..se non fosse che il post che avrebbe dovuto chiamarsi “Aiuto!” si è perso per sempre nelle maglie della rete, spintonato via dal mio pollice che ha premuto inavvertitamente il tasto laterale del maus troppofigoperviaggiaresuinternet e ha ricaricato la pagina buttando via dieci minuti di stupendo cazzeggio. No, davvero, non scherzo, stupendo, perché mi ero appena alzato da tavola, i sensi piacevolmente ottenebrati da mezza bottiglia di rosato, un tappeto musicale creato appositamente dal signor M. D. Davis, una fidanzata sorridente e piena di sguardi amorevoli e una gran voglia di tirare giù cazzate. Adesso il torpore creato dal vino è svanito, John Mc Laughin è terminata e anche la fidanzata si è messa a fare le pulizie notturne, sostenendo che di giorno fa troppo caldo e di notte si lavora meglio, ed è già passata dal Love Mode al Macheccazzocifaisempreingiroaciondolare Mode, e tutto di colpo non è che ho più tanta voglia di mettermi a raccontare cazzate senza capo nè coda, tipo della professoressa morta che poi però no ma poi morta davvero solo che neanche quella volta tanto che ancora adesso gira per strada e quando mi incontra e mi dice “Ciao Renzi” come quando ero alle medie, con quel sorriso ipocrita da bigotta bastarda mi verrebbe voglia di strangolarla e accertarmi che stavolta si, e per davvero e per sempre.

No, davvero, non ne ho voglia, ho un sacco di cazzi che mi girano intorno aspettando di trovarmi con le braghe calate, non sto neanche aggiornando la newsletter di ARTErnativa/Fegato Di Merluzzo e già immagino i commenti degli iscritti abbandonati a sè stessi: “Quale newsletter?”, “Eh?”, “Ah perché scrivi una newsletter?”, “Mah, non so, non l’ho mai letta, di solito la cestino senza aprirla”.

Facciamo che ci vediamo quando fa un po’ più fresco, o alla prossima ciucca.

..se non fosse che il post che avrebbe dovuto chiamarsi “Aiuto!” si è perso per sempre nelle maglie della rete, spintonato via dal mio pollice che ha premuto inavvertitamente il tasto laterale del maus troppofigoperviaggiaresuinternet e ha ricaricato la pagina buttando via dieci minuti di stupendo cazzeggio. No, davvero, non scherzo, stupendo, perché mi ero appena alzato da tavola, i sensi piacevolmente ottenebrati da mezza bottiglia di rosato, un tappeto musicale creato appositamente dal signor M. D. Davis, una fidanzata sorridente e piena di sguardi amorevoli e una gran voglia di tirare giù cazzate. Adesso il torpore creato dal vino è svanito, John Mc Laughin è terminata e anche la fidanzata si è messa a fare le pulizie notturne, sostenendo che di giorno fa troppo caldo e di notte si lavora meglio, ed è già passata dal Love Mode al Macheccazzocifaisempreingiroaciondolare Mode, e tutto di colpo non è che ho più tanta voglia di mettermi a raccontare cazzate senza capo nè coda, tipo della professoressa morta che poi però no ma poi morta davvero solo che neanche quella volta tanto che ancora adesso gira per strada e quando mi incontra e mi dice “Ciao Renzi” come quando ero alle medie, con quel sorriso ipocrita da bigotta bastarda mi verrebbe voglia di strangolarla e accertarmi che stavolta si, e per davvero e per sempre.

No, davvero, non ne ho voglia, ho un sacco di cazzi che mi girano intorno aspettando di trovarmi con le braghe calate, non sto neanche aggiornando la newsletter di ARTErnativa/Fegato Di Merluzzo e già immagino i commenti degli iscritti abbandonati a sè stessi: “Quale newsletter?”, “Eh?”, “Ah perché scrivi una newsletter?”, “Mah, non so, non l’ho mai letta, di solito la cestino senza aprirla”.

Facciamo che ci vediamo quando fa un po’ più fresco, o alla prossima ciucca.

Tempo fa, non ricordo esattamente quanto e non ho voglia di andare a verificare, decisi che il mio vecchio blog non aveva più ragione di esistere, e lo potai, come si fa con l’alloro. Me l’ha insegnato mio papà, per far crescere sano e forte l’alloro bisogna potarlo; solo che lui non è capace, e l’ultima volta ha ridotto una rigogliosa pianta in un insieme di rametti logori e rinsecchiti.
Io ho imparato da lui, dicevo, e nella fretta di liberarmi della zavorra accumulata in anni di scazzi, ho buttato via tutto.
Certo, una copia per me l’ho conservata, vuoi che non trovi il modo di appagare il mio narcisismo? Di quel che scrivo conservo tutto, anche i bigliettini della spesa, si sa mai che un giorno possano essere venduti all’asta per milioni di euri..
Oggi scopro che qualcun altro ha fatto lo stesso, e mi faccio un tuffo all’indietro, al 2003..

Che non ne ho voglia di scrivere quello che ho già scritto sul blog delle cappe, dove non avevo voglia di scrivere neanche lì, ma devo farlo anche se ci ho sonno, perciò copio come dal mio compagno di banco.
E lo so che ho già intitolato un altro post così, ma questo è un avviso, voi siete naviganti, quindi non scassatemi la minchia e leggete.

Attenzione attenzione!
Annunciaziò annunciaziò!

DOMENICA 13 LUGLIO
ora di pranzo grossomodo

GRANDE GRIGLIATA
CAPPESTRE
COMEQUELLADELLANNOSCORSO
NELSOLITOPOSTODELLANNOSCORSO

A RONCO SCRIVIA
presso la trattoria CHEZ UGO
dove per Ugo si intende il mio asino

MENU VARIABILE
nel senso che ognuno si porta quel che gli pare
oppure lo frega agli altri mentre pisolano sull’amaca

ACCORRETE NUMEROSI!

SI ATTENDONO CONFERME VIA MAIL O TELEFONO

Estate 1955, il sole picchia forte su Canelli, e sotto un pergolato il signor Gregorio Carosso, militante del Pci, rimbrotta il figlio dodicenne:
“Muzio, tu devi fare qualcosa di comunista!”
“Tipo mangiare i miei compagni di scuola?”
“No! Qualcosa che onori la Grande Madre Russia! Imparerai a giocare a scacchi!”
“Ma a me piace la briscola in cinque!”
“E chi se ne frega! Tu diventerai un grande scacchista! Guarda, ti ho comprato questo libro per insegnarti le regole del gioco che tutti in Russia praticano con successo!”

scacchi celtiE così, seguendo le lezioni di “Scacchisti in 24 ore”, Muzio Carosso intraprese i suoi primi passi in un mondo più vasto, diciamo 64 caselle.

Soltanto quattro anni più tardi è un Muzio Carosso molto diverso quello che si iscrive al torneo provinciale di scacchi. Ha la barba di pelomatto che lo fa somigliare a un mugik spelacchiato, sa recitare perfettamente l’internazionale comunista, e soprattutto ha battuto ogni avversario della sua scuola durante l’ora di ricreazione, guadagnandosi il nomignolo di “Gran maestro della scuola superiore di agraria Rino Gaetano”.

Data la giovane età gli iscritti al torneo non lo considerano un avversario temibile, loro provengono tutti da circoli prestigiosi dei dintorni, qualcuno arriva addirittura da Cuneo, sono abituati a scontrarsi con giocatori ben più sgamati.

Il primo incontro ufficiale Muzio lo gioca contro un certo Anselmo Giribauda, un professore col pizzetto e degli occhialini tondi che al giovane e indottrinato Carosso ricordano quelli di Trotzkij. Perscacchi incelti tutta la partita lo osserva affascinato, e quando mezz’ora più tardi il professor Giribauda gli impone il matto Muzio salta in piedi, gli stringe la mano ed esclama: “Grazie! La prego, venga a collettivizzarci l’orto!”

Per fortuna il torneo non prevede l’eliminazione diretta, e Muzio può ancora affrontare l’avversario che verrà in seguito ricordato come “Colui che subì la prima sconfitta da Muzio Carosso”, Enzo Scariello.
Dopo avergli mangiato l’alfiere a costo del cavallo, la torre perdendo la regina e la regina sacrificando una scarpa del padre, che indispettito dall’andamento della partita gliela scagliò addosso dalla tribuna, Muzio passò al contrattacco e ficcò il rimanente alfiere nell’occhio di Scariello, obbligandolo a ritirarsi.

scacchi delle apiEra una buona tecnica, e Muzio cercò di affinarla. Nella partita successiva si trovò presto in difficoltà e decise di arroccare, ma invece di depositare la torre accanto al re la serrò forte nel pugno e colpì l’avversario al setto nasale, mandandolo al tappeto.

Nessun regolamento prevedeva ancora il reato di violenza ai danni di un giocatore, quindi Muzio restò impunito e solo al tavolo di gioco, passando il turno.

Aveva creato l’arrocco violento, mossa per cui divenne celebre. In poco tempo nessuno voleva più battersi con lui, e quando lo facevano fuggivano urlando appena gli vedevano posare la mano sul re.
La fama dell’Arrocchino divenne internazionale, e nella graduatoria mondiale la sua posizione saliva sempre più.
Muzio Carosso cominciò ad arricchirsi coi tornei, e sentendosi finalmente importante scrisse libri e fondò scuole di scacchi in cui insegnava la tecnica che l’aveva reso famoso e altre, come quella del “Cavallo incaprettato”: prima dell’incontro mandava due sgherri a sequestrare un parente dell’avversario, quindi lo invitava a lasciarsi battere se non voleva subire conseguenze.scacchiccazzosiete

Fu una gloria che durò una decina d’anni, finché la Federazione istituì una regola che vietava l’uso della violenza e dell’intimidazione durante le partite, e la rese retroattiva.
Di punto in bianco Muzio Carosso si trovò privato dei titoli accumulati e della possibilità di partecipare a qualsivoglia manifestazione in cui comparisse una scacchiera, compresa la dama, il carnevale di Venezia e le rievocazioni medievali.

Impossibilitato a dedicarsi ancora alla sua attività preferita non gli restò che convertire le sue numerose scuole di scacchi in palestre di pugilato, e di lì in avanti non si sentì più parlare di Muzio Carosso lo scacchista, ma dell’ottimo trainer “Arrocchino pugno d’acciaio”.

Qualche giorno fa sono stato invitato a una convention di fantascienza per ritirare il prestigioso Roddenderry d’Oro, riservato ai migliori racconti ispirati alla serie Star Trek. In finale sono arrivati il mio vecchio racconto Skaz Trek e il pacchetto sull’immigrazione di Maroni, che proponeva di teletrasportare tutti i clandestini a casa loro; ho vinto io con la motivazione che l’umorismo era voluto.

Dopo la premiazione mi sono fatto un giro, non ero mai stato a una convention di fantascienza, c’erano tizi vestiti da ET, da Alien, da Battlestar Galactica, c’erano riproduzioni di astronavi, proiezioni di famosi film, c’erano ragazze belle intelligenti spiritose e che te la danno come niente, e c’era, seduto a un tavolino a sorseggiare una bibita, Darth Vader.

Mi sono avvicinato, gli ho chiesto se era veramente lui, e per dimostrarmi di non essere una comparsa ha fatto una lettera c con pollice e indice, li ha mossi a simulare una chela, e dietro il banco il barista ha cominciato a soffocare, ed è stramazzato fra i bicchieri.

Cazzo! Era proprio Darth Vader quello vero! Mi sono subito seduto e gli ho fatto un’intervista al volo.
Non ho ordinato da bere, perché ci sarebbe stato troppo da aspettare.

Signor Vader, la prima domanda che vorrei farle è: com’è possibile che da giovane fosse un bel ragazzo attraente e da vecchio una specie di lumacone pieno di rughe e col doppio mento? Quell’armatura che indossa continuamente dovrebbe essere talmente pesante da garantirle un allenamento quotidiano pari a quello di un culturista!
No! Non si ricorda il finale del Ritorno Dello Jedi? Quando compare il mio fantasma è sempre giovane e aitante come alla fine dell’Episodio 3, quello che non mi ricordo come si chiama!

Non cerchi di fregarmi, lei si riferisce all’edizione rifatta, io parlo dell’originale dell’83!
Dannazione! Maledette vecchie leve! Perché non siete morti tutti insieme a Kurt Cobain? Non fate che saltar fuori alle convention e nei forum con queste cazzo di domande imbarazzanti, perché C1P8 è stato chiamato col suo vero nome solo nella nuova trilogia, come faceva il droide dorato a essere statto costruito da me su Tatooine se all’inizio dell’episodio IV non riconosce il posto, perché Lucas non è stato assassinato dopo l’uscita della Minaccia Fantasma! E non vi basta scassare le balle a noi, cercate di corrompere anche le nuove generazioni, tirate fuori vecchie edizioni in videocassetta che smentiscono la verità così come noi la divulghiamo, ci gettate discredito.. Dovrebbero infilzarvi tutti con una spada laser, altroché!

A proposito di spade laser, com’è che nei primi tre episodi c’è un massiccio uso di quelle fighissime a due lame e poi di colpo nessuno se le caga più?
Si è scoperto che provenivano tutte da una partita di spade laser taroccate fatte in Cina, hanno dato un mucchio di problemi, ti si spegnevano di colpo durante un duello, e certe volte ti facevano anche saltare il contatore in casa. Qualcuno dice che a un Cavaliere Jedi è esplosa in mano.

E le astronavi modernissime? Perché poi siete passati a quei catorci con gli scudi ai lati?
Perché con la nascita dell’Impero sono state promulgate delle leggi durissime sulla sicurezza spaziale, e i modelli fuoriserie come quelli cui si riferisce sono stati tassati come modelli di lusso, poco sicuri e quindi soggetti a controlli severi; piano piano la gente se n’è liberata ed è tornata ai vecchi modelli: consumano un po’ di più, ma almeno la polizia ti lascia vivere.

Lei è conosciuto come Lord Darth Vader. A cosa si riferisce la definizione di Lord? Possiede delle terre?
Si, l’Imperatore mi ha lasciato dei terreni, un bell’appezzamento dalle parti di Preputsia. Li governo, me lo lasci dire, col pugno di ferro.

Non ne dubito. E’ sposato?
No, dopo che la regina Amidala mi ha lasciato ho preferito restare solo, non è facile coniugare il lavoro di tiranno spaziale con una felice vita matrimoniale; non sai mai a che ora tornerai a casa, sei spesso in trasferta dall’altra parte dell’universo, e poi anche con le amiche..

Le sue?
Ma no, quelle di mia moglie! Cosa vuole, quando mi capita di strangolare un ufficiale non posso mica stare a guardare se è sposato a un’amica di mia moglie, io quando strozzo strozzo! Poi torno a casa e quella mi pianta certe scenate.. E anche al supermercato la gente la guarda, la indica, si dà di gomito; è imbarazzante.

Però il prestigio non la ripagava? Voglio dire, essere la signora Vader, sempre presente ai ricevimenti di corte, e il lusso..
Si, certo, quando le ho comprato la Morte Nera nuova le luccicavano gli occhi, ma appena l’ha presa per farci un giro me l’ha riportata tutta rigata, ha detto che è impossibile da posteggiare, non ci è voluta più salire. E alla lunga anche i ricevimenti.. sa, l’imperatore non è proprio una sagoma.. quando l’hai visto sparare i raggi dalle mani due tre volte non ha più molto da dire.

Mi tolga una curiosità, è da quando ho visto l’Episodio I che voglio chiederglielo: com’è a letto Natalie Portman?
Una francese, ha presente? Tutta uiuiuì cicicì, ma alla fine l’iniziativa non la prende mai. Io non è che tutte le sere potevo inventarmi qualcosa, il lavoro di signore dei Sith è stressante, certe volte mi sarebbe piaciuto stare sotto e lasciare a lei tutta la faccenda, ma non era proprio il tipo. Mi creda, appaga di più un wookie.

E’ stato a letto con un wookie?
Ero a uno di quei meeting di lavoro, sa, sulle nuove strategie di schiavitù, e con dei colleghi siamo andati a mangiare al ristorante; c’era un vinello di Marrazz 4 che andava giù che sembrava acqua minerale. Alla fine eravamo tutti storti, quando mi sono buttato a letto ci ho trovato questa coperta pelosa e me la sono avvolta addosso, solo che non era una coperta, avevo sbagliato stanza.

Adesso come trascorre le sue serate da single?
Il lavoro non mi concede molto spazio, e quando torno a casa, prima che abbia finito di lucidarmi l’armatura, cambiare i filtri alla maschera e stirare il mantello è già ora di coricarmi. Al massimo guardo un po’ di televisione.

Il suo programma preferito?
La De Filippi. Quando parla mi ricorda Boba Fett. E poi è sposata a Jabba The Hutt, e quei piccoli Javas che si agitano in studio.. tutta la sua trasmissione mi riporta indietro di trent’anni, che nostalgia!

L’ultima domanda e poi la lascio in pace. Ma perché Lucas non è stato assassinato dopo l’uscita della Minaccia Fantasma?
Perché gira con le guardie del corpo quel figlio di puttana! Dopo che ha avuto il coraggio di creare Jar Jar Binks c’era un codazzo di vecchi fans che lo aspettava fuori casa con le spranghe. Certi giorni si mettevano in coda per picchiarlo a turno, e la fila arrivava in fondo alla strada!

Oggi, quando sono arrivato a casa, mancava il gatto bianco e nero. Mi sono chiesto dove fosse finito, che di solito lo trovo in giardino ad aspettarmi.
Mi sono preoccupato, ha una ferita dietro l’orecchio, dono di qualche rivale notturno, ho temuto che gli fosse andata in suppurazione e che il poveretto si trovasse nascosto da qualche parte, a lasciarsi morire.
Il pensiero che potesse semplicemente averlo investito una macchina davanti a casa non mi ha neanche sfiorato: la mia inquietudine è raffinata, segue percorsi più tortuosi.

Ad aspettarmi in giardino c’era il gatto rosso, quello raffreddato, e mi ha accolto con una salva di starnuti; dev’essere questo tempo ballerino, c’è un’umidità che sembra di stare nella giungla, prosperano soltanto i funghi e le erbacce. Solo le seconde le trovo qui fuori.

Magari però non è il tempo, potrebbe aver contratto una di quelle malattie da gatti, ce ne sono talmente tante.. E se non lo curo non farà che peggiorare, l’occhio per esempio non mi sembrava che gli lacrimasse, ieri.

Se almeno ci fosse Marzia, lei saprebbe cosa fare. Gli darebbe una pastiglia, quella giusta che cura il raffreddore da gatti, o la rara malattia tropicale che colpisce solo i felini di pelo rosso.
Le i sa sempre cosa fare, come risolvere i problemi, non far attaccare il risotto, piegare le magliette negli armadi, sintonizzare l’antenna della tele; ha sempre una soluzione, di noi due è certamente lei la parte più concreta.
Averla accanto mi fa attraversare la vita con lo spirito più lieve, come se la stessi solo raccontando.

Non c’è niente di strano, c’è chi nasce per guidare e chi per guardare dal finestrino, e io mi sono sentito sempre più propenso al ruolo di spettatore.
La maggior parte delle cose che mi ruotano intorno mi sono aliene come motori di astronave, in compenso sono perfettamente a mio agio con le creature bizzarre che mi vivono dentro, con le quali comunico in ogni istante, spesso ad alta voce, con grande imbarazzo di chi mi sta vicino.

Avere qualcun altro seduto al posto di guida mi libera di un peso enorme, lasciandomi libero di dedicare tutta la mia attenzione al mondo che sta sotto i miei capelli. Non quello dei pidocchi, ancora più sotto.

Capita però in queste giornate nuvolose, questi intervalli di tempo votati all’incertezza, quando gli avversari si fermano a studiarsi, i libri terminano rimandandoti al volume successivo, le serie televisive si prendono una pausa, che il navigatore satellitare ti segnali di colpo che devi svoltare a sinistra, ma che alla tua sinistra ci sia il mare. E’ il caso in cui dovresti prenderti una pausa, accostare e riflettere, perché è sempre in quei momenti lì che il passeggero smette di guardare fuori, si volta verso di te e ti fa: “Siamo proprio sicuri che è questa la strada?”.

Oggi, quando sono arrivato a casa, mancava il gatto bianco e nero. Mi sono chiesto dove fosse finito, che di solito lo trovo in giardino ad aspettarmi.
Mi sono preoccupato, ha una ferita dietro l’orecchio, dono di qualche rivale notturno, ho temuto che gli fosse andata in suppurazione e che il poveretto si trovasse nascosto da qualche parte, a lasciarsi morire.
Il pensiero che potesse semplicemente averlo investito una macchina davanti a casa non mi ha neanche sfiorato: la mia inquietudine è raffinata, segue percorsi più tortuosi.

Ad aspettarmi in giardino c’era il gatto rosso, quello raffreddato, e mi ha accolto con una salva di starnuti; dev’essere questo tempo ballerino, c’è un’umidità che sembra di stare nella giungla, prosperano soltanto i funghi e le erbacce. Solo le seconde le trovo qui fuori.

Magari però non è il tempo, potrebbe aver contratto una di quelle malattie da gatti, ce ne sono talmente tante.. E se non lo curo non farà che peggiorare, l’occhio per esempio non mi sembrava che gli lacrimasse, ieri.

Se almeno ci fosse Marzia, lei saprebbe cosa fare. Gli darebbe una pastiglia, quella giusta che cura il raffreddore da gatti, o la rara malattia tropicale che colpisce solo i felini di pelo rosso.
Le i sa sempre cosa fare, come risolvere i problemi, non far attaccare il risotto, piegare le magliette negli armadi, sintonizzare l’antenna della tele; ha sempre una soluzione, di noi due è certamente lei la parte più concreta.
Averla accanto mi fa attraversare la vita con lo spirito più lieve, come se la stessi solo raccontando.

Non c’è niente di strano, c’è chi nasce per guidare e chi per guardare dal finestrino, e io mi sono sentito sempre più propenso al ruolo di spettatore.
La maggior parte delle cose che mi ruotano intorno mi sono aliene come motori di astronave, in compenso sono perfettamente a mio agio con le creature bizzarre che mi vivono dentro, con le quali comunico in ogni istante, spesso ad alta voce, con grande imbarazzo di chi mi sta vicino.

Avere qualcun altro seduto al posto di guida mi libera di un peso enorme, lasciandomi libero di dedicare tutta la mia attenzione al mondo che sta sotto i miei capelli. Non quello dei pidocchi, ancora più sotto.

Capita però in queste giornate nuvolose, questi intervalli di tempo votati all’incertezza, quando gli avversari si fermano a studiarsi, i libri terminano rimandandoti al volume successivo, le serie televisive si prendono una pausa, che il navigatore satellitare ti segnali di colpo che devi svoltare a sinistra, ma che alla tua sinistra ci sia il mare. E’ il caso in cui dovresti prenderti una pausa, accostare e riflettere, perché è sempre in quei momenti lì che il passeggero smette di guardare fuori, si volta verso di te e ti fa: “Siamo proprio sicuri che è questa la strada?”.

“Ahimè”, si lamentava il povero giovane non più tanto giovane, e intanto aggiungeva dolore al suo dolore per quella giovinezza che si era ormai fuggita tuttavia, senza neanche lasciargli il tempo di essere lieto, troppo preso a considerare le incognite del suo domani.

“Ahimè”, ripeteva, considerando i mali che lo affliggevano, e rimirando fuori dalla finestra in cerca almeno di un qualche stormo di uccelli neri come esuli pensieri nel vespero migrar. Macché, solo pioggia. Con quel tempo gli uccelli neri com’esuli pensieri non migravano affatto, se ne stavano ben rintanati al caldo dei loro nidi.

Anche lui se ne stava rintanato nella tana, con la sola compagnia di tre gatti e un cane, sette occhi in tutto, neanche la soddisfazione di guardarlo con sguardi pari gli concedevano quei quattro stronzi, e intanto si lamentava che la casa era fredda e umida, e solitaria era, soprattutto solitaria, che la sua fidanzata l’aveva lasciato un’altra volta per correre dietro a fortuna e gloria sulle bancarelle di una fiera al Porto Antico.

“Ahimè”, si lamentava il poveretto, mentre il cane saltava sul divano ad asciugarsi le zampe ancora bagnate di pioggia della passeggiata appena terminata. La sua fidanzata avrebbe trovato la casa in ben misero stato, quando sarebbe tornata, di lì a quindici giorni, e allora la disperazione del giovane non più tanto giovane (ahimè!) si sarebbe tramutata in dolore acuto, trafitta dai dardi feroci che la terribile padrona di casa gli avrebbe scagliato contro, intanto che raccoglieva panni sporchi e disordini diffusi in giro per il pavimento lercio.

Non avrebbe potuto evitarlo, lo sapeva, che la sua natura aliena di creatura sporchevole era difficile da domare, impossibile da reprimere, e non sarebbe servito neanche trascorrere quindici giorni immobile sul divano a giocare alla pleistescio senza mangiare nè andare in bagno, che di certo il modo per incasinare casa lo avrebbe trovato lo stesso.

“Ahimè”, pianse il tapino, guardando la pleistescio che gli lanciava occhiate cariche di voluttà, suggerendogli di fare un’altra partita al gioco appena imprestato, così abile a trascinarlo in una spirale di violenza e corse spericolate da dove non riusciva mai a riemergere prima di trenta secondi, o undici ore. Lo sapeva che presto avrebbe ceduto, e allora sarebbe stata la fine, gli animali si sarebbero impossessati della cucina, avrebbero tirato fuori il sacco dei croccantini dalla credenza e li avrebbero disseminati per il pavimento, quindi avrebbero scagazzato allegramente sul tavolo, ricoprendo il resto del mobilio di peli impalpabili ma moltissimo visibili e appiccicosi.

“E in più fuori piove”, pianse il derelitto, che sperava almeno di distrarre sè stesso e il cane ciclope con una passeggiata distensiva fino a casa di papà, dove avrebbe potuto scroccare una cena senza sbattersi a cucinare.

“Ahimè”, disse allora, ma di certo i lettori più svegli l’avevano già intuìto, e pubblicò le sue ultime cazzate sul blog, mentre dalle casse i Beatles intonavano una Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band molto adatta alla situazione.