Die another day

I capitoli precedenti li potete leggere qui.

Il pendio innevato offriva diversi gradi di pendenza, per impegnare gli sciatori di ogni livello, e in ogni pista c’erano tute colorate che scendevano a zig zag fra le bandierine, risalivano con la funivia, scendevano lanciate dritte come siluri, risalivano con la seggiovia, scendevano pancia a terra perdendo pezzi di attrezzatura lungo la pista e non risalivano più.

Il cielo sopra le loro teste era azzurro, illuminato da lunghe file di lampade. Certo, con un cielo vero sarebbe sembrato tutto più autentico, ma a Dubai l’unica neve disponibile è quella dello Ski Center, un impianto sportivo in cui è stato ricostruito un pendio innevato, con tanto di baita e sistemi di risalita. Una roba tristissima, ma se puoi permetterti di vivere in una città cara come Dubai e decidi di vivere lì piuttosto che altrove, tristissimo è un po’ il tuo stile di vita.

Ero arrivato in città da poche ore, dopo avere sbrigato tutte le formalità del viaggiatore tipo registrarsi in hotel, fare la doccia, la cacca, mangiare, fare di nuovo la cacca, mi ero fatto portare alla Camera di Commercio per trovare l’indirizzo della Spectre, ma l’ufficio era ancora chiuso e il tassista diceva che in città non esisteva nessun’azienda con quel nome lì.

“Ma sei sicuro? Ha filiali in tutto il mondo, si occupa di estorsioni, omicidi e colpi di stato. È famosa.”
“Anche mia suocera fa lo stesso lavoro, ma non la conosce nessuno fuori dal suo condominio.”

Dovevo aspettarmelo, la Spectre stava tenendo un basso profilo. È una cosa che le associazioni criminali segrete fanno, sebbene ci sia ancora qualche supercattivo con manie egocentriche che piazza il proprio nome in bella vista, tipo Jeff Bezos.

Non sapendo dove andare per passare il tempo mi ero fatto consigliare dal tassista, ed ero finito alla pista da sci. Non ho mai saputo sciare, non saprei neanche come allacciarli, gli sci. Ho provato una volta con una gassa semplice, ma sono troppo rigidi e il nodo non tiene. Ma poi se li leghi insieme come fai a non inciampare? Sarà per quello che ho sempre preferito il bob, con la sua pratica zip.

Ho ciondolato un po’ a fondo pista, ma l’addetto mi ha preso a parole, a fondo pista non ci si può stare, devi andare su o andare fuori. Fuori faceva troppo caldo, mi sono fatto dare un paio di sci e sono andato su. In coda davanti a me c’era una tipica famiglia degli Emirati, marito moglie moglie moglie moglie e moglie; sembravano eccitati di trovarsi lì, specialmente le mogli, agitavano le braccia e parlavano a voce molto alta. Dal tono sembravano felici, ma avevano la faccia nascosta dal velo e gli occhiali da sci, non spuntava neanche il naso, era difficile capire se fossero allegre o veramente incazzate. Nel dubbio ho smesso di tenere gli sci sulla spalla e sbatterglieli in testa. In attesa del mio turno mi arrovellavo sui dubbi che in quel particolare periodo della mia vita mi tenevano sveglio di notte: come si allacciano gli sci? E se arriva il mio turno di scendere e non li ho ancora allacciati? E una volta arrivato in fondo cosa faccio, torno su o mi faccio riportare alla Camera di Commercio? E che ne sarà di Kim Wexler alla fine di Better Call Saul?

La moglie del tizio davanti mi ha detto una cosa piena di consonanti aspirate, io le ho allungato una caramella al miele, che in questi casi fa bene, e per mettersela in bocca si è tolta il velo. Oh, non era Baby Fuckmerightintheass, la ragazza della spiaggia di Nassau? Guarda che l’islam è ben strano, le donne in spiaggia possono girare mezze nude ma sulle piste da sci devono indossare il velo. Un’altra moglie si è scoperta la faccia e sotto era mascherata da ombrellone, e questa era una stranezza peggio ancora di quella del costume da bagno! La terza moglie si è tolta il velo, ed era la signorina carina ma non come quell’altra dell’hotel di Macao, e la quarta moglie si è rivelata essere il tassista. Ho fatto la cosa più logica in questi frangenti, sono andato dal marito e ho provato a tirargli la barba, per vedere chi sarebbe venuto fuori. È venuta fuori una pistola. Ho capito che non era aria, e mi sono buttato giù per la pista da sci, senza gli sci.

Se affronti una pista senza gli sci va sempre chiamata pista da sci o bisogna darle un altro nome più appropriato? Tipo pista da mocassini di pelle, o più precisamente da un mocassino di pelle, visto che l’altro l’ho perso appena sono saltato giù dalla pedana di partenza.

La famiglia moderna mediorientale mi si è gettata all’inseguimento brandendo ognuno una pistola, proprio come avrebbe fatto una famiglia tradizionale statunitense, solo che loro avevano gli sci e ci sapevano andare. Io ho fatto del mio meglio per arrivare in fondo in posizione eretta, ma non c’era paragone fra la mia discesa e la loro: quando i giudici mi hanno assegnato il settimo posto non è stata una sorpresa per nessuno.

Baby Fuckmerightintheass si è offerta alle telecamere con gli occhi lucidi per l’emozione.

“Sinceramente non credevo che ci sarei riuscita, tutti davamo per favorito il tassista di Macao, è un atleta incredibile, ma ho fatto la mia gara senza voler dimostrare niente, e quando sono arrivata in fondo e ho visto i tempi non riuscivo a crederci. Gareggiare senza pressioni mi ha aiutato molto, di sicuro.”

“Non certo la tua gara migliore”, mi ha detto il commentatore sportivo della Rai, “Cos’hai sbagliato? Oltre a non avere indossato gli sci, intendo.”
“Guarda, Max, non lo so di preciso. Col mio allenatore avevamo preparato questa discesa al meglio, ma appena ho perso un mocassino ho capito che non sarei riuscito a ottenere un buon tempo. Aggiungici che i miei avversari mi hanno sparato lungo tutta la discesa.. Sì, e poi era previsto che per sfuggire ai miei inseguitori saltassi nel vuoto da un burrone e volassi via col paracadute, ma dopo la nevicata artificiale di ieri le condizioni della pista non erano favorevoli, il burrone si è riempito di polistirolo, mi è toccato fare il giro più lungo e passare attraverso il boschetto. La prestazione ne ha sicuramente risentito.”
“Il tuo prossimo impegno è il supergigante di domani. Pensi di riuscire a guadagnare il podio?”
“Non lo so, domani ho la parrucchiera alle dieci, poi devo passare alla camera di commercio per cercare l’indirizzo della Spectre, perché qui fra una cosa e l’altra si è fatto tardi, oramai per oggi non ce la faccio mica. Come diceva sempre Rocco Siffredi, vediamo come si mette.”

Qualcuno mi ha messo una mano sulla spalla, da dietro. Ho sentito un brivido gelato lungo la spina dorsale, ho capito che per me era finita. Mi sono voltato, l’uomo con la barba e il turbante che mi aveva puntato la pistola addosso una discesa fa me la stava puntando ancora, da molto più vicino, e stavolta non c’erano piste su cui tentare la fuga.
Meno male, credevo fosse Rocco Siffredi!

Mi hanno messo un sacco in testa e mi hanno caricato su un’auto dai vetri oscurati. Dopo un po’ di strada siamo arrivati all’aeroporto, e la macchina è stata agganciata a un cavo che l’ha sollevata all’interno di un grosso velivolo dai vetri oscurati. Abbiamo volato per qualche minuto, fino ad atterrare all’interno di una barca di grosse dimensioni dai vetri oscurati, che ci ha portati al largo, dove una gigantesca balena dai vetri oscurati ci ha inghiottiti e portati alla super base segreta su un’isola artificiale però vulcanica, il covo della Spectre!!

Prima che mi facessero uscire da tutti i mezzi di trasporto c’è voluto un po’, che una volta non si trovavano le chiavi della stiva della barca, poi quelle del bagagliaio della macchina, e chi ha preso le chiavi delle manette di questo tizio, ma soprattutto abbiamo dovuto aspettare un bel po’ prima che la grossa balena ci espellesse attraverso un metodo che non sto qui a spiegarvelo perché ho appena mangiato.

Mi hanno portato attraverso una serie di porte metalliche fino a una stanza arredata con un gusto moderno, in cui spiccava come una macchia su un foglio bianco un caminetto all’antica, in cui ardeva un grosso ceppo scoppiettante. La base, come ho detto, era scavata nel sottosuolo di un’isola vulcanica: la temperatura media si aggirava sui 40 gradi, sudavano tutti come bestie, ma in quella stanza c’era il caminetto acceso. E davanti al caminetto, su una poltrona dall’ampio schienale che ne copriva il volto, stava seduta una figura misteriosa. Teneva in braccio un grosso gatto persiano dal manto candido, e lo accarezzava lentamente.

“Signor Blofeld, il prigioniero è qui”, ha detto una delle guardie che mi avevano scortato.

La figura in poltrona ha fatto scendere il gatto e si è alzata lentamente.

Una lunga cicatrice gli attraversava l’occhio destro.
Il maglione dolcevita che indossava era pieno di peli di gatto.

“Signor Delbruck, finalmente ci conosciamo”
“Mi chiamo Pablo. Renzi Pablo”
“Ah, siete parenti?”, mi ha chiesto anche lui, come tutti.
“No”, ho risposto, come tutte le volte.

Il mio ospite si è accorto che stavo sudando, e si è scusato per la temperatura troppo alta, ma soffriva di una rara malattia chiamata anzianite, che lo obbligava a girare sempre col maglioncino. Per farsi perdonare mi ha offerto un bicchiere di polenta.

Mi sembrava venuto il momento dello spiegone, quando il cattivo di turno racconta all’eroe in cosa consiste il suo piano malvagio, ma Blofeld non era un gran chiacchierone, dopo avermi allungato il bicchiere di polenta è tornato alla poltrona e ha cercato di far scendere il gatto, che l’aveva occupata. Quello di scendere non ci pensava neanche, e ci si è aggrappato con tutte le unghie.

Blofeld si è messo a tirare, il gatto a soffiare, poi si è girato di scatto e gli ha aperto una mano con una zampata.

“Ecco lì, un’altra cicatrice”, si è lamentato lui. E ha chiamato un assistente per farsi medicare.

Me ne stavo in piedi in un salotto caldissimo sotto un vulcano a guardare un agente del male che si faceva ricucire una mano, e da bere c’era solo della polenta scondita. Non certo il quadro affascinante che mi ero immaginato al momento di spedire la mia domanda di assunzione.

“Senta, dottor Blofeld, se ha da fare magari torno dopo”, ho provato a dire.

“No no, stia stia, ci metto un attimo”, ha risposto. Quando il medico se n’è andato è andato alla scrivania, ha aperto il cassetto e ne ha estratto una pistola. Ma ancora?

“Se voleva uccidermi perché non ha incaricato i miei aggressori?”
“Non è per lei, stia tranquillo”, ha risposto, poi è tornato alla poltrona.

Lo sparo ha fatto accorrere un paio di inservienti con un sacchetto di plastica, che si sono sbarazzati del cadavere del gatto e hanno sostituito la poltrona con una nuova, identica.

Si sono fermati sulla porta, in attesa di un ordine. A un cenno di Blofeld sono usciti, e rientrati subito dopo con un sacco, da cui hanno estratto un altro gatto bianco a pelo lungo.

Da come sembrava incazzato non avrei scommesso granché sulla sua sopravvivenza, né su quella dell’altro occhio di Blofeld.

“Lei ama i gatti, signor Renzi?”, mi ha chiesto.
“Ne ho due, ma i miei sono più mansueti”, gli ho risposto.
“Immagino. Sa a che razza appartiene questo?”
“Non è un persiano?”
“Lo sa che è maleducazione rispondere a una domanda con un’altra domanda?”
“Non l’ha appena fatto anche lei?”
“Sta cercando di farmi innervosire?”
“No, ho visto cosa succede a chi la fa innervosire”

Il sorrisetto di Blofeld voleva avere qualcosa di diabolico, ma non riuscivo proprio a sentirmi minacciato da uno col maglione pieno di peli di gatto.

“Questi gatti non sono persiani, appartengono a una razza selezionata con cura da centinaia di anni, una razza mantenuta segreta e acquistata solo dai pochissimi che se lo possono permettere. Il loro valore sul mercato è incalcolabile. E io ne ho appena ammazzato uno. Ha idea di quanto mi costano ogni mese, questi piccoli bastardi? Capisce adesso perché uno si trova costretto a conquistare il mondo?”
“Perché non prova al gattile?”
“Ci ho provato, ma non facevano consegne a domicilio. Quando avrò conquistato il mondo potrò mandare i miei sgherri in qualunque angolo del mondo a raccogliere i gatti più belli, senza dover spendere un centesimo. Buahahahahaha!”
“Mi sta dicendo che vorrebbe conquistare il mondo per non dover pagare la spedizione di un gatto?”
“No, anche perché Netflix mi propone solo film di merda e mi annoio a stare tutto il tempo chiuso in questa base. E poi ho un sacco di testate nucleari, sarebbe un peccato non usarle, no?”

“Glielo impedirò!”, ho esclamato, più perché mi sembrava la cosa giusta da dire che per reale convinzione. Blofeld ha riso. “E come?”, mi ha chiesto.
“Non lo so!”, ho risposto, con un tono un po’ meno enfatico ma sempre abbastanza su di giri.

“Ce la giochiamo a morra cinese? Chi perde muore.”
“Mi sembra un’idea del cazzo.”
“Anche a me, non sono bravo a morra cinese.”

Blofeld è tornato alla scrivania e ha aperto il cassetto.

“Ho un’idea migliore. Lei mi ha causato parecchi problemi, signor Renzi. Ha eliminato Leslie Chow, il mio uomo migliore. E ha fatto arrestare il mio agente a Nassau dalla guardia costiera. Credo che per lei adesso sia venuto il momento di morire.”
“Non così in fretta, Blofeld!”, gli ho risposto, puntandogli addosso il mio dito indice.
“Crede davvero che un agente del servizio segreto inglese non abbia con sé un qualche gadget pazzesco in grado di tirarlo fuori dai pasticci?”
“Non ce l’ha, l’ho fatta perquisire. In tasca aveva solo uno scontrino del panificio.”
“E che mi dice di questo dito che le sto puntando addosso?”
“Non è un dito?”
“Non sa che è maleducazione rispondere a una domanda con un’altra domanda?”
“Mi sta prendendo in giro?”
“È disposto a correre il rischio?”

Il sorrisetto beffardo si è trasferito dalla faccia di Blofeld alla mia. Sulla sua adesso era visibile un certo nervosismo.

“Tenga le mani bene in alto sopra la testa. E non provi a chiamare aiuto, o le faccio un buco nelle costole.”

Mi sono avvicinato, ma il gatto mi si è messo davanti e mi ha fatto lo sgambetto. Blofeld ne ha approfittato per saltarmi addosso, ha cercato di strapparmi il dito di mano.

“Ne ho altri nove!”, gli ho detto, e gli ho piantato l’indice dell’altra mano fra le costole.

Ghiri ghiri ghiri ghiri! Blofeld soffriva il solletico, si è buttato per terra e ha cercato di divincolarsi, ma gli anni di esperienza da fratello maggiore hanno reso le mie mani un sofisticato strumento di tortura, gli sono balzato a cavallo e l’ho immobilizzato fra le cosce, mentre le mie dita continuavano a tormentargli i fianchi.

“Basta, la prego, basta!”, mi implorava, con le lacrime agli occhi.
“Come si fa a distruggere la base?”, gli ho chiesto, senza smettere di solleticarlo.
“Nella sala di controllo dei missili atomici c’è un bottone rosso. Sta proprio accanto al bottone rosso che lancia i missili su tutte le principali capitali mondiali, ma questo attiva l’autodistruzione. Per non confonderci ci abbiamo attaccato un pezzetto di scotch.”
“Come arrivo alla sala di controllo dei missili?”
“Deve uscire da quella porta e girare a destra. Quando è in fondo al corridoio prende la porta accanto alla macchinetta del caffè e scende le scale fino al terzo piano. Da lì e meglio se chiede perché è un po’ complicato.”

L’ho lasciato andare e sono corso fuori. Ho raggiunto la sala di controllo e il pannello coi due bottoni. Uno dei due aveva un pezzetto di scotch attaccato sopra. Non mi ricordavo più se quello con lo scotch lanciava i missili o faceva esplodere la base, così li ho schiacciati tutti e due.

Ha cominciato a tremare tutto, una voce si è diffusa dagli altoparlanti: “Lancio previsto in trenta secondi. Ventinove. Ventotto.”

Un’altra voce ha cominciato a scandire un conto alla rovescia diverso: “Autodistruzione attivata. Questa base esploderà in cinquantanove.. cinquantotto.. cinquantasette..”

le due voci si sono sovrapposte, mentre una contava ventiquattro ventitrè l’altra diceva cinquantasei cinquantacinque. Chiaramente hanno perso il conto. Una ha cominciato a chiedere all’altra a che numero fosse arrivata, l’altra l’ha accusata di non essere abbastanza professionale, hanno iniziato a litigare. Mentre raggiungevo la superficie e recuperavo un battello, dagli altoparlanti hanno cominciato a volare gli insulti.

“Ah si?”, ha detto una delle due voci mentre prendevo il largo, “Allora l’autodistruzione l’attivo io, così impari!”.

La fiammata del vulcano che eruttava lava e pezzi di base ha colorato di porpora l’orizzonte, come se fosse stato il tramonto. Di lì a poco sono stato raccolto da una nave che stava accorrendo in cerca di soccorsi. Mi hanno dato dei vestiti asciutti, perché i miei puzzavano di sudore. Poi mentre stavo sul ponte a godermi il vento il capitano è venuto a portarmi il telefono di bordo, c’era una chiamata per me.

Era il mio capo, M, che si congratulava per il successo della missione, e mi chiedeva di rientrare alla base di Londra per il prossimo incarico.

Ho detto “prima il piacere, poi il dovere”, e ho lanciato il telefono in mare. Il capitano si è messo a gridare e mi ha dato uno scappellotto.

FINE

2 commenti

  1. oooh mi piacciono i racconti cazzoni come quelli di una volta, quando le cose erano più semplici e sincere, e ci si poteva alcoolizzare in riva al mare

    1. Ho scoperto il trucco: mi guardo un paio di puntate del Monty Python’s Flying Circus prima di mettermi a scrivere, è molto efficace di quando tiravo cocaina!

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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