Il pollo ai peperoni non è il piatto più indicato per la cena, almeno non se si intende dormire entro le successive ventiquattro ore comodamente sdraiati in un letto. Dato lo stato di pesantezza in cui ti lascia sarebbe necessario addormentarsi in una posizione meno orizzontale, così da agevolare lo stomaco nel suo lavoro, già tanto difficile. Per esempio in piedi come i cavalli potrebbe essere una posizione conveniente, o appesi a una gruccia nell'armadio.

Una buona passeggiata dopo il pasto aiuta la digestione. La maratona di New York è particolarmente indicata per smaltire le porzioni bibliche che mi sono trangugiato poco fa. Sempre che corra da qui fino alla linea di partenza, naturalmente.
È che mi sento come se lo stomaco si fosse vestito da palombaro, con scafandro e scarponi di piombo, e si stesse immergendo in qualche abisso oceanico. Se chiudo gli occhi li vedo quei pesci orribili con la mandibola di fuori, piantati davanti a me a fissarmi con quelle bocce luminescenti che hanno ai lati della testa. Anche se li apro davanti a uno specchio li vedo, e in più sono spettinati e con la barba lunga, e si lamentano, dicono che no, il secondo piatto non avrebbero dovuto mangiarlo.

Di andare a dormire non se ne parla, mi rivolterei nel letto tutta la notte, alternando stati di veglia nervosa a brevi sonni costellati da incubi, ma di quelli brutti, tipo che lavoro ancora alla fabbrica di materassi e sono sposato con la mia collega, ma non quella un po' zoccola con le belle tette, sua sorella il cinghiale coi baffi, una specie di Maurizio Costanzo con la permanente alle setole. Neanche uno zombi che venga a salvarmi in quei sogni lì, mi sveglio sudato con un grido strozzato in gola: “Come sarebbe che non hai preso la pillola??”

Mioddio. Piuttosto che affrontare simili demoni passerei la notte sveglio, ma a fare cosa? I videogiochi me lo menano da un po', i porno neanche quello, mi tocca fare da solo, e in entrambi i casi dopo un paio di minuti compare la scritta game over.

Potrei scrivere, il libro è finito, ma ho già un altro progetto fra le mani, la storia di uno che.. no, un momento, non vi aspetterete mica che ve lo racconti, vero? Filate a comprarvi Acapistrani, piuttosto! Ce l'avete già? Traducetemelo in inglese, che ci faccio un ebook e mi ritiro a scrivere romanzi digitali invece di andare a lavorare in macchina.

Ma lo sapete che da casa mia al posto di lavoro ci vogliono venticinque minuti se esco di casa alle settemmezza, ma solo dieci se esco alle setteventicinque? Escono tutti di casa insieme da queste parti, e in un attimo intasano la strada, che è stretta e attraversa tre centri abitati piuttosto affollati prima delle otto di mattina. Quindi ho da scegliere, o arrivo alle otto in punto rischiando il ritardo o arrivo alle sette e trentacinque e sto a rompermi le balle fino alle otto insieme ai miei colleghi che sono bravi, ma basta.

Non ve ne ho ancora parlato dei miei colleghi? Dunque, c'è Muttley, un quarantacinquenne perennemente accigliato come il cane di Dick Dastardly, ha in antipatia tutti i suoi colleghi tranne me, in particolar modo odia Bradipo, che sfotte tutto il giorno facendogli il verso quando non lo vede. È bravo nel suo lavoro, è sicuramente quello che ci mette più impegno e si guadagna le lodi del titolare, che però non sopporta. Vive con la madre, non ha fidanzate né cellulare, esce il sabato sera con gli amici e vanno al pub sotto casa, a parlare di bici.

Poi c'è Bradipo, un ventierottenne pigro, grassottello e antipatico, col quoziente intellettivo di un fisico quantistico dopo che gli è passato sopra il pullman del fan club di Max Pezzali di ritorno da un concerto. Non parla praticamente con nessuno, tranne col suo telefono, con cui passa tutto il tempo prima e dopo il lavoro, spesso anche durante. Trascorre il resto delle sue giornate ciondolando dietro ai macchinari dove nessuno possa disturbarlo. È in grado di raggiungere stati di alienazione mistica osservando per ore un cestino uscire da una centrifuga e infilarsi in quella accanto. Se gli chiedi cosa sta facendo davanti a una macchina che va da sola ti risponde che controlla che non si fermi. Pare essere stato assunto per quello, e infatti non ha voglia di fare altro, ma la sua vera ambizione è lavorare in magazzino. Il magazzino esercita su di lui un fascino particolare, quando ha la possibilità di passarci del tempo cambia completamente aspetto, diventa veloce, estroso, intelligentissimo. Peccato che in magazzino ci lavori già io e l'idea di passare del tempo con un tale imbecille mi ripugni, così ogni volta lo spedisco via a calci nel culo e il suo talento si perde nell'oblio.

Il terzo personaggio ha la mia età e si chiama Atarumoroboshi. È un pazzo con due soli hobby, l'aeromodellismo e i cartoni animati porno giapponesi. Di entrambi conosce tutto, ma solo i secondi, quando te ne parla, gli fanno tremare la voce e muovere le mani come pinzette. Neanche lui, come Muttley, ha mai avuto una fidanzata, e questo lo ha portato a idealizzare la sua donna ideale in una ragazza vestita da scolaretta, con due tette come pentole a pressione Ariston formato ospedale da campo, gli occhi da manga e la possibilità di pilotarla tramite telecomando entro un raggio di due chilometri. Da quando Bradipo è entrato a far parte del gruppo l'aeromodellismo è un po' calato nei suoi interessi, ora nutre una curiosità viscerale verso il nuovo collega, che esamina minuziosamente da lontano, per poi commentarne il comportamento con Muttley. Lo odia in un modo che solo certi medici possono capire, ma secondo me la notte se lo sogna in topless, mentre gli svolazza attorno con un'antenna ficcata nel culo.

A completare il quadretto c'è Droopy, un ometto dell'età di Muttley, all'apparenza il più normale. Ha una famiglia in continua espansione, ogni anno fa almeno due figli, va in ferie, fa il pendolare, sul lavoro non ha grossi problemi con nessuno, pare andare d'accordo perfino con Bradipo. L'unica peculiarità su di lui è che vive a Civitanova Marche e tutte le mattine si smazza 560 chilometri per venire a lavorare. Quando gli chiedi perché non si trova un posto più vicino ti mostra il suo sorriso triste e se ne va.

Ecco, io lavoro in un posto così, e quando mi sveglio la mattina mi ritaglio venti minuti mezz'ora per frugarmi nella testa e trovare le parole. La mattina ci riesco meglio, perché nel sonno le parole ti scivolano tutte sul lato della testa che appoggi al cuscino, e quando è poco che sei sveglio riesci ancora ad acchiapparle prima che tornino a nascondersi nelle pieghe dei pensieri. Quando torno da lavoro è un casino scrivere, che il baccano che fanno le macchine mi fa un sacco di confusione in testa, e i miei colleghi mi fanno venir voglia di star zitto.

Come adesso, che l'unico rumore che si sente è il ticchettare delle dita sulla tastiera e quello della legna nella stufa. Il calore della cucina ce lo dividiamo io e Frida, come un segreto fra compagni di banco. È bello essere qui, stasera, ad ascoltare questo silenzio ticchettante. Fa venir voglia di mangiarsi dell'altro pollo coi peperoni.

Quello nello specchio ha una faccia da psicoticopatico preoccupante, con quella barba folta e i capelli sparati, hai voglia a passarti le mani in testa, tuttalpiù diventa uno psicotico pettinato, di quelli che c'è da averne paura doppia. Bisogna capirlo, viene da una giornataccia in cui ha schiacciato un parassita, ha pagato la multa di un altro, ha aspettato sei mesi per fare una visita e tutto senza neanche tornare a casa dal lavoro. Una volta fra le mura familiari, poi, ha cucinato un niente insipido e se n'è andato a dormire come i vecchietti.

E si che ne avrebbe avute da ridere, che il suo primo romanzo è finito. Pri-mo-ro-man-zo, che Spassky è un esercizio di stile di quando si correva dietro alle compagne di scuola e ci si mostrava con la penna e il quaderno a quadretti perché faceva più figo. Non serviva a un cacchio uguale, ma vuoi mettere lo sciallo? Poi romanzo è una parolona, si legge in due ore, tuttalpiù romanzetto, ma no, vaffanculo, è un romano, ed è pure scritto bene, il protagonista è disegnato a pennino, ci sarebbe da parlarne di uno così. È il mio solito problema, mio o di quello nello specchio, ma più mio, lui al limite ha dei imelborp: tendo a sminuire il mio lavoro, e già che ci siamo anche ad evitare lo scontro, che ieri il parassita non era da offendere e andarmene, era da offendere e spiegargli perché lo stavo offendendo, ma spiegarglielo lentamente e in maniera ancora più offensiva, come pestare uno scarafaggio con le ciabatte e dirgli “aspetta lì che vado a mettermi gli anfibi”.

È che poi mi passa e mi dispiace infierire, solo che mi passa per poco, poi mi rimonta e mi incazzo anche per quello che avrei dovuto e non ho, e allora torno a casa nervoso e cucino di merda.
No, cucino sempre di merda, ma quello è un discorso a parte, e poi posso sempre dare la colpa a Marzia che mi lascia i piatti da lavare e mi fa perdere tempo, e a Jack che vuole uscire e mi fa perdere tempo, e al 44° Parallelo che in questi giorni ci lascia al freddo e mi tocca accendere la stufa ed è altro tempo che se ne va.

È un dato di fatto, se abitassi in un paese più caldo, in una tenuta con quaranta chilometri quadrati di parco e avessi uno stuolo di domestici a lavarmi i piatti sono sicuro che non cucinerei di merda, quindi non è colpa mia se mangi male, prenditela col deshtino porcobbashtardo che ci vuole male a tutti e due. Tre, che a Jack sarebbe tanto piaciuto vivere in una tenuta con quaranti chilometri quadrati di parco tutto intorno.

Insomma che ho fatto i biglietti, ad agosto si va a New York. Avevo pensato, dato che c’era il tempo, di vedere prima la vecchia York, ma mi hanno detto che non importa, tanto il sequel non ha nessun collegamento col primo episodio.

Io di New York so, per averlo imparato da Frank Sinatra, che è la città che non dorme mai, e che se puoi farla lì puoi farla dappertutto. Se dovessi collegare le due cose penserei che a New York i cessi sono così sporchi che la puzza ti tiene sveglio tutta la notte, spero di sbagliarmi, in ogni caso per sicurezza mi porterò il vasino.
Ogni altra informazione sulla città mi arriva dal cinema, quindi immagino di andare in una città piena di psicopatici che vogliono farla saltare per aria, di mostri che si aggirano fra i palazzi calpestando taxi (ma io li frego e giro in metro!), di aerei che ti portano direttamente in ufficio, insomma un gran casino. Spero che quindici giorni mi basteranno per vedere tutto e tornare vivo, ma devono bastarmi, il volo costa come due vacanze in Portogallo, non so quando potrò permettermi di tornarci.

(continua)

Domani Berluscone muore e la Presidenza del Consiglio passa a Gianniletta che ci traghetta verso nuove elezioni. I festeggiamenti gioiosi sono inquinati dai funerali di stato a reti unificate, dagli stracciatori di vesti che ne chiedono immediata santificazione e dai progetti per dedicargli una strada in corso in tutto il Norditalia.

Nel frattempo Fini passa all’opposizione e si candida a leader del Pd, col solo D’Alema rimasto a sfidarlo, visto che Veltroni è scomparso dopo il funerale e già si mormora che lui e Berluscone fossero la stessa persona (un quotidiano ha pubblicato una ricerca in cui si dimostra che i due non si sono mai mostrati in pubblico insieme), e Bersani si è svegliato una mattina come un personaggio di Pirandello e ha trovato che guidare il PD era la cosa più stupida che potesse fare un uomo. Ha mollato baracca e soprattutto burattini e si è messo a coltivare cavolini di Bruxelles.

Naturalmente le elezioni le stravince la lega, Bossi lascia il premierato a Maroni e si candida per il Quirinale, che Napolitano se la sta vedendo brutta, Calderoli si prende il Ministero della Difesa e Borghezio l’Interno. Il Trota lo mettono alle Finanze quando Tremonti viene spedito a calci per aver dichiarato a Repubblica che il federalismo costa troppo e con questa crisi non ce lo possiamo ancora permettere.

Con la nuova gestione finanziaria l’Italia lancia il federalismo tuttoesubito, e come prevedibile dopo sei mesi non c’è neanche più abbastanza per pagare la pensione alle vedove del Cavaliere. E’ crisi nerissima, il Paese sull’orlo della bancarotta taglia tutte le spese superflue.

Calderoli ha un’idea alla Calderoli e propone di rimettere in sesto il bilancio invadendo la Svizzera. Confindustria è favorevole, se la Svizzera diventa italiana tutti i conti segreti che gli industriali hanno aperto nelle banche di Zurigo diventeranno legali. Anche i sindacati vedono una possibilità di aumentare i posti di lavoro convertendo la Fiat in una fabbrica di carri armati. Marchionne non ha niente da obiettare in proposito, la Multipla in America la credevano un tank anche prima.

Quando anche le televisioni si spengono la gente scende in piazza a reclamare ciò che le spetta, guidata dall’unica persona capace di incanalare l’insoddisfazione popolare verso la rivolta: Platinette.

Non vado avanti perché a questo punto mi sono spaventato anch’io.

Quest'anno mi è successa una cosa strana, forse per l'inquinamento, forse perché sono un cazzaro, fatto sta che il mio compleanno si è spalmato per tutto il mese di gennaio. Gli auguri dagli amici sono arrivati puntuali, sebbene a scaglioni, e c'è anche chi me li ha fatti più volte, forte del motto "è sempre il momento giusto per fare gli auguri a Pablo!".
Ora però capita che il mio compleanno arrivi veramente, e la mia gioiosa fidanzata mi sta tormentando perché scriva una wishlist.
Non ho capito bene cosa dovrebbe farsene, ma mi spiace contraddirla, perciò mi sono sbattuto e ho tirato fuori quella che ritengo essere l'unica lista possibile di Wish, salvo omonimie a me sconosciute.

Wish (track)list:

  1. Open (6:51)
  2. High (3:37)
  3. Apart (6:38)
  4. From the Edge of the Deep Green Sea (7:45)
  5. Wendy Time (5:13)
  6. Doing the Unstuck (4:25)
  7. Friday I'm in Love (3:38)
  8. Trust (5:33)
  9. A Letter to Elise (5:14)
  10. Cut (5:56)
  11. To Wish Impossible Things (4:44)
  12. End (6:47)

Mi ha fattto piacere buttarla giù, anche se ci è voluto solo un pugno di secondi, giusto il tempo di copiaincollare da wikipedia, perché anche se è un po' che non lo ascolto Wish rimane uno dei miei dischi preferiti.
Mi ricordo quando un amico mi fece la cassetta, era la primavera del 1992, Telecittà ospitava sulle proprie frequenze il primo embrione di mtv, pieno di veejay ambigui come Paul King o ambigui e ciccioni come Steve Blame, e le conduttrici bionde, come dimenticare Rebecca De Ruvo? O quell'altra, quella che non mi ricordo il nome..
Per me fu la rivoluzione, passavo i pomeriggi a guardare i video dei miei gruppi preferiti, e scoprivo che c'erano un sacco di gruppi da aggiungere ai miei preferiti, musicisti che non avevo mai sentito nominare e che avrei dimenticato dopo un paio di settimane!

Però capitava anche quella volta in cui il singolo del gruppetto sconosciuto restava in testa un po' più a lungo..

“L'hai visto il video di quel gruppo nuovo su mtv?”, mi chiede Paolo.
“Quale?”
“Non mi ricordo come si chiamano, ma è una figata, c'è il gruppo che suona, le ballerine coi ponpon e la A di anarchia disegnata sul vestito. Picchiano di brutto!”
“No, non mi sembra. Un gruppo nuovo hai detto?”
“Si, un nome tipo.. paradiso..”

La canzone si chiamava Smells Like Teen Spirits, il gruppetto sconosciuto aveva Kurt Cobain alla voce e io avevo tutte le possibilità del mondo in mano e nessuna voglia di sceglierle.

 

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La seconda parte della vacanza comincia alla piazza Charles De Gaulle, quando esci dalla metropolitana e ti trovi di fronte all'Arco di Trionfo.

 

 

È una bella abitudine questa dei parigini, di costruire i monumenti proprio all'uscita delle metro, che arrivi in cima alle scale e ci resti basito, come gli avventori al bar di Amèlie.

Che poi a me l'arcdetrionf neanche piace, così napoleonico, aquile dappertutto foglie fasci edere gentechesinchina, è più fascista dell'architettura fascista, che quella un po' mi piace, così squadrata e priva di gusto da finire per essere la caricatura di uno stile, o forse è perché mi ricorda gli sfondi dei fumetti di Krazy Kat.

Veniamo giù per gli Champs Elysèes con la ferma intenzione di visitare le Galeries Lafayettes prima di entrare al Louvre, che Marzia se non vede due scarpe non quieta.

Eccoci all'Elysèe, non c'è traccia dei grandi magazzini né di Carlà, proviamo ad andare avanti.

Questo è il Grand Palais, dove è allestita la mostra di Monet di cui sono andati esauriti i biglietti appena è cominciata. E i Lafayettes? Saranno dopo.

Ecco il Petit Palais, che i marinai considerano molto più importante del fratello maggiore perché una delle stelle che lo compongono indica sempre il nord. Ma i grandi magazzini non ci sono. E si vede che sono più avanti.

Ed eccoci in Place De La Concorde, e di gallerie lafaiette neanche l'ombra,nè di Carlà, né delle sue scarpe. Marzia è inferocita, ha appena scoperto sulla mappa che si trovano tutti in Boulevard Haussmann, a due passi dall'Opèra, c'eravamo ieri, stronzo!Vorrebbe farmi ripercorrere gli Sciampi di Elisa a calci in culo fino all'Etoile, ma ha male a un piede e c'è da visitare il Louvre.

Il Louvre in breve è impossibile, ma ci si prova. Intanto salti la coda facendo il biglietto alla FNAC, ed è più di un'ora risparmiata. Poi decidi che non vedrai alcune sezioni, fa male ma è necessario. Ho visto uomini più forti di me smarrire la ragione e aggirarsi per la Grande Galerie alla ricerca di un tabacchino, un altro ha aspettato tanto di trovarsi al cospetto della Gioconda che per sopravvivere si è mangiato i figli e poi si è venduto i loro iPod, e voi state ancora al Conte Ugolino.

Del Louvre mi è piaciuto:

  • la risata della signorina al ristorante quando mi ha elencato i contorni: “riz, frites..” e le ho risposto preparatissimo: “Oui, riz frite est parfait!”;

  • l'emozione di trovarmi da solo di fronte a un capolavoro assoluto: Fulmine Divino Contro Il Terribile Uomo Talpa;

  • le scale per accedere ai piani superiori, da cui un tempo scendevano donne dalle gonne ampie e la pelle d'oca, che riscaldare un palazzo di quelle dimensioni non era impresa da poco;

  • la ressa pazzesca davanti alla Gioconda non mi è piaciuta, ma mi ha permesso di godermi un paio di quadri nella stessa stanza senza turisti a sgomitarsi la prima fila, quindi alla fine mi è piaciuta anche lei;

  • le due tele di Gericault e Delacroix, la Zattera della Medusa e soprattutto La Libertà Che Guida Il Popolo, una accanto all'altra per ragioni che la mia professoressa di arte saprebbe spiegare meglio di me, io mi limito a starci davanti e sospirare;

  • la competenza della mia guida, di fronte alla quale ho saputo solo mostrare le mie doti di cazzaro descrivendo “Gesù Alza Le Mani Su Un Tizio”, che fra l'altro non è neanche mia;

  • la vetrina con le armature dei gladiatori, che mi hanno riportato ai fumetti di Asterix, e voi tenetevi pure Bisteccone Rasselcrò;

  • la cortesia della signora che mi ha ricordato che per usare il cavalletto occorre un'autorizzazione apposita. Ochei, però erano già due ore che me lo portavo appresso per le sale e almeno dieci minuti che stavo lì a misurare le distanze fra me e la Venere di Milo, avrei avuto tutto il tempo di andare là e staccarle la testa, mi pare che il Louvre in quanto a misure di sicurezza lasci un po' a desiderare.
    Ti controllano all'ingresso, neanche troppo, giusto lo zaino nello scanner come all'aeroporto, ma se hai dell'acquaragia nella bottiglia d'acqua non gli frega, e intanto dentro l'unica opera davvero sorvegliata è la Gioconda, se volessi buttare giù a spallate il Codice di Hammurabi non so se riuscirebbero ad impedirmelo. Si vede che i vandali di solito ambiscono solo all'eccellenza.

Del Louvre non mi è piaciuto:

  • la gente che fa le foto col flash sbattendosene dei divieti. Le tele si deteriorano, e siccome le tele esposte sono di tutti sono un po' anche mie, ed è quindi normale che ogni volta mi venga voglia di ficcarla in gola al proprietario, la macchina fotografica;

  • quelli che si mettono in posa davanti alle opere. Li schifo in generale, ma specialmente le donne, che si mettono di tre quarti e fanno la faccia maliziosa, sfoggiano sorrisi sornioni come se ti mostrassero il completino sexy appena comprato a Pigalle, mentre alle loro spalle accade di tutto: Giuditta decapita Oloferne, eserciti si sbudellano, crollano imperi, si versano fiumi di sangue, si compiono tragedie inenarrabili, e loro sempre lì, con l'espressione più ambigua che sanno inventare.
    Sono dappertutto, al cimitero appoggiate alla tomba di Baudelaire, al museo davanti a Marat assassinato nella vasca, agli Invalides sotto il sarcofago di Napoleone, sono sempre presenti e cercano sempre di sedurre il fotografo. Si vede che lui si eccita solo così.

  • Ma anche quelli che non ci si mettono, in posa, e stanno così, amorfi, le braccia lungo i fianchi e la faccia inespressiva, e ricordano certi pescioni tenuti per la branchia dal pescatore sorridente davanti all'obiettivo.
    Anche loro sono stati pescati, in un certo senso. Il quadro è il pescatore col cappello verde pieno di ami, che sorride al fotografo, e loro non possono che starsene appesi a bocca aperta e occhio vitreo, al limite domandare alla fine “com'è venuta?”.


Il simbolo di Parigi ce lo siamo tenuto per ultimo.

Spassky consiglia di scendere al Trocadero e svoltare l'angolo per trovarsela di fronte tutta in una volta, bellissima e orribile e bellissima.

Anche la prima volta mio padre mi fece fare lo stesso percorso, e anche allora era una mattina appena dopo la pioggia. Ho svoltato l'angolo e sono piombato in un ricordo vecchio venticinque anni, solo che stavolta da Dante sono diventato Virgilio.

Spassky consiglia anche di portarsi in vacanza una compagna di viaggio che non soffra di vertigini, perché se per salire in ascensore bisogna farsi ore di coda è possibile affrontare le scale a chiocciola senza alcuna attesa, ma solo con qualcuno che non tema le altezze.
Già che ci siete ricordatevi di portare con voi antiinfiammatori e analgesici, che a camminare tanto si rischia la tendinite, ma non mi lamento, abbiamo fatto più strada dei fanti in Russia, un'altra avrebbe ceduto e sarebbe tornata in albergo.

L'Hotel des Invalides da solo non vale il biglietto d'ingresso, che se Napoleone aveva manie di grandezza mica da ridere Luigi XIV ne aveva il doppio, e se non ti interessa visitare il Musèe de l'Armèe (notevole, peraltro) finisci per pagare il biglietto solo per la tomba di Napoleone, un grosso muffin pettinato come il cugino fortunato di Paperino, o la testa di Betty Boop, e una volta che sei entrato e l'hai vista e hai notato la ragazza che ci sta in posa davanti con l'espressione sorniona non c'è più molto da fare. Resti lì dieci minuti, ti guardi il plastico dell'edificio, scendi nella cripta per riguardarla da sotto, noti un'altra ragazza in posa languida, al limite ti siedi e ascolti quel continuo rimbombo che arriva da qualche parte lì intorno e ti chiedi cosa sia. Booom! Booom! Sembrano salve di cannone, sarà mezzogiorno? Booom! Booom! Continuano, irregolari, forse è una sezione del museo lì accanto che proietta dei filmati, o qualcosa del genere.

Quando stai per uscire fermati un attimo all'ingresso e svelerai il mistero: è la porta a molla, quando si chiude sbatte, e il rimbombo viene amplificato dalla cupola della cappella. Suggestivo.

Da lì alla Gare d'Orsay non ci vuole molto, si fa tranquillamente a piedi, e si arriva al museo degli impressionisti dal retro, dove si trova un chiosco di giornali. Vende anche i biglietti d'ingresso senza sovrapprezzo, solo che non lo sa nessuno, ma non nessuno tipo che ci trovi una decina di turisti, nessuno tipo nessuno, tipo che arrivi e c'è lui che sbadiglia, e tu ti paghi i tuoi otto euri ed entri davanti al guardaroba, saltando la biscia chilometrica di persone che aspettano fuori al freddo.

Dal museo degli impressionisti usciamo scarsamente impressionati, tutto Monet è stato spostato al Grand Palais per una mostra di cui non si trovano biglietti da due anni prima dell'apertura, e anche gli altri capolavori sono sparsi per tutto il mondo. Vale comunque una visita, ma è un museo zoppo, ce lo giriamo in un'ora e mezza e abbiamo ancora il tempo di andare a fare shopping nei dintorni dell'hotel.

Due tre recensioni che neanche la Lonliplène:

HOTEL DU MOULIN: Piccolo albergo gestito da una famiglia di coreani, serve essenzialmente clienti di quella parte di mondo, tanto che le indicazioni nelle camere sono scritte in francese e in ideogrammi. Se siete di poche pretese il posto è molto pulito e il personale gentile, e Rue des Abbesses è una base fantastica per girare la città, con due fermate della metro a disposizione, o per rilassarsi fra brasseries e negozietti. È una strada frequentata più che altro da parigini, senza l'invasione di turisti e botteghe di souvenirs che trovate appena più in alto, nei pressi della Basilique du Sacre Coeur, o di sexy shop e locali ambigui che stanno appena sotto, in Boulevard de Clichy, in piena Pigalle.

L'unico neo dell'hotel è la temperatura delle camere, sempre che non vi disturbi svegliarvi di notte con le lenzuola che fumano.

Dopo alcuni giorni realizziamo che i servizi offerti dall'albergo non si discostano dall'essenziale: il personale non ha adattatori per la corrente (le prese francesi non hanno il terzo foro centrale), se ti senti male non hanno termometri per misurarti la febbre, non puoi mangiare in camera a meno che tu non stia morendo e non puoi mangiare nella saletta colazioni perché disturbi i clienti coreani che hanno pagato per la pensione completa.
Dovessi tornare a Parigi sceglierei sicuramente la stessa via, ma forse mi orienterei verso un altra sistemazione, tanto c'è abbondanza.

LES DIX VINS: Piccolissimo ristorante nella via che corre fra Rue des Abbesses e Boulevard de Clichy, di cui però non ricordo il nome. Lo staff è simpaticissimo, ed è composto dal cuoco, dal cameriere, dal barista e dal maitre di sala, tutti in un unico signore rotondetto che ride sempre. Il menu è identico tutte le sere, con 17.50 euri puoi scegliere fra quattro cinque entrèes, quattro cinque pietanze e altrettanti dolci, niente di elaborato, ma molto gustosi e ben presentati. L'esiguità del personale limita il numero dei clienti ammessi, se ci sono solo due persone entrate pure, se ce n'è una a un tavolo più un gruppo di dieci seduto un po' più in là lasciate perdere perché vi manda via, anche se gli altri tavoli sono tutti liberi.

LE RELAIS GASCON: Le insalate giganti piene di roba non sono un piatto che ordino spesso, in genere ti riempiono subito ma dopo un quarto d'ora hai più fame di prima, ma in questo ristorante specializzato in cucina del sud-ovest ne preparano certe veramente sostanziose, traboccanti di ingredienti e coperte da uno strato di patatine fritte tagliate à la Lucilla (a rondelle invece che a bastoncino). Se non amate la verdura potete provare uno dei numerosi piatti di carne, non so dirvi, ma a vederli passare sembravano ottimi.

IMPORTANTISSIMO! Non ordinate il gateau basque!

Può capitare che vi venga voglia di assaggiare quello che ritenete essere un dolce tipico della cucina basca, non ne sapete nulla e avete già mangiato parecchio, ma la curiosità è più grande dello stomaco. Può capitare che mentre aspettate vediate passare dolci carichi di panna montata, quelle fettazze che quando ti scendono nell'esofago sono letali come slavine, e vi sentiate male all'idea di doverne affrontare una.
Può capitare, però, che la cameriera vi metta davanti un dolce composto solo da fette di mela cotta, e che la sua vista vi rincuori e lo attacchiate subito con vigorose cucchiaiate.
A questo punto può capitare che l'altro cameriere, quello indiano, si accorga che vi è stata servita la tarte tatin al posto del dolce basco, e cerchi di rimediare togliendovi il piatto da sotto, ma il gateau basque è una di quelle cose micidiali di prima, e non volete mica morire in un ristorante parigino, e poi avete già cominciato a mangiarlo e giurate al cameriere che va benissimo così.

Il cameriere, come detto, è indiano, ma in lui batte un cuore indipendentista, e accoglie il vostro rifiuto come un'oltraggio alla causa dei suoi fratelli baschi.
Oltretutto la tarte tatin costa 50 centesimi più dell'altra, stai a vedere che la differenza ce la deve mettere lui.
L'incidente diplomatico è evitato quando accettate di pagare voi il sovrapprezzo, ma ormai vi siete fatti un nemico in sala: vi butta davanti il conto senza chiedervi se vi vada un caffè, e dopo aver preso i soldi quasi il resto ve lo tira addosso.
Per fortuna dopo il dolce non vi rimane che uscire, se foste stati al primo rischiavate di farvi sputare nel piatto per tutta la cena.

LES DEUX MOULINS: Questo bistrot in Rue Lepic è meta di pellegrinaggio dall'uscita del film Il Meraviglioso Mondo Di Amèlie, girato in buona parte lì dentro, ma nonostante l'afflusso continuo di persone un posto a sedere si trova sempre.
La cucina è sufficiente, niente di memorabile, il cameriere è distratto e sbaglia quasi tutte le ordinazioni.

La vera delusione però è la crème brulèe, che traccia un solco profondo fra l'illusione della pellicola e la brutalità della realtà. Per appassionati.

E qui le foto:
 

Paris 2011

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Cose da ricordare del primo giorno a Parigi:

  • il vecchietto grassottello con la faccia da barbone e il bastone verde per raccogliere la carta, che nel sottopassaggio di servizio alla Stazione Centrale di Milano non ha saputo indicarmi un bagno nei paraggi, ma mi ha suggerito di pisciare in un angolo qualsiasi, che non si meritano altro, aggiungendo poi: “E' una repubblica difficile”;

  • il guardiano che dentro la Basilique du Sacre Coeur mi ha beccato a fare foto al coro delle suore e mi ha sgridato con severità, chiedendomi di cancellare quelle già scattate. Alla fine mi ha lasciato tenere l'unica venuta bene, forse era solo un appassionato che soffre a vedere immagini sfocate. Magari non mi stava neanche dicendo “delete”, ma “d'èlite”, nel senso di “le migliori”, chissà;

  • la puzza di bruciato della crèperie accanto ai Jardins du Luxembourg, che mi si è attaccata alla giaccavento e mi accompagnerà fino al ritorno in Italia;

  • i mosaici di Space Invaders in giro per Montmartre, che forse non sono davvero quelli di Invader, ma una qualche imitazione;

  • il bar di Amèlie, perennemente affollato e il suo fruttivendolo, dove invece non passa nessuno;

  • la tomba di Degas al cimitero di Montmartre, dove la gente passa senza voltarsi e ti chiede con la faccia più drammatica che può dove sia sepolto Stendhal.

 

E comunque la creme brulèe al bar di Amèlie è più bella che buona, e soprattutto non ha la crosta da rompere col cucchiaino, che è come disegnare i baffi alla Gioconda.

L'albergo invece è bello pulito, anche se le camere sono piccole e spoglie. Se lasci una maglietta per terra te la ritrovi piegata, se ci lasci una penna la ritrovi sul tavolo allineata al quaderno, se non avevi il quaderno te lo procurano loro, e se gli strappi tutti i fogli e li spargi sul pavimento quando torni ci trovi tanti origami.

Il secondo giorno è dedicato al culto dei maratoneti morti, la mattina il cimitero di Père Lachaise a girare allegramente per tombe, il resto del giorno a marciare con passo da atleta avanti e indietro per il Marais, l'Ile De La Citè, il Quartier Latin e quell'area che va dall'Opèra a Tuileries.

Ecco un riassunto:

Jim Morrison ha uno sbirro a sorvegliarlo per l'eternità, e come contrappasso non c'è male;

va bene, Oscar Wilde, Chopin, Rossini e Yves Montand li conoscete tutti, ma la tomba di Camille Pissarro ha i gatti morti stesi sopra;

Invader ha invaso il Marais, quando ho visto il draghetto di Bubble Bobble avrei voluto abbracciarlo, ma all'alieno di Space Invaders fatto coi cubi di Rubik ero pronto ad abbracciare anche la sua religione;

dopo la terza visita al Centro Pompidou non ho ancora capito se mi piace o lo detesto;

Notre Dame è più bella di dietro, e neanche stavolta la coda mi ha convinto che valesse la pena andare a vedere i gargoyles;

all'inizio di Rue des Ecoles c'è un signore che ama Star Wars anche più di me;

l'ora blu a Parigi è un casino, dovresti essere sotto ogni monumento col tuo bel cavalletto già montato, o stare in città un paio di mesi a fare solo fotografie tra le sei e le sette;

le decorazioni natalizie non mi piacciono a Natale, a gennaio sono un fastidio, in Place Vendome un crimine;

ci sono ristoranti a Montmartre dove ordinare il dolce basco può garantirti sguardi cattivi dal cameriere indiano per il resto della cena.

bannerAttenzione, questa recensione contiene degli spoiler, che non sono le robe che i tamarri si attaccano alla fiatpunto per farla sembrare più aerodinamica, ma delle rivelazioni sulla trama del film che quando le hai lette non te le dimentichi più e ti rovinano la sorpresa del film, a meno che non te le fai rimuovere chirurgicamente tramite una delicata operazione che consiste nel farsi tirare via il cervello, metterlo in candeggina per mezza giornata e poi reinserirlo nell'apposito scomparto stando attenti a ricollegare bene tutti i fili sennò succede un casino e ti ritrovi a non sapere più che film volevi vedere e finisci col trovarti seduto in un multisala davanti a Massimo Boldi che ripete “Me la ciula me la ciula!”. Giuro, a un mio amico è successo.
Un futuro imprecisato. L'umanità è stata decimata da una guerra che ha lasciato solo macerie, desolazione e polvere. I pochi superstiti che non sono regrediti a barbari cercano di sopravvivere in un mondo in cui vige la legge della violenza. Il cannibalismo è una pratica diffusa, non esiste più l'istruzione, non esiste il denaro, e il commercio è regolato dal baratto. I film sono girati con un largo uso di filtri grigi.
Un uomo con gli occhiali da sole e lo zaino in spalla cammina su quella che doveva essere una strada, intorno a lui pochi edifici a pezzi, qualche cadavere su cui si avventano uccelli scheletrici.
Non conosciamo il suo nome, né la sua storia. Combatte come un ninja, ascolta musica da una specie di ipod e legge la bibbia, ma a parte questo.. Lo vediamo mangiare gatti randagi, quindi forse è vicentino.
Arriva in una cittadina e scopriamo che è per strada da trent'anni, sta andando a ovest ed è in missione per conto di Dio: forse per quello indossa sempre gli occhiali da sole. Non deve rifondare la band per salvare l'orfanotrofio, deve portare una Bibbia in un posto, ma la difficoltà è uguale, perché per ovest non ci sono più treni.
L'altra difficoltà è che il sindaco della cittadina è Dracula, e sta cercando la Bibbia perché così potrà comandare le persone, perché se hai la Bibbia la gente ti ascolta.
Eh?
A parte che la gente ti ascolta già, che se non ti ascolta la spari senza tante storie, ma che razza di sceneggiatura è?
Proprio a quel punto arriva Aragorn, che sta andando a sud perché gliel'ha detto sua moglie che è anche la moglie dell'astronauta, e si porta dietro suo figlio al quale continua a ripetere che presto moriranno per farlo smettere di fare i capricci.
“Non voglio mangiare la minestra!”
“Non è minestra, sono frattaglie di topo in acqua torbida, ma non importa se le mangi o no, perché tanto fra poco moriremo.”
“Vabbè, magari le assaggio.”
Dracula gli chiede perché ha quella faccia così triste, e Aragorn risponde che il suo film è drammatico in un modo angosciante, altro che questi preconfezionati hollywoodiani che alla fine sono western, ma senza cavalli.
“Si, vabbè, ma ce l'hai una Bibbia?”
“No, l'ultima se l'è presa Malcolm X senza spiegare dove né come”
“Dice che l'ha guidato una voce nella testa”
“See, una voce.. L'ha guidato una bottiglia!”
“Hahaha! 'Piombare qui con queste storie di maghi e indovini!' Che gran film!”
“E quando gli dice 'Di che segno è?' e i re magi rispondono 'Capricorno' e allora gli chiede 'E che tipi sono?' e loro..”
“..e loro rispondono 'Ma lui è il re dei giudei!' e lei fa 'Lo sono tutti i capricorni?'”
“Hahahaha! Stupendo!”
“Eeh non ne fanno più film così..”
“Più che altro non ne fanno più film, è sparita la civiltà e le persone si mangiano fra di loro”
“Eh già..”
“…”
“…”
“Beh, io andrei, che fino a sud è un sacco di strada..”
“Si, giusto, scusa.. Senti, non è che ce l'hai la Bibbia, vero?”
“Ma ti dico di no!”
“Scusa eh, ma qui nessuno ti racconta la verità, ti dicono di no poi gli spari in faccia e quando frughi nel cadavere scopri che ce l'avevano nascosta sotto la giacca. Mi fanno venire un nervoso, guarda..”
“A chi lo dici. Come quando ti invitano a casa loro e poi cercano di mangiarti!”
“Uh, non me ne parlare!”
“Vabbè, allora ciao eh?”
“Ciao, salutami tuo figlio.”
“Non mancherò”
Poi Aragorn se ne va verso sud e gli succedono delle robe tipo uno che gli spara dalla finestra, ma intanto Malcolm X è andato a farsi ricaricare l'ipod da Tom Waits, poi ha sbudellato un sacco di gente e ha conosciuto una che vorrebbe essere Lara Croft, ma non ha le sue tette.
Dracula fa arrestare Malcolm X, ma quello scappa, poi lo fa sparare da un sacco di persone, ma quello non si ferisce neanche, poi lo insegue nella prateria desolata e c'è una sparatoria pazzesca con la telecamera che fa avanti e indietro in una specie di piano sequenza che passa attraverso i muri come i proiettili, poi c'è il colpo di scena finale e alla fine c'è anche Lara Croft.
Lo spoiler è che Aragorn muore.

Anni fa, grazie al supporto economico della pro loco, fondai con i miei amici una specie di giornale di una sola pagina, ripiegato in tre come le lettere che la banca ti manda per farti sapere che ti chiuderà il conto dato che sei in rosso di svariati miliardi e ha pure il sospetto che sia stato tu a scassinarle il bancomat la settimana scorsa. Era il precursore del Foglio di Ferrara, e se lo avessi saputo col cazzo che partecipavo, ma allora eravamo puri, io e i miei amici, e ci mettemmo il cuore e l'impegno.
Si chiamava Ronco Scrive, quasi come il paese in cui abitavamo; ci occupavamo di cose di nessuna importanza, racconti, ricette, pensieri sparsi.. Io curavo una rubrica di consigli femminili che si chiamava I Consigli Di Renza, e mi firmavo invertendo nome e cognome: Pablo Renza. Dispensavo informazioni utili, tipo cosa fare se un cinghiale ti viene a vivere in bagno, o come nascondere il cadavere di tuo marito dopo che l'hai ucciso col frullatore, cose che possono sempre tornare utili a una casalinga di un piccolo paese.

Il giornale ebbe vita breve, da una parte il direttivo della pro loco voleva che scrivessimo quanto era bella la sfilata di natale cui partecipavano cinque persone compresi i tre membri dell'associazione più la moglie e il figlio di uno dei tre, dall'altra si era manifestata l'ostilità di alcuni lettori, che si sentivano vituperati dai nostri articoli.
E quando dico alcuni intendo dire uno, una signora che si chiamava Renza per davvero, e che temeva di venire scambiata per l'autrice delle mie scempiaggini.
Cosa volete che vi dica, in un piccolo paese ci sono così poche opportunità per svagarsi che ognuno si arrangia come può.
Mi telefonò un giorno per manifestarmi tutto il suo disappunto, e mi diffidò a firmarmi ancora col suo nome. Così feci, non mi andava di dare un dispiacere a una lettrice affezionata, e poi le sue ragioni erano talmente evidenti che come facevo a rifiutare? Scrissi subito un pezzo che venne pubblicato nel numero successivo, in cui le chiedevo scusa, ma non intendevo cambiare nome, e sai che c'è? Vaffanculo.

Chiudemmo comunque dopo un mese, ma almeno mi ero tolto una soddisfazione.

L'ho incontrata per strada poco fa, la vera Renza, col colbacco e gli occhiali da sole rotondi, sembrava Yoko Ono. E non mi ha salutato. Evidentemente mi serba ancora rancore per quell'episodio, ma bisogna capirla, sono passati tanti anni, ma il paese non ha migliorato la propria offerta in fatto di svaghi.

Ho pensato di omaggiarla, Renza, e contemporaneamente di mostrarvi un esempio della rubrica che curavo allora. Faceva più o meno così:

 

I consigli di Renza – Cosa fare se incontrate Yoko Ono per strada.

Care amiche, con l'avvicinarsi delle feste natalizie è probabile che alcune di voi decideranno di partire per un bel viaggio, e cosa c'è di meglio di New York, la città che non dorme mai, con le sue vetrine sempre luccicanti?
Le Maldive, per esempio, ma metti che ci siete già state.
Ma New York non è solo la città dello shopping, qui ci vivono molte delle celebrità che vedete sempre sui giornali più ricchi di questo, quelli che si possono permettere anche le foto!

Pensate, siete lì che camminate sulla Quinta Strada, il naso in su ad ammirare i grattacieli, e tutto ad un tratto vi trovate faccia a faccia con Yoko Ono! Non sarebbe incredibile?
Dovesse capitarvi non potete assolutamente rischiare di fare brutte figure, dovete cogliere l'occasione per lasciare il segno!

Innanzitutto cercate di assicurarvi che sia davvero lei: se ha gli occhiali scuri e un buffo cappello potete stare tranquilli, ma se indossa una camicia coreana e ha i capelli a spazzola correte via! È Kim Jong Il, il dittatore nordcoreano!

Una volta rassicurati sull'identità della signora potete fare le presentazioni. Occhio alla pronuncia, anche se l'aspetto potrebbe ingannarvi il suo nome si pronuncia con la enne, non con la emme. E per carità, se vi chiamate Chapman usate il cognome di vostro marito!

A questo punto, se avete giocato bene le vostre carte, la signora Ono si sarà fermata volentieri a scambiare due chiacchiere con voi: ditele che avete quasi tutti i suoi dischi, evitate di esagerare mettendoci anche Starpeace, capirebbe che la state prendendo per il culo.

Una volta ottenuta la sua fiducia siete pronte, tirate fuori una copia di quel capolavoro di buon gusto che è Season Of Glass e chiedetele di autografarvelo proprio sopra la lente insanguinata di John, quindi salutatela calorosamente e fate quello che tutti si aspettano dal 1980 ad oggi: andate ad aspettarla sotto casa con un revolver Charter Arms 38 Special e quattro proiettili.

Stasera trasmettono il concerto di Jamiroquai sul sito del Corriere. Dovevano darlo ieri, ma all’ultimo momento si è deciso che forse era più interessante il Circo di Montecitorio (non scherzo, ci hanno pure i nani e i buffoni) e l’hanno rinviato a stasera. Lì per lì mi è dispiaciuto, ma poi ho ricevuto una telefonata della fidanzata che mi chiedeva di andarla a prendere al lavoro perché aveva un gomito che le faceva contatto col piede e suo padre non ho capito ma c’entravano gli autolavaggi, e se l’avessero trasmesso ieri sera me lo sarei di certo perso, e io lo volevo vedere il concerto di Jamiroquai, che quand’è venuto a Genova ci sono andato e mi sono divertito di brutto. Mi è rimasto il dubbio che abbia cantato in palyback, perché la voce ha cominciato a uscire dalle casse che lui non aveva neanche il microfono davanti, ma magari usava delle basi qua e là, certi musicisti lo fanno, e poi mi hanno detto che in fondo anche Borghezio a conoscerlo è una persona simpatica.
Vabbè, ieri sera non sono stato a casa, e quando ho scoperto che il concerto era stato rimandato ero felice, avrei avuto l’occasione di guardarmelo stasera, che la fidanzata era già tornata a casa anatomicamente regolare, e anche i suoi genitori sono stati fatti a pezzi oggi pomeriggio da un pazzo assassino e quindi non c’era più pericolo che restassero chiusi in qualche posto strambo.
Però mi sono dimenticato del concerto. Eh si, ho preparato la cena (Piccione allo spiedo con intingolo al marsala e insalatina alle pere, una roba veloce che ho trovato su postal market), ho messo su l’ultima stagione di IT Crowd e di Jay Kay non mi sono ricordato neanche il cappello con le corna.
Solo al termine del lauto banchetto, mentre mi rifacevo la bocca con un bigbabol, mi è tornato in mente il concerto. Ho guardato l’ora e ho pensato che avrei potuto assistere almeno alla seconda parte, vedere la scenografia, ascoltare un paio di pezzi nuovi, studiare le mosse sul palco del cantante e ripeterle a letto durante uno dei nostri giochini, che l’ultima volta mi è toccato fare Freddie Mercury e per una settimana ho avuto difficoltà a sedermi.
Insomma che vado sul sito e c’è questa finestrella con scritto “Guarda il live!” e ci clicco sopra, e di tutto mi aspetto tranne che una cazzo di fotografia del palco, sempre quella, con una registrazione del concerto in sottofondo.
Una foto! Guarda il live è una fotografia! C’è scritto “Guarda”, non “ascolta”, e poi ti mettono un’immagine fissa di un gruppo di tizi su un palco. E’ come se ti scaricassi il demo di un gioco e ti ritrovassi con una lista di nomi di programmatori che scorrono sullo schermo, come se andassi a votare e ti dessero una scheda già compilata coi nomi degli eleggibili, un mattone nella scatola dell’autoradio, una truffa.

Ora potrei stare qui a scrivere che il sito del corriere lo immaginavo più serio, o che se avessi voluto ascoltarmi un disco dal vivo mi scaricavo una data del concerto, che sono sicuro ce ne siano già parecchie in giro per la rete, ma non ne ho voglia (di stare qua a scrivere, il concerto magari lo sto già scaricando, che ne sai?).
Ci sono rimasto male, un mio amico è stato al Blue Note un paio di sere fa e lo sto invidiando ancora adesso, anche se ha assistito al concerto di un trombettista puzzone amico di Sting che non se lo caga nessuno, però lo stesso mio amico si è già comprato i biglietti per andare a vedere Keith Jarrett alla Carnegie Hall, e io l’unica cosa che posso fare per sentirmi parte di questo movimento di ggiovani-che-vanno-a-vedere-i-concerti è sedermi davanti al sito del Corriere a guardare una foto di Jamiroquai che canta, e scusate tanto, ma non è la stessa cosa.

..Chissà se Bob Quadrelli è ancora in tournèe?