Al patronato

Rinnovare il permesso di soggiorno è un po’ come andare dal dottore di famiglia per farti curare una malattia mortale: ti metti nelle mani di chiunque sperando di cavartela, covando la certezza che molto probabilmente morirai.

Il permesso di Shasha scade tipo dopodomani, ma fra l’organizzazione del matrimonio, l’acquisto del pacchetto di maggioranza della Società Acqua Potabile del Monopoli, e il paraponzi che ancora affligge le mie povere membra, ci siamo ricordati solo oggi di rinnovarlo. Naturalmente per fare le cose in tempo avremmo dovuto muoverci prima, e adesso il comune non ci fa il certificato di residenza se prima non rinnoviamo il permesso di soggiorno, che non ci rinnovano senza certificato di residenza. Sto pensando di cambiare il mio nome in Akakij Akakievic, per coerenza.

Al patronato Cisl di Silent Hill, dove ci siamo rivolti in cerca di aiuto, che compilare un modulo del genere è più difficile delle parole crociate senza schema, l’atmosfera è assurdamente tranquilla. L’impiegata ci consegna un pezzetto quadrato di legno col numero 6 inciso sopra e ci lascia sprofondare nel silenzio irreale della sala d’attesa. Ci sono altre tre persone prima di noi, due donne in età pensionabile e un operaio appena smontato dal turno. Nessuno parla, nessuno si muove. Con noi ci sono la mamma e la nonna di Shasha, a cui avevamo promesso una gita all’outlet, e adesso si guardano intorno spaesate. Erano venute in Italia attratte dalla vita pazzesca che ci vedevano condurre attraverso Instagram, fatta di cene in ristoranti di lusso, aperitivi al mare, lotta nel fango e grigliate di opossum, e invece cos’è questo posto? Un ufficio sonnolento dove non ti offrono neanche del crack? Averlo saputo prima stavano a casa, là i lavoratori non hanno un sindacato e non corri il rischio di trovarti in queste situazioni.

L’impiegata che ci spiega come compilare il modulo è paziente, ma si vede che vorrebbe essere altrove, guarda l’orologio appeso al muro, poi la cartolina di una spiaggia sulla scrivania con la dicitura “Saluti da Portogruaro”, poi sospira e torna a spiegarci che in quanto coniugata con un cittadino italiano, Shasha non rientra nella categoria “ufficiale della Marina libica” e non può usufruire del diritto di asilo a essi riservato.

Shasha annuisce in silenzio, ma un po’ le dispiace dover limitare le sue cattiverie a me soltanto. “Posso almeno offendere l’africano fuori dal supermercato?”, le chiede.

Alla fine riusciamo a ottenere l’assistenza necessaria, e possiamo andare via col cuore più leggero: il permesso di soggiorno scadrà e Shasha verrà rimpatriata, ma le hanno rilasciato un modulo per cambiare identità e ripetere la procedura con un altro nome. “Tanto voi cinesi siete tutti uguali!”. Ridiamo tutti.

Per festeggiare andiamo all’outlet a guardare male i commessi di Dolce & Gabbana.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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