Casino Royale

La puntata precedente la potete leggere qui.

2.
Sei sette ore solo per trovare la porta del bagno in una stanza così grande che ti sembra di stare in terrazza, dico, l’appartamento dove vivo è più piccolo; poi un paio d’ore di doccia mi pare il minimo se ti mettono a disposizione l’idromassaggio, la sauna, le cremine purificanti a base di essenza di lacrime di panda, un foro nella parete ad altezza lombare che non ho capito bene a cosa servisse e la tazza autoriscaldante per rilassarti l’intestino con calma mentre giochi a Tetris (incluso in un tablet di ultima generazione lì accanto).

Quando sono sceso nella hall era praticamente ora di cena, le incombenze da agente segreto avrebbero dovuto aspettare.

La signorina alla reception non era la stessa di quando sono arrivato, questa era un po’ meno attraente, ma sempre nei termini della bellezza sfacciata che se mi prometti di venire a rimboccarmi le coperte dormo anche sul pavimento di fronte all’ascensore, e difatti quando, alla mia domanda su un ristorante nei paraggi, lei mi ha sorriso e ha indagato quali fossero le mie preferenze, invece di cucina locale ho risposto etero.

Senza smettere di sorridere, mi ha allungato un appunto, redatto a penna dalle sue dita eleganti. Non si capiva un cazzo. Senza smettere di sorridere mi ha spiegato che qualcuno aveva lasciato un messaggio per me, non riuscendo a raggiungermi al telefono in camera.

Ecco perché stava squillando il telefono! Credevo di avere di nuovo attivato l’allarme quando ho tirato la cordicella accanto al gabinetto.

Era un certo Leslie Chow, che mi invitava a raggiungerlo presso il casinò The Venetian, dove mi avrebbe passato certe informazioni interessanti.

Boh, vabbè, tanto non avevo nient’altro da fare. Ho chiesto a Ritz Carlton di chiamarmi un taxi e sono andato.

Il Venetian Casino è una pacchianata pazzesca di edifici che ricostruiscono un pezzo di Venezia, compreso il canale con le gondole, il ponte di Rialto e il campanile di San Marco. Enorme.

Un cameriere tiratissimo mi ha accompagnato al tavolo del poker, e mi ha indicato il mio ospite.

Era un asiatico bassetto, sulla quarantina, in pantaloni bianchi e giubbotto di pelle giallo, da cui spuntava una maglietta bianca. Nonostante fossimo al chiuso, sfoggiava un paio di grandi occhiali da sole. Ma chi sono io per giudicare una persona da come si veste, forse aveva appena smontato dal suo lavoro presso il Grissinificio Macao, e più tardi doveva raggiungere la cumpa a una festa a tema anni ’90. Di sicuro doveva farsi un sacco di lampade, perché aveva la stessa abbronzatura di mia sorella quando torna dalle vacanze.

“Mr.Delbruck, o forse dovrei chiamarla agente Pablon? La prego, si unisca a noi, sto giocando la mia partita fortunata, sarebbe un delitto interrompere, non crede?”

Con eleganza mi sono accomodato al tavolo e ho allungato i cinque euri al cameriere perché andasse a cambiarmeli in gettoni.

“Conosce già le regole?”, mi ha chiesto la croupiera. O si dice croupieressa? Croupier donna mi pare un po’ troppo rigido, poi qualcuno si offende ed è un attimo che finisco a fare compagnia a Harvey Weinstein nella lista dei cattivi di qualche organizzazione neofemminista, che di questi tempi il politicamente corretto ha preso il controllo dei centri di comunicazione e devi stare attento anche a dove metti le virgole. Siccome non avevo ancora cenato e mi stava venendo fame ho optato per croupiera, che mi ricorda il formaggio.

“Conosce già le regole?”, mi ha chiesto la croupiera.
“Certo, mi sono allenato per anni giocando a strip poker contro il computer, nella solitudine della mia cameretta”.

“Hahahaha!”, ha riso sonoramente un signore dalla pelle scura che aveva addosso più drappi colorati di un negozio di tendaggi.

“Hahahahahaha!”, ha riso ancora più sonoramente una signora magrissima e bellissima con degli occhi azzurro ghiaccio che l’hanno identificata immediatamente con lo stereotipo della miliardaria russa senz’anima con cui sarei dovuto finire a letto per poi rischiare di essere pugnalato col coltello da caviale durante l’amplesso ma che all’ultimo momento si innamora di me e mi rivela il nome del suo mandante per poi piantarsi il coltello nel cuore, sopraffatta dal dolore della propria gelida esistenza.

“Hahahahahahahaha!”, ha riso più sonoramente di tutti Mr.Chow, come si poteva capire dalla sequenza di haha. “Lei è un tipo simpatico, Mr.Pablon! Vediamo se è altrettanto bravo!”

La croupiera ci ha passato due carte ciascuno, e ne ha stese tre sul tavolo. “Principe T’Challa, è il suo turno”, ha detto al cosplayer di una tappezzeria. Lui ha allungato una manciata di gettoni davanti a sé, senza dire niente. Mr.Chow ha detto “call”, e ha allungato i suoi gettoni. La modella senza cuore ha detto “raise” e ha messo i suoi gettoni. Io visto che tutti mi guardavano ho ritenuto doveroso dire qualcosa, ma non sapevo bene cosa, così ho chiesto se si poteva avere qualcosa da sgranocchiare, e il cameriere che evidentemente stava in agguato alle mie spalle mi ha allungato una ciotola di arachidi. Vabbè, ma che barbonata, neanche due olive mi date? Forse avrei dovuto ordinare anche da mangiare, nei bar di Genova funziona così, se vuoi mangiare ordini da bere e dici “vorrei fare aperitivo”, e il cameriere torna sei sette volte al tavolo e ti porta qualunque cosa, da una cesta di focaccia a un piatto di pastasciutta. Tranne al Bar Fico Frontemare, dove la cameriera ti guarda e non capisce e poi ti porta lo stesso piattino di arachidi che mi sono trovato davanti quella sera. Solo che lei lo toglie dal tavolino di fianco, e devi scegliere solo le arachidi ancora asciutte, perché quelle umidine sono senza sale.

“Quindi?”, mi ha chiesto la croupiera.

“Si può avere un mojito?”, ho chiesto, e il cameriere appollaiato allo schienale della mia sedia mi ha detto che la menta era finita, spiacente. Ma se volevo poteva portarmi un vodka martini agitato e non mescolato, ne avevano appena ordinato uno al tavolo vicino, ma il cliente era appena stato freddato da un colpo di pistola col silenziatore.

“No vabbè, un succo di frutta all’ananas, per favore”.

Il resto del tavolo stava mostrando segni di impazienza, ho messo sul tavolo l’unico gettone che avevo e ho detto “all in”, come si dice in questi casi. Allora anche gli altri giocatori hanno messo i loro gettoni, e il centro del tavolo si è riempito con un gran mucchio di gettoni colorati che facevano allegria, ed erano così tanti che la croupiera ha dovuto spostare da una parte il centrino di pizzo della nonna e il vaso di fiori.

A turno abbiamo scoperto le carte, ed è venuto fuori che la combinazione migliore ce l’avevo io, anche se a me sembrava di no, perché che combinazione vuoi che ci esca con un re e una donna di cuori? Oltretutto nove, dieci e jack dello stesso seme le aveva la croupiera, avrebbe dovuto vincere lei, no?

Mi hanno dato un mucchio di pezzi di plastica, non ho detto niente per non metterli in imbarazzo, e me ne sono andato alla cassa a cambiarli.

“Solo un momento”, mi ha detto Mr.Chow, seguendomi.

Ah già, dovevo parlare con questo tizio. Se voleva offrirmi di comprare dei bitcoin gli avrei lasciato la mia email e gli avrei detto di parlare col mio filtro antispam, non avevo voglia di pipponi su investimenti sicuri prima di cena.

“Immagino che avrà fame”, mi ha detto, leggendomi nel pensiero. “Ho la macchina qui fuori, venga, l’accompagno nel migliore ristorante di Macao”.

Siamo entrati in una macchina sportiva così bassa che per raggiungere il sedile del passeggero ho sceso un paio di scalini, e siamo scappati via rombando.

“Carina, ne ho anch’io una simile”, ho mentito, per tirarmela.

Il ristorante doveva essere davvero esclusivo, perché siamo usciti dalla città e abbiamo preso uno sterrato.

“Ah è un agriturismo?”, ho chiesto.

“Hahahahahahahahahaha”, ha riso il signor Chow, poi ha fermato la macchina e mi ha puntato addosso una pistola.

“Perché la polizia inglese vuole Blofeld?”, mi ha chiesto.

“Scusa, non parlo cinese. Cos’è un blofeld? Dovrò cercarlo su google.”

“Muori, dannata spia!”, ha detto il signor Chow, ma l’ha detto in cinese e non l’ho capito, e poi proprio in quel momento mi sono ricordato di avere lasciato il cellulare in camera, e mi sono portato la mano alla fronte per far capire al mio ospite quanto sono distratto, nel linguaggio universale dei gesti che ha reso gli italiani così popolari nel mondo.

Gli ho urtato la mano che reggeva la pistola, e il parabrezza è esploso all’improvviso, entrambi gli airbag si sono gonfiati, il signor Chow ha perso la presa della pistola, e nel tentativo di riacchiapparla al volo se l’è fatta saltare fra le dita, finendo col premere il grilletto mentre la canna era rivolta verso la sua faccia.

Per fortuna l’airbag mi stava schiacciando contro il sedile, sennò mi sarei tutto impiastrato di sangue di signor Chow. C’era anche della roba nera che non voglio sapere cosa fosse perché mi viene già da vomitare così. Mi sono arrampicato fuori dalla macchina, ma dove vuoi andare, stavo in Cina in mezzo a una strada sterrata fuori dal centro abitato insieme a un morto seduto senza faccia dentro una macchina sportiva che prima di essere guidata di nuovo avrebbe avuto bisogno di una bella ripulita. E non avevo il cellulare.

Aspetta, lui magari ce l’aveva, mi sono detto. Ho girato intorno alla macchina e ho aperto la portiera del guidatore. Il corpo incastrato fra il sedile e l’airbag era così pieno di sangue e roba nera (non pensare al cervello sennò vomiti) che se anche avessi avuto il coraggio di tirarlo fuori (ma scherzi è tutto sporco di sangue cervello cervello oddio è cervello quello) mi sarebbe sgusciato dalle dita (cervello sulle maniii!!).

Mi sono appoggiato alla portiera aperta e mi sono vomitato le noccioline sulle scarpe. Per fortuna me ne avevano portate poche, magari sarebbe bastato sciacquarle.

Dopo mi sentivo meglio, ho tirato il giubbotto del signor Chow, che per fortuna era aperto, e ho infilato una mano nel taschino interno. C’era il suo cellulare, che per fortuna era dotato di sblocco tramite impronta, perché il riconoscimento facciale era da escludere.

Ho aperto il motore di ricerca Baidu e ho digitato “Salvatore Aranzulla come impostare lingua italiana su un telefono cinese”, poi ho chiamato un taxi e mi sono fatto recuperare un centinaio di metri più indietro dalla macchina.

Risolve davvero qualsiasi problema!

Già che mi trovavo in un Paese dove si paga tutto col cellulare ne ho approfittato e mi sono fatto portare al miglior ristorante della città, poi sono andato in un negozio di abbigliamento e mi sono rifatto il guardaroba, scegliendo solo gli abiti che costavano di più. Le scarpe le hanno buttate via, pare che non sarebbe bastato sciacquarle.

Più tardi sono tornato in hotel, e c’era ancora la signorina un po’ meno bellissima dell’altra, e stava ancora sorridendo. Ho cominciato a pensare che avesse una paresi.

Si è stupita di vedermi arrivare, ed è corsa al telefono, ma anch’io mi sarei stupito a vedere uno che qualche ora prima è uscito dal mio hotel vestito con la maglietta degli Snorky e adesso ritorna tirato come il più figo degli attori di Hollywood, sprizzando testosterone come la fontana di De Ferrari. Di certo si è precipitata a chiamare la sua migliore amica per dirle che nell’albergo dove lavora è appena entrato George Clooney, e quella le ha chiesto chi? E lei ha detto Qiáozhì Kèlǔní, e l’altra ha detto aah, George Clooney, che è il motivo per cui quando mia moglie mi nomina qualche attore americano io non ho mai idea di chi stia parlando.

In camera mi sono messo a studiare il telefono del fu signor Chow, per vedere se trovavo qualche giochino per passare la serata, dato che la tele trasmetteva solo canali cinesi e il mio telefono in Cina non aveva l’accesso a internet.

Non c’era niente, e nelle foto neanche qualche immagine di ragazze nude. Però ce n’era una del signor Chow insieme al tizio con la cicatrice sull’occhio. Erano su una spiaggia e si facevano un selfie davanti alle palme. Il signor Chow indossava una maglietta con scritto My super evil boss went to Nassau and all I got was this lousy t-shirt. Si vedeva sullo sfondo la prua di una barca che aveva scritto sulla chiglia Bagni Miramare – Salvataggio.

Ho telefonato alla signorina della reception e le ho chiesto di chiamarmi un taxi, dovevo prendere il primo volo per Nassau. Mi ha risposto sorridendo.

(continua)

2 commenti

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