza riconoscerla più?)? Perché ci sono problemi di traduzione, o perlomeno io ci vedo problemi di traduzione, ma è solo perché ho ripetuto tante volte la parola Simpson e adesso non ci trovo più nessun significato e vedo solo delle lettere a caso) e anche I Griffin dopo un po’ ho smesso di seguirli perché sono pigro (ma sono comunque meglio dei Simpson o Simpsons, e se non siete d’accordo siete Contrarillo, che solo a lui piacciono in modo smodato), così non mi sono mai appassionato a nessuna serie televisiva e ho sempre dedicato il mio tempo a cose più corpose, tipo i film, o molto più brevi, tipo i videi su iutub.

L’occhio di Jack ci ha tormentati per anni.

Poi è arrivato Lost e sono andato via di testa. L’ultima stagione che si chiude su John Locke che apre la botola mi ha reso dipendente: tempo che cominciasse la seconda ero già lì che cercavo altre robe da guardare, sfogliavo forum per sapere quali fossero le migliori in circolazione, e la seconda stagione ce l’avevo sul computer, l’attesa effettiva è stata di trenta secondi! Ero perduto.

Poi anche le puntate scaricate da internet finiscono, e devi aspettare l’uscita americana, e allora il tempo di cercare altre cose lo trovi davvero, e diciamo anche che dopo la terza stagione Lost era diventato una di quelle cose come ripetere la parola, e che alla fine dell’ultima (la sesta? L’ottava? Simpson Simpson Simpson) mi è venuto un nervoso che Damon Lindelof lo picchierei ancora adesso, tanto che per ripicca non ho neanche visto Prometheus.

A proposito di Prometheus, esiste ancora qualcuno che se lo ricorda? Perché mi sembra che siano già passati lustri da quando è stato tolto dalla programmazione nelle sale, non ne senti più parlare, scomparso come se non fosse mai esistito. Roba che ti fa venire il dubbio che fosse solo un grosso spot pubblicitario. Tipo Lo Hobbit.

Volete davvero che mi metta a parlare dello Hobbit?

No, dai, che ero già fuori tema con le serie televisive, e questa rubrica parla di musica, no?

No, si serve della musica come filo conduttore per parlare di tutto quello che mi viene in mente.

Lo Hobbit secondo me sarà una merda.

se la ghigna, lui.

Perchè il romanzo da cui è tratto il film non è Il Signore Degli Anelli, è una favola per bambini, leggibile comodamente in un paio d’ore. Come fai a trasformarlo in TRE film di DUEOREEQUARANTA cadauno? Ma neanche se riprendi un balbuziente che lo legge ad alta voce ci riempi due ore e quaranta, e per coprire tre film devi mostrarmelo che va in libreria, lo cerca nello scaffale, fa la coda alla cassa, perde l’autobus per tornare a casa e se la fa a piedi.

No, no, io lo so cosa ci ha messo dentro: ci ha messo Jar Jar Binks.

Ve lo ricordate? Era quell’alieno simpatico divertente morisseièri che inaugurava la nuova trilogia di Guerre Stellari, quella che poi è venuto fuori che era una porcheria inguardabile piena di effetti speciali e senza un briciolo di caratterizzazione dei personaggi, e che ha gettato alle ortiche la credibilità di George Lucas, senza per questo impedirgli di fare uno svango di miliardi alla facciazza dei vecchi fans come il sottoscritto. In tutto questo Jar Jar Binks riassume egregiamente il concetto di come un’ottima idea possa trasformarsi, nelle mani sbagliate, in una macchina da quattrini senza dignità.

Peter Jackson ha fatto un capolavoro col Signore Degli Anelli, poi ci ha fatto un sacco di soldi, poi ha voluto farne ancora di più e ha deciso di fare Lo Hobbit, poi ha capito che se lo divideva in due film avrebbe fatto ancora più soldi, poi ha detto che due non bastavano più, e non si capisce se a quel punto si riferiva ancora al film.

E ci ha messo dentro Galadriel.

Ochei, nel libro non c’è, ma è plausibile, no? Lo Hobbit è ambientato nello stesso mondo del Signore Degli Anelli, solo diversi anni prima, quindi la regina degli elfi, che esisteva anche a quel tempo, potrebbe avere incontrato i personaggi del romanzo, magari dietro le quinte. Dai.

È che ci ha messo anche Saruman, il mago cattivo che Tolkien ha creato dopo avere scritto Lo Hobbit.

Ochei, ma devi tener conto del Bianco Consiglio, e infatti lo cita anche nel Silmarillion, e poi cazziemazzi. E dai.

Però ad un certo punto compare anche l’elfo Legolas, che cazzo ci fa l’elfo Legolas ne Lo Hobbit?

Vabbè, allora mettici anche Barbalbero.

No, vabbè, devi tener conto che gli elfi vivono molto più degli umani, e visto che il mondo in cui si svolgono entrambe le storie è lo stesso..

Ho capito, ma se fai un film sul romanzo L’Uomo Invisibile di H.G.Wells non puoi infilarci dentro un tizio sulla macchina del tempo sostenendo che tanto l’autore è lo stesso e tutti e due i romanzi sono ambientati a Londra. Che sarebbe anche plausibile, perché se hai una macchina del tempo vai un po’ dove cazzo ti pare, ma no! È una stronzata! Sarebbe come voler riempire lo spazio vuoto fra Ventimila Leghe Sotto I Mari e L’Isola Misteriosa raccontando che il capitano Nemo ha incontrato il dottor Jekyll e Dorian Gray. No, non si fa!

Sono sicuro che Lo Hobbit mi farà incazzare. Tutte e due le volte che lo vedrò.

(continua)

E l’ho portato al negozio che me l’ha venduto, ed era il 24 luglio, e gli ho detto che ci sono un po’ di cose che non vanno e che siccome è ancora in garanzia pensavo di farglielo un po’ controllare, una cosa così, informale, pensavo. E la signora del negozio, una discreta gnocca di quelle che però lo sanno di essere discrete gnocche e si comportano di conseguenza, precipitando così agli ultimi posti della mia personale classifica di apprezzamento, ma comunque sempre al di sopra di Gegia, mi ha spiegato che non c’era problema e che in tre quattro settimane me l’avrebbero restituito riparato.

Siccome lo so che la sfiga aleggia sempre dove non è richiesta ho messo le mani avanti, ma non troppo, sennò il marito della signora mi avrebbe potuto dire con voce irata “smettila di toccare le tette di mia moglie!” e ho chiesto quando avrebbero chiuso per ferie loro, che facendo due conti si andava a finire a ridosso di ferragosto, quando tutti chiudono per ferie, perfino io che lavoro anche quando non c’è niente da fare e si starebbe meglio in spiaggia, per dire. La signora ha scosso la testa, mandando i lunghi capelli biondi a sbattere sul muso del suo odioso chihuahua, che non ha reagito, si vede che è abituato, e mi ha detto tranquillo, noi chiudiamo l’ultima settimana di agosto, c’è tutto il tempo. E io, che lo so che fine ha fatto tranquillo, mi sono sentito in dovere di aggiungere che a fine settembre mi serviva, che devo andare all’estero e me lo voglio portare dietro. La signora a quel punto ha perfino riso la sua risata argentina, che non lo so se in Argentina ridono così, e cosa ne può sapere lei che è italiana, ma probabilmente è un modo di dire che si riferisce all’argento e non al Sudamerica, e mi ha detto che ci mancherebbe se per la fine di settembre non me l’hanno riparato, haha.

Oggi è il 19 settembre e il 28 parto e non me l’hanno ancora riparato. Haha.

Ho chiamato il negozio e squillava libero, e poi partiva il fax. Si vede che è chiuso, ho pensato, anche se di martedì alle sei e mezza cosa chiudi a fare, si vede che ti sei arricchito vendendo i telefoni che i clienti ti portano da riparare, ho pensato. Poi mi è venuto lo scrupolo di cercare su internet “samsungalacsi assistenza tempi di consegna” per vedere se sono io troppo esigente, e ho scoperto che c’è gente che ha tentato il suicidio perché dopo cinque settimane non avevano ancora ricevuto indietro il telefono, e uno che dopo un mese e mezzo si è visto rispondere da quelli del forum che se la tirano da espertoni che poteva denunciarli e RESCINDERE IL CONTRATTO. Proprio così, RESCINDERE IL CONTRATTO, maiuscolo. Ho riso, ho pensato che allora forse avrei dovuto fare come Walter White nei primi dieci minuti del primo episodio della quinta stagione di Breaking Bad e aprire il bagagliaio della macchina e trovarci dentro un m60 con due tre scatole di proiettili traccianti.

Sarebbe divertente: arrivo, ci posteggio davanti, ma non negli spazi delimitati dalle righe bianche, proprio davanti alla porta di traverso, un po’ sul marciapiede, scendo, apro il bagagliaio e tiro fuori il pezzo già carico; lo imbraccio con disinvoltura ed entro.

No, spetta, il negozio ha la porta dura, se provo a spingere con l’m60 a tracolla mi impiccio e devo metterlo di traverso.
Allora entro spingendo di schiena, così posso tenerlo a tracolla con la canna in avanti, da duro.
No, neanche, che appena sono entrato la porta si richiude e mi si incastra in mezzo il lanciarazzi.
Potrei chiedere a qualcuno di aprirmi la porta..
Vabbè, sai cosa faccio? Non posteggio sul marciapiede, sfondo direttamente la vetrina e.

Un cazzo, poi la riparazione alla macchina chi la paga? Niente, lascia perdere Breaking Bad, vado avanti a leggere e c’è uno che diche sul sito della samsu puoi fare il tracking della riparazione inserendo l’imei. Cos’è che devo inserire? L’email? Ah no, ho capito, devo avercela scritta sul contratto, spetta che lo cerco. Ochei, digito l’imei..

..mi chiede di scrivere bene le lettere scritte male. Perché, poi? Non facevi prima a scriverle bene già tu? Vabbè, le scrivo..

..mi dice che non le ho scritte bene. Grazie al cazzo! Le hai scritte di merda! Vabbè, le riscrivo, sennò domani siamo ancora qui..

..mi dice che non c’è traccia della riparazione su questo telefono. Apperò! Allora divento un pochino apprensivo e richiamo il negozio, che però non risponde.

Allora provo a chiamare dal telefono fisso, che di solito li chiamo col cellulare, magari mi hanno bloccato il numero per non essere contattati due volte la settimana dal solito rompicazzo che rivuole il suo cellulare, haha, certe volte sono proprio spiritoso.

Rispondono subito. Vabbè, sarà un caso, e poi credo che quando ti mettono nei numeri bloccati dovresti trovare occupato, tipo. Stibbastardi è un pensiero che non sono riuscito a fermare in tempo, mi è partito così, libero e selvaggio. L’ho ripetuto sottovoce mentre di là il commesso con la faccia da indiano rispondeva pronto.
Davvero, somiglia a Grande Capo, il gigante di Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo, solo che lui è più basso e ha un po’ di panza, nonostante sia tipo trent’anni più giovane dell’altro.

Gli ho detto chi sono e cosa voglio, gli ho detto che sono due mesi e che mi sarei anche rotto un po’ il cazzo e che mi piacerebbe sapere che fine ha fatto il mio telefono. Non ho fatto riferimenti a Breaking Bad perché non mi è ancora chiara la faccenda della porta che si chiude da sola, ma appena la risolvo vede.

Normalmente mi fanno parlare con la commessa giovane e francamente più carina della milf di cui sopra, che mi dice che dovrei richiamare la settimana prossima e che comunque dice il titolare che appena arriva il telefono mi chiama lui e di non preoccuparmi grazie gentilissimo ciao ciao, ma stavolta si vede che sono riuscito a eludere il sofisticato sistema di difesa dai rompicazzo e allora è meglio approfittarne.

Spiego a Piccolo Capo la faccenda dell’imei e mi dice che loro spediscono tutto a una ditta di Alessandria che si chiama nonmiricordopiù e questi poi i telefoni in garanzia come il mio li mandano poi all’assistenza samsu, quindi da lì a loro e da loro al negozio, per quello che ci vuole un po’ di tempo. Ochei, ma questo non spiega l’assenza di miei telefoni riparati sul sito della samsu, mi verrebbe da puntualizzare, però il sito della samsu funziona un po’ come i suoi telefoni, e allora lui mi potrebbe chiedere perché me ne sono comprato uno se sapevo che funzionano così, e allora me ne sto zitto, tanto mi dice Piccolo Capo che domani mattina prima cosa che fa chiama l’assistenza e gli chiede cos’è successo al mio telefono e se richiamo me lo dice, basta che chiamo da un numero mai usato prima per una questione che adesso non ha tempo di spiegarmi hehe.

Domani li richiamo, ma adesso vado a cercare su questo forum dove spiegano come far passare i fucili mitragliatori per le porte a molla, che ho paura che la faccenda andrà ancora per le lunghe.