this is never going to work

Oggi è un anno da quel tramonto sulla Terrazza del Gianicolo a pensare che certo, la sostanza è importante, ma se devi baciare una ragazza un panorama del genere ti fa metà del lavoro.

È stato un anno di controlli bagagli e classi economiche, cartelli che non sappiamo leggere, strade che non finiscono mai.

Timbri sul passaporto, visti d’ingresso, perquisizioni in metropolitana, stazioni di polizia, dove abiti, quando te ne vai, fammi vedere i documenti, è vietato fare le foto.

Quanto costa? Cosa c’è dentro? È ancora vivo? Come si dice portamene un altro?

Praga, Roma, Venezia, Pechino, Shanghai, non è mica facile mantenere degli standard così alti, domani ti porto a cena a Parigi.

vabbè ma così son buoni tutti

La tua lingua non la so parlare, tu la mia neanche, un inglese ci direbbe che non sappiamo neanche la sua, ci siamo inventati una comunicazione ibrida fatta di spazi enormi, città grandi come stati, distanze inimmaginabili infilate dentro un rettangolino di vetro e plastica, desideri chiusi in tastiere microscopiche e verbi che non esistono. Sarà per questo che non scrivo mai di te, perché nelle parole che dovrei usare non ci sei.

Dovrei comprare un biglietto e cucinare ingredienti che non conosco e dire al telefono di spiegare alla guardia che sto aspettando la mia fidanzata perché ho bisogno che sappia che se sto qui a scrivere su una tastiera che neanche funziona bene è perché un anno più tardi non importa quanto sei lontana, ti porto in tasca tutti i giorni, ma se ti ho vicino è meglio.

E non lo so quando troveremo il modo di stare insieme, se sarà qui o laggiù o in un altro posto, e cosa ci lasceremo dietro e a che prezzo; so che succederà e che ne varrà la pena.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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