Che poi provaci un po’ a tirare su i piedi e giù in acqua con sto freddo ci hai pure un’età ma sei cretino io se ti viene la polmonite non ti ci vengo a casa a farti le spremute, provaci a zittire quella bocca che ti si spalanca nella testa e urla nonononono. Hai una forma stampata in testa e non te ne schiodi.
Ma no, è che non ho niente da dire, è difficile fare esercizio autoimposto di perdita dell’equilibrio se non hai niente da dire, anche quando qualcosa da dire ce l’hai ma non sai come dirlo e allora forse perdere l’equilibrio ti aiuta a tirare fuori quelle cose che.
Certe bottiglie contengono una sostanza capace di aiutarti a perdere benissimo l’equilibrio, ma non sta in tutta la bottiglia, è una cosa che si trova fra la metà e il fondo.
E intanto qui non si perde niente, troppa punteggiatura a tenere il freno, troppe immagini quadrate ordinate sistemate a modino mica come il mio armadio. Forse dovrei chiudermi nell’armadio, chissà come la prenderebbe il gatto a vedersi arrivare un intruso, perlomeno i peli che sfoggio sul maglione comincerebbero a essere i miei.
Ma come fai, provaci tu a tirare su i piedi e giù in acqua con sto freddo e hai appena finito di mangiare se ti viene una congestione io non ti vengo a ripescare e il bagnino a marzo sta facendo ancora la stagione invernale sulle piste, ce la fai a stare a galla altri tre mesi? Che poi cosa vuol dire provaci tu, sono io quello che ci deve riuscire, se ci riesci tu cosa mi cambia?
Che poi cosa vuol dire perdere l’equilibrio, cosa faccio, abbandono le virgole e i punti e faccio flusso di coscienza come coso? A me il flusso di coscienza sta sul cazzo, troppo facile da scrivere e complicato da leggere, me lo faccio per conto mio, cosa vuol dire che scrivo una roba incasinatissima passo da un argomento all’altro senza separare neanche con una virgola una parentesi incastro le frasi una nell’altra e ogni tanto ci sparo un pensiero peso come una fucilata di notte e te la sbatto lì e ti dico leggila? Ma chi te lo fa fare, sei mica il mio analista. Magari lo fossi, vorrebbe dire che posso permettermi un analista invece di aprirmi testa e torace ogni due tre giorni per capire cosa sta succedendo lì dentro, non è qualcosa che uno fa così per noia, ti costa anche una certa fatica, l’altra sera ero a cena fuori e al mio tavolo era seduta la Etta, che sarebbe la versione umana di Yoda, ma che a parte quello con me è sempre gentile, non mi fa mai volare il piatto per la stanza, per dire, e mi ha fatto notare che sono dimagrito tantissimo, e io per rassicurarla che sto bene mi sono mangiato tre antipasti e due piatti monumentali di taglierini all’astice che erano di un buono che ci tornerei anche stasera, e lei si è rassicurata e ha detto che se c’è l’appetito c’è tutto e magari hai solo un tumore che ti sta mangiando un po’ alla volta anche mio marito era così, e magari è quello oppure tutta l’energia che brucio a ficcarmi le mani in testa e tirare ogni volta che con le dita riesco ad abbrancare un pensiero di cui vorrei liberarmi, e tiro tiro ma quello stronzo è viscido e alla fine mi scappa dalle dita e torna a rintanarsi laggiù dove non arrivo neanche con una bacchetta, ma non lo farei lo stesso, ti pare che mi infilo una bacchetta in testa, e poi dove la faccio passare, nel naso no che fa schifo, in bocca tossisco, nelle orecchie c’è da farsi male seriamente, negli occhi forse è l’unica, ma ci sto già cacciando dentro le dita non ci passa, è per quello che quando mi guardi li ho lucidi e ti chiedi se ho pianto, non ho pianto, ci ho ficcato le dita dentro per tirare fuori quel pensiero là, e tu mi domandi che pensiero, e io te lo dico, segno che non sono riuscito a tirarlo via, sennò ti risponderei che pensiero?
Che pensiero?
Che pensiero?
L’ho chiesto prima io.
Cosa?
Che pensiero.
Che pensiero?
L’ho chiesto prima io.
Cosa?
Poi nel silenzio della notte si sente una fucilata e dalle case qualcuno pensa ai bracconieri, qualcuno a un regolamento di conti, qualcuno a un suicidio, ma nessuno dei tre casi merita che si accenda una luce, o non sono cazzi loro o non c’è nessuna urgenza, oramai il danno è fatto, girati di là e fai tacere il cane, domani vado a vedere cos’è successo. E invece non è morto nessuno, ancora. Ma se aspetti un po’, un bel po’, vedrai che otterrai soddisfazione. Che certe volte uno mica muore così, di colpo. Uno muore una riga alla volta, un pensiero alla volta, una resa alla volta. Oggi all’ortografia, domani ai pensieri viscidi che vuoi stare lì e stacci, ti faccio vedere che io vivo bene lo stesso, guarda qua, GTA5, mi fai un baffo, ti chiudo in una gabbia di cazzate che voglio vedere come te ne tiri fuori, e lui non aspettava altro, prima o poi lo spegnerai quel giochino del cazzo, e io lì ti aspetto, ti salto addosso la sera prima di andare a dormire, mentre ti lavi i denti, al lavoro quando sei da solo e sbadigli, per la strada appena hai svoltato sul ruscello e non ti vede nessuno, ti prendo da solo quando non puoi chiedere aiuto e ti mangio la cartilagine delle ginocchia, ti rendo difficile camminare, ti faccio pendere verso il bordo della strada, come sarà caderci dentro di questa stagione, lasciarsi andare, perdere la brocca e nuotarci in quel palmo d’acqua fredda? Perché non ci provi? Perché io non ti mollo sai, ti schiaccio contro il muro e ti arpiono la gola e finché hai un filo d’aria è mia, sei mio, tutto mio, la penna è mia, il controllore è mio, il treno è mio. Scusa, ogni tanto mi scappa la citazione, abitudine, dopo un po’ che ti metti una maschera ti si incolla alla faccia e ti scordi di levarla.
Cos’è stato questo botto? Cacciatori?

Vorrei scoprire che sei sola. Che ti sei lasciata da poco con uno stronzo che non ti considerava abbastanza e aveva sempre da andare a giocare a calcetto il martedì sera. Con cui comunque non avevate mai avuto granché da dirvi.

Che leggi un sacco di libri seri, ami i classici e le poesie, e che quando non hai voglia di leggere ti butti sul divano e ti scarichi l’ultimo Iron Man. Vorrei incontrarti per caso in fumetteria e dirti che sono quello che ti ha parlato quella volta là, mentre cercavi di spiegare alla libraia come si cucinano le albondigas. Vorrei che lo spiegassi anche a me.

Sarebbe bello che ti mancasse proprio uno indipendente ma disordinato, che ama farsi da mangiare ma è pigro, che se può evita ma quand’è costretto se la cava piuttosto bene, che se ti invitasse a cena da lui non ti farebbe mangiare male, ma se gli preparassi una schifezza non si lamenterebbe.
Non troppo, perlomeno.

Vorrei che fossi in quel particolare periodo della tua vita in cui se proprio devi avere vicino un uomo dovrebbe essere spiritoso, e non il solito palestrato idiota con cui esaurisci gli argomenti dopo un quarto d’ora. Anzi, vorrei che il tuo ideale fosse proprio il contrario del palestrato, tipo uno con gli occhiali e l’aspetto trasandato, incapace di presentarsi e che ti guarda andare via da dietro uno scaffale sperando che ti volti a salutarlo. Uno timido, non l’esibizionista che poi cosa cazzo avrà da esibire, visto un tricipite visti tutti, uno che se ci perdi mezz’ora ti apre una finestra su un mondo di cui non si vede la fine e devi picchiarlo per farlo tacere.
Magari uno che però alla fine non lo picchi perché smette di parlare e ti guarda come si guarda un quadro, cercando di capire le ragioni di ogni pennellata, guardando la traccia di blu e provando in silenzio a farsi un’idea di quello che ha davanti. Che cerca di imparare qualcosa, e se può di condividere quel poco che conosce.

Sarebbe fighissimo che proprio quella sera ti trovassi per caso al solito baretto e vedessi arrivare un tipo così, e fossi con qualche tua amica che quel tipo lì lo conosce e lo fermasse per dirgli qualcosa e ti desse l’occasione di presentarti, e restassi colpita da qualcosa, ma colpita in positivo, non dai peli di gatto sulla giacca che fanno un sacco sciatteria o dalla barba di due giorni che o te la tagli o te la fai crescere ma così proprio non si può vedere.

Magari ti ricorderesti che tu quel tizio lì lo hai già incontrato tempo fa, e poi ti verrebbe in mente quella cosa della libreria e a quel punto sarebbe pazzesco se tu fossi una di quelle ragazze disinvolte che amano attaccare bottone e si fanno guidare dalla simpatia a pelle che scoprono di provare per una persona, e sarebbe del tutto normale chiedergli a quel tizio lì se alla fine ha imparato a cucinarle, le albondigas, e lui, che non aspetterebbe altro, perché è timido mica ritardato, ti terrebbe lì a chiacchierare di qualsiasi cazzata per un’ora, e la tua amica sarebbe bello che fosse abbastanza sveglia da capire che non è il caso di intromettersi.

Poi vabbè, magari questo è fantascienza, ma mi piacerebbe che a quel tizio lì gli lasciassi il tuo numero di telefono e ti venisse voglia di rivederlo presto, tipo il giorno dopo, e trovaste una scusa qualsiasi per organizzare un altro incontro, e poi vi vedeste con quella luce negli occhi di due che sanno benissimo cosa sta per succedere e se la prendono con calma ma non troppo, e prima della fine della giornata quello che sta per succedere succedesse e vi ritrovaste dopo qualche giorno sparati dentro un film adolescenziale un po’ stereotipato di quelli che passano su Italia Uno alle cinque del pomeriggio, ma che non ve ne fregasse granché perché in quei film ci si sta da dio, e dopo tanti scazzi un po’ di gioia ve la meritereste, sia tu che lui.

E poi vorrei scoprire come si chiama quello stronzo lì, e menarlo, perché al suo posto volevo starci io.

bisognerebbe impararsela a memoria solo per i nomi bellissimi che riporta

« Piramide al capo più meridionale del Nilo, come segno dell’inizio del fiume delle Piramidi – Eretta nel 1938, sotto la protezione del proconsole Jungers e con l’aiuto dei Padri Colle e Gerardine e di Monteyne, dal dr. Burkhart Waldecker in memoria di tutti coloro che hanno cercato il capo del Nilo, [che sono] Eratostene Tolomeo Speke Stanley e altri – Sono nomi del Nilo Kasumo-Mukesenyi-Kigira Luvironza-Ruvubu-Kagera Lago Vittoria-Nilo Vittoria Lago Kyoga-Mwita Nzige (Lago Alberto) Bahr el Gebel-Kir-Bahr el Abiad Nilo. »


Ogni tanto unisco i palmi delle mani e ne tengo uno un po’ più indietro, per sentirlo più piccolo. Se chiudo gli occhi posso fingere che quella mano sia tua. Non funziona benissimo, eh? Manca il tuo viso perplesso quando riapro gli occhi, manca il profumo del tuo collo quando attraverso la distanza che ci separa e mi nascondo sotto la coperta dei tuoi capelli, e il mento e l’angolo della bocca che assaporo prima che la tua lingua mi travolga come una piena di fiume.

Mi mancano tutti i tuoi baci, quelli timidi e quelli affamati, e la tua mano che si infila nella mia quando non me l’aspetto, e il tuo sedere che mi scivola in mano, e tutto quello che ho assaggiato e morsicato e toccato, e il tuo respiro e quello che ho trovato nel tuo abbraccio, che è come sedersi sul dondolo e leggere un libro che racconta di te.

Ti ho conosciuta un po’ per volta, ho unito i puntini di quel che mi hai mostrato e il disegno è venuto fuori un po’ incerto, misterioso, ma più andavo avanti a tirare righe più i particolari mi facevano correre la penna sul foglio. Intorno al trentacinque ho cominciato a intuire che in quel ghirigoro si nascondeva qualcosa di prezioso. I tuoi pantaloni stretti, gli scalini di casa tua, l’anello della nonna, la passione per gli ombrelli, finestre senza le tende su un paese che non conosco, dove si parla una lingua così diversa dalla mia. Abitudini che non comprendo, così diverse dalle mie da farmi domandare se ci sia davvero qualcosa che ci unisce.

È che mi fai sentire un esploratore, di quelli che nell’Ottocento risalivano il Nilo per individuarne l’origine, coi binocoli e la bussola.

Mi affido al telefono, ti mando un messaggio per sapere dove sei, mi rispondi con una faccina. Ti dico che mi manchi, ricevo un’altra faccina. Potrei arrendermi e chiedere all’elefante se ti ha visto passare, ma io con gli elefanti non ci parlo.

Così ti scopro da solo, una faccina alla volta, quella per quando ti prendo in giro, quella per quando ti guardo ad alta voce, e vorresti che mi voltassi di là, che non lo sai sostenere uno sguardo, e non capisci lo spreco a non essere guardati da occhi come i tuoi.

Cammino lentamente, come uno che cerca posteggio, e ho paura che quando arriverò te ne sarai già andata, e mi guardo le mani, le unisco insieme e chiudo gli occhi. Non basta mica.

Ti ho baciata una sera, a sorpresa, ed è stato dolce, ed è stato speciale.
I primi baci ce l’hanno questa cosa, di essere dolci e speciali.
Poi non ci siamo più visti.

Quando ti rivedrò, domani, fra un mese, boh
Sarà come un altro primo appuntamento, quando non sai bene cosa potrebbe succedere
Resterò lì a chiedermi se posso baciarti di nuovo, magari ti sei scordata.
Magari me lo sono immaginato.
A volte lo faccio.

Piglierò di nuovo coraggio, basterà un po’ meno dell’ultima volta
Ti bacerò di nuovo, a sorpresa. Sarà dolce, e sarà speciale.
Sarà di nuovo la prima volta.

Se ci pigliamo gusto potremmo rifarlo sempre
Non ci vediamo più per un po’, poi ci rivediamo un po’ imbarazzati,
restiamo un po’ lì, poi ti bacio.
Tu fai quella che non se l’aspettava perché sei gentile, ma un po’ te la mena.

E anche questo mio struggimento lo trovi eccessivo
Ci vediamo tutte le settimane, dai.
Ma come faccio a spiegarti
Ci sono animali che non vivono così tanto.

Quella sera, mentre ti baciavo, da qualche parte del mondo nasceva un coso con le zampette
E quando ti bacerò di nuovo non ci sarà già più
perché i cosi con le zampette vivono solo cinque giorni quando gli va bene,
che di solito al terzo gli prende la depressione e s’impiccano.

Capisci?
Amore e morte! Ma chi ce l’ha?
A parte Romeo e Giulietta, certo.
Vabbè, Tristano e Isotta, chiaro.
Ma sì, Orfeo ed Euridice, era sottinteso.

Ho capito, niente cosi con le zampette che muoiono male per noi.
Per noi passeggiate sul mare lucide di pioggia,
Lampioni pallidi nella bruma,
Mattonelle scivolose.

È dolce anche così
Ma la morte l’avrei preferita in senso figurato.

Succede di guardare una persona da vicino e vederci il futuro.
Il tuo, il suo.
Quello dei pochi fortunati che lascerete avvicinare alla vostra perfezione.
Succede, non posso farci niente.

Come succede che i tempi non coincidano,
che uno dei due non sia pronto, il futuro diventa trapassato.
Il posto dei trapassati è il cimitero.

Per fare il morto bisogna sopportare l’acqua nel naso, tenere la schiena rigida e le gambe tese, sennò ti ribalti. È anatomia, gli uomini stanno a galla sulla pancia.
Per le donne è più facile, basta lasciarsi andare.

Io vorrei sapere chi sei quando ti lasci galleggiare.

Come se bastasse dire che va bene e chiudere il mondo fuori dalla casa di cartone.
I muri si scollano, ai mobili disegnati non si aprono i cassetti, ma tanto cosa ci devi mettere dentro?
La felicità non esiste, è tutto rumore di fondo.

Volevo una ragazza, ho trovato i Joy Division.
Ma forse hai ragione, i sogni finiscono, la disillusione mai.
Il vantaggio degli ultimi è che non li sorpassa nessuno.

Io non vado mica bene per te.
Vuoi un uomo solido ma non vuoi la forma,
la quiete quando fa burrasca e il caos quando non c’è.

Fra noi non poteva funzionare, io sono anaffettivo e troppo emotivo,
tu sei troppo coinvolta e troppo fredda.
Aspetta, non ho capito, puoi ripetere?

È che non mi apro abbastanza.
Poi sì, poi no, poi troppo, e tu vuoi un fidanzato, mica una tapparella.
Tu devi far quadrare i conti.

Ma non eri tu, serate a leggere poesie? Un amore che mi porti via? Perdersi nell’altro?
Non accetto niente di meno?

No, adesso non hai tempo, non ti puoi fermare.
Le priorità.
Progetti per il futuro? Fissare il vuoto.

Fai bene, la poesia non te lo paga il mutuo.
Il futuro costruiscilo con chi te lo può mantenere.
Magari prima o poi riuscirete anche a parlarvi.

Anche il teatro delle marionette è teatro.

Magari lo trovi un contabile poco impegnativo
instabile nell’immobilità
che ti darà dei figli
ma non ti parlerà
troppo.

Ti farà
felice no
comoda.
Ti farà comoda.

Auguri.