Stamattina mi sono alzato presto, se le otto e mezza possono definirsi presto, e come ogni mattina ho dovuto, per prima cosa, vestirmi e portare Jack a fare due passi. C’era una luce strana, schermata dalla foschia che avvolgeva il fiume, che accentuava il giallo delle foglie, quelle sugli alberi e le prime già in terra, e sfumava i bordi alle cose; dava l’impressione di trovarsi in un quadro di Monet, sebbene non ne ricordi uno ambientato in un viale autunnale, ma cosa vuoi farci, da quando non faccio più ARTErnativa i dipinti si sono mescolati come prima di uscire dal tubetto dei colori, e l’alzheimer non mi aiuta affatto.

Comunque succede che mi sono trovato a pensare a una conversazione con un amico avuta ieri sera, nella mia prima uscita da quando siamo stati colpiti dalla recessione (perlomeno la prima senza il piattino in mano a chiedere spicci ai passanti): eravamo in Piazza Delle Erbe a lamentarci di come dovrebbe chiamarsi Striminzito Marciapiede Delle Erbe, essendo stato tutto lo spazio al centro ingoiato dagli ombrelloni e dai tavolini, quando ti incontro un altro amico, che poi è quello con cui ho avuto la conversazione, che mi dice che vuole andare a vivere da solo e trasferirsi in centro.

Ci avevo pensato anch’io tanto tempo fa, quando dividevo gli angusti spazi di Castello Renzi con Renzi Senior e la buonanima di Mario, e tutti i miei amici vivevano a Genova, e soprattutto stavo lottando con tutte le mie forze per entrare nelle mutande di una tizia che appunto in centro abitava.

Ora che ho realizzato che per le sue mutande sono passati più uomini che alla fermata del 18 barrato, che ho abbandonato la Tenuta Renzi, che ho conosciuto la futura nonna dei miei nipotini, che sono entrato nelle fila rivoluzionarie dell’Ejercito Cadigattista Di Liberaciòn Nacional, che vivo in una casa col riscaldamento a legna, che mi vado a tagliare la legna nei campi, certe malinconie me le sono fatte passare con gioia. E li compatisco un po’ quegli amici che vogliono abbandonare la praticità della delegazione per trasferirsi nel casino del centro, col rumore costante, l’impossibilità di trovare posteggio e tutto il resto.
Che poi uno che sta a Bolzaneto non se la gode davvero granché la lontananza dalla città, subisce gli stessi disagi e non ha neanche i locali sotto casa dove andare a distruggersi, e allora tanto vale..

Però io l’altra mattina nel vialetto sotto la ferrovia, quando ancora la luce era bassa, ho incontrato una famiglia di cinghiali, e uno dei piccoli è venuto ad annusare Jack a neanche un metro dai miei piedi, ed è qualcosa che nei vicoli non ti succederebbe mai. Tuttalpiù potresti imbatterti in una famiglia di spazzini alla fine del turno, e ammetterai che non è proprio la stessa cosa, che oltretutto non hanno neanche il caratteristico manto a strisce.

..se non fosse che il post che avrebbe dovuto chiamarsi “Aiuto!” si è perso per sempre nelle maglie della rete, spintonato via dal mio pollice che ha premuto inavvertitamente il tasto laterale del maus troppofigoperviaggiaresuinternet e ha ricaricato la pagina buttando via dieci minuti di stupendo cazzeggio. No, davvero, non scherzo, stupendo, perché mi ero appena alzato da tavola, i sensi piacevolmente ottenebrati da mezza bottiglia di rosato, un tappeto musicale creato appositamente dal signor M. D. Davis, una fidanzata sorridente e piena di sguardi amorevoli e una gran voglia di tirare giù cazzate. Adesso il torpore creato dal vino è svanito, John Mc Laughin è terminata e anche la fidanzata si è messa a fare le pulizie notturne, sostenendo che di giorno fa troppo caldo e di notte si lavora meglio, ed è già passata dal Love Mode al Macheccazzocifaisempreingiroaciondolare Mode, e tutto di colpo non è che ho più tanta voglia di mettermi a raccontare cazzate senza capo nè coda, tipo della professoressa morta che poi però no ma poi morta davvero solo che neanche quella volta tanto che ancora adesso gira per strada e quando mi incontra e mi dice “Ciao Renzi” come quando ero alle medie, con quel sorriso ipocrita da bigotta bastarda mi verrebbe voglia di strangolarla e accertarmi che stavolta si, e per davvero e per sempre.

No, davvero, non ne ho voglia, ho un sacco di cazzi che mi girano intorno aspettando di trovarmi con le braghe calate, non sto neanche aggiornando la newsletter di ARTErnativa/Fegato Di Merluzzo e già immagino i commenti degli iscritti abbandonati a sè stessi: “Quale newsletter?”, “Eh?”, “Ah perché scrivi una newsletter?”, “Mah, non so, non l’ho mai letta, di solito la cestino senza aprirla”.

Facciamo che ci vediamo quando fa un po’ più fresco, o alla prossima ciucca.

..se non fosse che il post che avrebbe dovuto chiamarsi “Aiuto!” si è perso per sempre nelle maglie della rete, spintonato via dal mio pollice che ha premuto inavvertitamente il tasto laterale del maus troppofigoperviaggiaresuinternet e ha ricaricato la pagina buttando via dieci minuti di stupendo cazzeggio. No, davvero, non scherzo, stupendo, perché mi ero appena alzato da tavola, i sensi piacevolmente ottenebrati da mezza bottiglia di rosato, un tappeto musicale creato appositamente dal signor M. D. Davis, una fidanzata sorridente e piena di sguardi amorevoli e una gran voglia di tirare giù cazzate. Adesso il torpore creato dal vino è svanito, John Mc Laughin è terminata e anche la fidanzata si è messa a fare le pulizie notturne, sostenendo che di giorno fa troppo caldo e di notte si lavora meglio, ed è già passata dal Love Mode al Macheccazzocifaisempreingiroaciondolare Mode, e tutto di colpo non è che ho più tanta voglia di mettermi a raccontare cazzate senza capo nè coda, tipo della professoressa morta che poi però no ma poi morta davvero solo che neanche quella volta tanto che ancora adesso gira per strada e quando mi incontra e mi dice “Ciao Renzi” come quando ero alle medie, con quel sorriso ipocrita da bigotta bastarda mi verrebbe voglia di strangolarla e accertarmi che stavolta si, e per davvero e per sempre.

No, davvero, non ne ho voglia, ho un sacco di cazzi che mi girano intorno aspettando di trovarmi con le braghe calate, non sto neanche aggiornando la newsletter di ARTErnativa/Fegato Di Merluzzo e già immagino i commenti degli iscritti abbandonati a sè stessi: “Quale newsletter?”, “Eh?”, “Ah perché scrivi una newsletter?”, “Mah, non so, non l’ho mai letta, di solito la cestino senza aprirla”.

Facciamo che ci vediamo quando fa un po’ più fresco, o alla prossima ciucca.

Tempo fa, non ricordo esattamente quanto e non ho voglia di andare a verificare, decisi che il mio vecchio blog non aveva più ragione di esistere, e lo potai, come si fa con l’alloro. Me l’ha insegnato mio papà, per far crescere sano e forte l’alloro bisogna potarlo; solo che lui non è capace, e l’ultima volta ha ridotto una rigogliosa pianta in un insieme di rametti logori e rinsecchiti.
Io ho imparato da lui, dicevo, e nella fretta di liberarmi della zavorra accumulata in anni di scazzi, ho buttato via tutto.
Certo, una copia per me l’ho conservata, vuoi che non trovi il modo di appagare il mio narcisismo? Di quel che scrivo conservo tutto, anche i bigliettini della spesa, si sa mai che un giorno possano essere venduti all’asta per milioni di euri..
Oggi scopro che qualcun altro ha fatto lo stesso, e mi faccio un tuffo all’indietro, al 2003..

Oggi, quando sono arrivato a casa, mancava il gatto bianco e nero. Mi sono chiesto dove fosse finito, che di solito lo trovo in giardino ad aspettarmi.
Mi sono preoccupato, ha una ferita dietro l’orecchio, dono di qualche rivale notturno, ho temuto che gli fosse andata in suppurazione e che il poveretto si trovasse nascosto da qualche parte, a lasciarsi morire.
Il pensiero che potesse semplicemente averlo investito una macchina davanti a casa non mi ha neanche sfiorato: la mia inquietudine è raffinata, segue percorsi più tortuosi.

Ad aspettarmi in giardino c’era il gatto rosso, quello raffreddato, e mi ha accolto con una salva di starnuti; dev’essere questo tempo ballerino, c’è un’umidità che sembra di stare nella giungla, prosperano soltanto i funghi e le erbacce. Solo le seconde le trovo qui fuori.

Magari però non è il tempo, potrebbe aver contratto una di quelle malattie da gatti, ce ne sono talmente tante.. E se non lo curo non farà che peggiorare, l’occhio per esempio non mi sembrava che gli lacrimasse, ieri.

Se almeno ci fosse Marzia, lei saprebbe cosa fare. Gli darebbe una pastiglia, quella giusta che cura il raffreddore da gatti, o la rara malattia tropicale che colpisce solo i felini di pelo rosso.
Le i sa sempre cosa fare, come risolvere i problemi, non far attaccare il risotto, piegare le magliette negli armadi, sintonizzare l’antenna della tele; ha sempre una soluzione, di noi due è certamente lei la parte più concreta.
Averla accanto mi fa attraversare la vita con lo spirito più lieve, come se la stessi solo raccontando.

Non c’è niente di strano, c’è chi nasce per guidare e chi per guardare dal finestrino, e io mi sono sentito sempre più propenso al ruolo di spettatore.
La maggior parte delle cose che mi ruotano intorno mi sono aliene come motori di astronave, in compenso sono perfettamente a mio agio con le creature bizzarre che mi vivono dentro, con le quali comunico in ogni istante, spesso ad alta voce, con grande imbarazzo di chi mi sta vicino.

Avere qualcun altro seduto al posto di guida mi libera di un peso enorme, lasciandomi libero di dedicare tutta la mia attenzione al mondo che sta sotto i miei capelli. Non quello dei pidocchi, ancora più sotto.

Capita però in queste giornate nuvolose, questi intervalli di tempo votati all’incertezza, quando gli avversari si fermano a studiarsi, i libri terminano rimandandoti al volume successivo, le serie televisive si prendono una pausa, che il navigatore satellitare ti segnali di colpo che devi svoltare a sinistra, ma che alla tua sinistra ci sia il mare. E’ il caso in cui dovresti prenderti una pausa, accostare e riflettere, perché è sempre in quei momenti lì che il passeggero smette di guardare fuori, si volta verso di te e ti fa: “Siamo proprio sicuri che è questa la strada?”.

Oggi, quando sono arrivato a casa, mancava il gatto bianco e nero. Mi sono chiesto dove fosse finito, che di solito lo trovo in giardino ad aspettarmi.
Mi sono preoccupato, ha una ferita dietro l’orecchio, dono di qualche rivale notturno, ho temuto che gli fosse andata in suppurazione e che il poveretto si trovasse nascosto da qualche parte, a lasciarsi morire.
Il pensiero che potesse semplicemente averlo investito una macchina davanti a casa non mi ha neanche sfiorato: la mia inquietudine è raffinata, segue percorsi più tortuosi.

Ad aspettarmi in giardino c’era il gatto rosso, quello raffreddato, e mi ha accolto con una salva di starnuti; dev’essere questo tempo ballerino, c’è un’umidità che sembra di stare nella giungla, prosperano soltanto i funghi e le erbacce. Solo le seconde le trovo qui fuori.

Magari però non è il tempo, potrebbe aver contratto una di quelle malattie da gatti, ce ne sono talmente tante.. E se non lo curo non farà che peggiorare, l’occhio per esempio non mi sembrava che gli lacrimasse, ieri.

Se almeno ci fosse Marzia, lei saprebbe cosa fare. Gli darebbe una pastiglia, quella giusta che cura il raffreddore da gatti, o la rara malattia tropicale che colpisce solo i felini di pelo rosso.
Le i sa sempre cosa fare, come risolvere i problemi, non far attaccare il risotto, piegare le magliette negli armadi, sintonizzare l’antenna della tele; ha sempre una soluzione, di noi due è certamente lei la parte più concreta.
Averla accanto mi fa attraversare la vita con lo spirito più lieve, come se la stessi solo raccontando.

Non c’è niente di strano, c’è chi nasce per guidare e chi per guardare dal finestrino, e io mi sono sentito sempre più propenso al ruolo di spettatore.
La maggior parte delle cose che mi ruotano intorno mi sono aliene come motori di astronave, in compenso sono perfettamente a mio agio con le creature bizzarre che mi vivono dentro, con le quali comunico in ogni istante, spesso ad alta voce, con grande imbarazzo di chi mi sta vicino.

Avere qualcun altro seduto al posto di guida mi libera di un peso enorme, lasciandomi libero di dedicare tutta la mia attenzione al mondo che sta sotto i miei capelli. Non quello dei pidocchi, ancora più sotto.

Capita però in queste giornate nuvolose, questi intervalli di tempo votati all’incertezza, quando gli avversari si fermano a studiarsi, i libri terminano rimandandoti al volume successivo, le serie televisive si prendono una pausa, che il navigatore satellitare ti segnali di colpo che devi svoltare a sinistra, ma che alla tua sinistra ci sia il mare. E’ il caso in cui dovresti prenderti una pausa, accostare e riflettere, perché è sempre in quei momenti lì che il passeggero smette di guardare fuori, si volta verso di te e ti fa: “Siamo proprio sicuri che è questa la strada?”.

Che certe volte, quando sei lì che neanche te l’aspetti, tipo che stai stravaccato su un divano che neanche è il tuo a guardare emtivì, che non ci sei più abituato a quelle immagini così veloci e colorate, che tu a casa emtivì non ce l’hai, e te lo guardi con gli occhi sbarrati e non riesci proprio più a smettere, e arriva la tua fidanzata e ti trascina fuori casa che non puoi a suo dire perdere la giornata davanti alla tele, ti capita di sentirti un po’ imbambolato, come dopo una grossa bevuta, e lei subito ti dice che è colpa della troppa televisione, o dell’aperitivo che hai preso il giorno prima, o di chissà quale altro cazzo. Tu provi a spiegarle che secondo te no, ci hai due linee di febbra, ma la sua mano ti si infila ratta giù per il collo e poi sulla fronte, e la senti subito rimproverarti (la tua fidanzata, non la sua mano) che sono tutte storie, che sei fresco come un calippo sotto il sole, e tu continui a sentirti strano, e pure un po’ ipocondriaco.

Poi però torni a casa, e diffidente di natura vai a cercare un riscontro più professionale nella figura del termometro-sottolascella, che adotta metodi meno empirici di valutazione, e alla fine ti comunica che si, non stai benissimo, ce ne hai giusto due lineette, sarà il caso che ti prendi una pastiglia.

Ubbidisci, t’impasticchi e ti infili a letto, mentre la tua fidanzata e la tua vicina si prodigano ad assistere tre gattini abbandonati nei paraggi, che di certo stanno peggio di te.

Passi una notte allucinante, nel senso che ti sembra di stare nel film “Stati di allucinazione”, con immagini tutte sovrapposte, sogni fuori fuoco e voci fuori sincrono, che se fosse un film al cinema avresti già linciato l’operatore, ma qui come fai, che l’operatore sei tu? Ti svegli, non puoi fare di meglio, e ti rimisuri la temperatura, scoprendo non senza un filo di stupore, che nella notte ti è salita come se ti avesse punto la rarissima zanzara influenzara.

Ammetti che un po’ ti fa piacere, chiami al lavoro e ti dai malato, quindi ti ributti a letto, forte dell’alibi che ti permetterà di cazzeggiare per il resto della giornata e non fare neanche un lavoro di casa piccolo piccolo, che si sa che gli uomini quando sono malati sono delle amebe mentre le donne si alzano e si comportano proprio come quando stanno bene, solo mugugnano di più.

E passi la giornata a fare quello che sogni di fare tutti i giorni, svaccarti a leggere, guardarti un film, farti una tazza di tè, una partita alla pleistescio, rispondere al telefono, giusto prenderti cura dei gattini trovatelli, il cui numero diminuisce a vista d’occhio, tanto che arrivata la sera ne è rimasto giusto uno, la cui prognosi resta riservata.

Poi, il martedì, i tuoi anticorpi tornano dalle ferie, e capisci che la pacchia è finita. Non puoi più far finta di niente, startene a letto a poltrire, devi farti da mangiare, mettere a posto, occuparti del sopravvissuto ululante, che il fatto che ululi è si una rottura di coglioni, ma almeno vuol dire che è vivo, curarti anche di One Eyed Jack, che sentendosi trasscurato è tornato alle antiche abitudini, quelle di assaggiatore dell’arredo, e lecca il divano, il pavimento, le sedie, le coperte.. Forse anche lui è preoccupato per quella pallina di pelle rossa che spunta dalla cesta, forse i suoi timori sono rivolti più che altro alla copertina usata per scaldare il gattino, originariamente la sua, fatto sta che ogni volta che lo sente miagolare si agita e mi segue come l’infermiera segue il primario, ma senza andarci a letto dopo l’operazione.

Che certe volte cominci a scrivere e poi devi piantare lì perché è ora di andare a lavorare, e allora te ne vai, ma ti resta una specie di roba dentro che non sai identificare, e ti fa lavorare con l’umore immerso in una specie di colla appiccicosa, tipo marmellata, e magari un po’ di musica migliorerebbe sensibilmente, solo che la musica al lavoro non ce l’hai, ma a pensarci bene non credi cambierebbe granché, che quando sei di quest’umore lì non lasci finire una canzone, e sei sempre dietro a schiacciare effeeffevudì per sentire se quella dopo ti farà più piacere.

E allora rimandi a quando torni a casa, ma quando torni a casa ci sono altre cose da fare, da dire, da vedere, e viene l’ora di cena, e con la pancia piena quella sensazione si è un po’ attenuata, potresti anche buttarci su un film e sei sicuro che passerebbe, poi ti fai una doccia, te ne vai a dormire, e domani che è festa..

Solo che lo sai come funziona, il libretto delle istruzioni lo conosci a memoria, l’hai scritto tu, se lasci depositare la marmellata domani te la ritrovi impastata alla faccia, e non c’è sapone che tenga, ti inchioda lì a scalpellartela via martellando sulla tastiera, le casse alte che ti piantano note sullo sterno, il cane che ti implora di portarlo a pisciare e tu che gli rispondi in malomodo di tenersela, o almeno di imparare ad aprirsi la porta, che quando ti prende male è male per tutti. E allora lascia che mi metta qui dieci minuti, apra il rubinetto un filo e la lasci venir fuori lentamente, evaporare incolore nella stanza, fintanto che aspetto che la salma finisca il suo fumetto e mi dedichi qualche attenzione.

C’era una volta nel lontano paese senza le virgole un bambino privo di cervello ma con due grossi occhiali colorati che a guardarli da vicino potevano dare l’idea che oltre gli occhi ci fosse qualcosa di misterioso e che la maggior parte delle persone attribuiva a una profonda intelligenza mentre quel bambino sapeva benissimo che dietro i suoi occhi non c’era proprio niente e lo dimostrava il fatto che quando si voltava di scatto gli entrava l’aria dalle orecchie e si sentiva un fischio che al bambino piaceva e certe volte lo faceva apposta per sentir fischiare e quelli che lo vedevano stavano un po’ a pensare se per caso quella sensazione di profonda intelligenza non fosse solo un frutto della loro immaginazione perché un bambino che scrolla la testa così o è stupido perso o ha le spighe nelle orecchie come i cocker però il bambino non se ne curava e soprattutto non se ne curava quel giorno che stava andando a trovare suo nonno che gli aveva promesso di regalargli un cimelio di quando aveva fatto la guerra e il bambino sperava che quel cimelio fosse una porterei perché suo nonno aveva fatto il militare in marina ma non quella americana e difatti su una portaerei non c’era mai salito perché nella marina svizzera dove aveva prestato servizio lui l’avevano imbarcato subito su una capra e l’avevano fatto arrampicare su un monte con una radio e avvisare se vedeva arrivare i tedeschi che attraversavano il confine per andare a fregarsi la cioccolata che quella era la paura più grande per gli svizzeri perché non sapevano che i tedeschi avevano già deciso di invadere il piemonte perché secondo loro la cioccolata della novi era molto più buona e difatti molti anni più tardi un pubblicitario tedesco aveva fatto quella pubblicità dei due alpinisti che si incontrano in montagna e uno assaggia la cioccolata dell’altro e poi gli chiede se è sfizzera e lui gli risponde no novi come avrebbe potuto confermare il bambino che quella pubblicità lì la conosceva benissimo e la raccontava a tutti i suoi compagni di scuola e poi si faceva fischiare le orecchie e loro se ne andavano battendosi un dito sulle tempie ma il bambino non si sentiva mai solo perché quando questo succedeva lui mollava tutto come quel giorno lì e andava a trovare il nonno sperando di farsi finalmente regalare quella benedetta portaerei e non come l’ultima volta che gli aveva regalato una mela e l’aveva fatto andare e lui si era offeso di brutto e la mela gliel’aveva restituita tirandogliela contro la finestra della cucina e il nonno era spuntato e gli aveva gridato mascalzone se ti prendo e il bambino era scappato e ora stava tornando a trovarlo ma non aveva paura della collera del nonno perché il nonno soffriva di alzheimer e dopo venti minuti si era dimenticato tutto anche come si chiamava il bambino che tutte le volte doveva ripetergli che si chiamava Arturo e si sentiva rispondere Arturochi e lui gli diceva Arturo quello che gli devi dei soldi e il nonno scuciva e il bambino era rincoglionito ma aveva capito che facendo così ci poteva guadagnare e infatti piano piano gli stava fottendo tutta la pensione e il conto in banca ed era così estasiato a pensare al suo futuro di bambino ricco con le orecchie che fischiano che non si avvide che dal terreno era saltata fuori chissà da dove una virgola, e lui ci inciampò dentro e cadde battendo la testa e morì.

Essiccomeche la gita non era proprio cappestre, ma semicappestre, per via di certi elementi del gruppo che alle Cappe non ci sono mai entrati, e soprattutto per via che non era stata fatta nessuna locandina per la gita da mettere sul blog, anche se quello via, uno poteva anche farlo dopo e poi spacciarla per gita ufficiale cappestre, ma siamo tutti gente onesta che certe cose non le farebbe mai, anche se a ben guardare fra di noi c’era qualcuno che proprio onesto onesto non è, che io lo so che certe mascalzonate le ha anche fatte, ma non sono io a dover giudicare, prima o poi qualcuno più in alto di me giudicherà, e poi se proprio dobbiamo dirla tutta neanch’io sono un santo, però ho un amico che si avvia sulla strada della santità, e l’ultima volta che l’ho sentito, sarà più o meno un anno e mezzo fa, ci stava provando di brutto a farsi santificare, sperava anche che gli venissero le stimmate, poi è sparito e qualcuno ci è anche rimasto male e gli ha augurato che le stimmate gli venissero per davvero, ma nel culo, grosse così che non si potesse più sedere per un mese, ma tanto a lui non gli serve sedersi, che in quanto Fedele Servo Del Signore è tenuto a stare ginocchioni, altrimenti sarebbe l’altro Fedele Servo, quello che Fedele lo fa di nome, e il suo signore è quell’altro piccoletto, che oggi ha nominato Schifani presidente del senato, che tutte le volte che ci penso mi domando se non avrei fatto meglio ad andare a votare, ma poi penso subito che no, a votare per salvare il paese da quelli lì non ci vado più, che se ti allaghi la casa per evitare che prenda fuoco sei un cretino, e io alla mia casa ci tengo, anche se magari poi non lo dò tanto a vedere, che delle cose che contano se ne parla poco quando si diventa discreti, e l’età e l’esperienza mi hanno abituato a tenermi vicino le cose importanti, la famiglia, l’amore, gli ideali, e qualche volta ci penso a scrivere due righe per quella tizia che mi obbliga a guardare chilavisto invece di Beato Pinuccio Brenzini, ma poi non trovo le parole, che fra noi le cose si è abituati a leggersele addosso, negli sguardi e sulle dita, e allora vado avanti e racconto invece di quella gita in salita che abbiamo fatto il giorno in cui Frenc e Gionni liberavano l’Italia da Frizz e Italo e noi invece di andare a salutare Napolitano e a fischiare il rappresentante ligure del tedesco biancovestito siamo saliti fino in cima e abbiamo mangiato i pansoti e abbiamo fatto un mucchio di foto, che io la mia parte di quel mucchio le ho messe su un sito che potete vedere qui:

 

Monte Santa Croce