Il Pensiero di Renzi Jinping sul Socialismo con caratteristiche toscane per una Nuova Era

Una mattina Renzi si sveglia e scopre di non essere più il segretario del PD. Gli ci era voluto del tempo per accettare di non essere più Presidente del Consiglio, ma col passare dei mesi se n’era fatto una ragione. In fondo, si diceva, sono sempre il segretario del PD, lasciami vincere un’elezione ed è un attimo che torno a governare il Paese.

Quella mattina lì, un lunedì, quindi già brutto di suo, Renzi scopre che le elezioni ci sono state, e non le ha vinte lui. Le ha vinte la destra, e il prossimo Presidente del Consiglio sarà probabilmente Salvini, o Di Maio.

E come se la notizia non fosse già abbastanza grottesca, viene fuori che il suo partito, il PD, ha subìto la sconfitta più disastrosa della storia repubblicana, e adesso gli iscritti vogliono la sua testa su una picca.

Renzi non ci sta, è un combattente, non si arrenderà mai senza lottare, e dichiara guerra al sistema!

Tornerà più forte di prima, si riprenderà il partito e il governo, si farà eleggere anche Papa, se gli gira! Oltretutto Papa Renzi fa sicuramente più simpatia di Paparesta.

Per prima cosa ci vuole un piano. Bisogna capire dove sta andando l’Italia, e proporsi come la soluzione migliore ai problemi del Paese. Sì, ma quali sono? Analizzando i risultati delle elezioni Renzi elabora una risposta.

Intanto per cominciare sembra finalmente fuori tempo la secolare lotta fra fascisti e antifascisti: le due fazioni agli estremi dell’emiciclo parlamentare si sono presentate con diverse liste, ma tutte insieme hanno raccolto meno del 3% necessario a superare lo sbarramento. È evidente che l’Italia, tranne i soliti quattro stronzi, non si considera fascista, e anche i partigiani salvatori della Patria preferiscono stare a casa a guardare Netflix che andare sulle montagne a combattere per la libertà.

Renzi tira un sospiro di sollievo e si toglie gli scarponcini. E anche il fez, che fra l’altro lo fa sembrare un cretino.

ognuno ha il Che che gli pare
(Getty)

Che l’Italia non si senta fascista non esclude che possa..

No, fermo, qui c’è una doppia negazione. Una cosa che Renzi ha capito dai risultati del 4 marzo è che la maggioranza degli Italiani conosce la grammatica per sentito dire, e la sua capacità di concentrazione non supera i 160 caratteri, quindi Renzi dovrà esprimere i suoi concetti in un linguaggio più semplice, o non verrà capito.

Diceva, dunque, che pur non sentendosi fascista, quest’Italia si comporta come tale con una frequenza allarmante: tizi che scendono in strada a sparare ai negri in nome dell’amor patrio, altri tizi che scendono in strada a sparare ai negri perché volevano suicidarsi ma hanno una pessima mira, sindaci che si incazzano perché ad un certo punto i negri scendono anche loro in strada per chiedere di essere tutelati, e rompono due vasi.

Renzi si gingilla per un po’ con l’idea di assecondare questa deriva razzista: in fondo se è questo che vuole il Paese dovrebbe essere un dovere dello Stato assecondare i desideri dei suoi cittadini. Senza contare che un elettore spaventato è molto più facile da convincere di uno che si prende il tempo di riflettere, e oggi come oggi la paura degli immigrati vale il 30% dei voti.

No, non degli immigrati, diciamo le cose come stanno. Dei negri. Perché degli immigrati albanesi, sudamericani o cinesi non frega un cazzo a nessuno, sebbene siano molti di più. L’”Emergenza Albanesi” ormai ha ventisette anni e non se la ricorda più nessuno, l’”Emergenza Rumeni” è più recente, ma è durata da novembre a gennaio, quando è caduto il governo. Siamo andati a votare, ha vinto Berlusconi e i rumeni hanno smesso di essere una minaccia, come già gli albanesi prima di loro.

Renzi decide che non vale la pena assecondare una moda passeggera per raccattare voti, e sparare alla gente non è degno di un Paese civile, non siamo mica la Germania nazista. Se una fetta dell’elettorato aspira a diventarlo non è un elettorato da inseguire, ma casomai da educare. Il populismo paga solo sulla breve distanza, poi ti taglia le gambe.

La prima decisione di Renzi come futuro premier è impopolare, ma necessaria: adottare una politica di sostegno verso gli immigrati.. verso i negri, che punti a favorire l’integrazione dei nuovi arrivati da una parte e a tranquillizzare gli autoctoni dall’altra.

Qui Renzi si ferma un attimo per spiegare ai leghisti che “autoctono” significa “originario del luogo”. Loro, in parole povere. Gli italiani.

Questa parola gli fa venire in mente un altro punto importante del suo programma: italiano è chi nasce in Italia, non importa la nazionalità dei suoi genitori. Punto.

Siamo un popolo di vecchi, se non troviamo un sistema per rilanciare la natalità fra sessant’anni ci saranno due milioni di puri italiani veri a contendersi chilometri quadrati di territorio abbandonato e improduttivo, gridandosi terrone a distanza.

“Ma così viene minacciata la nostra integrità razziale”, bercerà dalle pagine di qualche giornale un emulo di Himmler

Renzi telefona a Salvini per spiegargli che emulo vuol dire “seguace, imitatore” e che Himmler.. vabbè, quello lo sa di sicuro, sennò l’alleanza con Casapound finiva ancora prima di cominciare. Le basi, Matteo! Le basi!

Comunque Renzi non ne ha voglia di spiegare perché questa teoria della deitalianizzazione è una cazzata, è talmente assurda che se hai bisogno di fartela spiegare significa che non sarai mai in grado di capirla. Vota quegli altri, fai prima.

E già che ci sei portati dietro gli antivaccinisti.

A proposito: le due forze politiche di maggioranza hanno inseguito il consenso così in basso da mettere in pericolo la salute pubblica avallando le cazzate medievali professate dai no vax. Questo non è solo cinico, è criminale.

I diritti umani occupano una buona parte del programma di Renzi, ma d’altronde prima che cittadini siamo esseri umani, e il nostro benessere dovrebbe essere l’ambizione principale di ogni governo, sennò non fondi uno Stato, apri una sala scommesse.

“Ma non è di soli diritti umani che vive uno Stato!”, esclama Renzi. Poi si appunta la massima su un quadernetto dalla copertina rossa pieno di idee per rilanciare l’economia e il sistema giudiziario e la legge elettorale e la finisco qui che se ve le sto a spiegare tutte facciamo notte.

ognuno ha la first lady che gli pare
(sempre Getty)

Una volta coperti tutti i punti del programma, Renzi si presenta alla più vicina sede del PD per cercare di convincere il partito a riprenderlo con sé.

Non gli aprono neanche, ma è probabile che non abbiano sentito il campanello: da fuori si sentono schiamazzi e porte che sbattono. Ad un certo punto si alza chiara e tonante la voce di Casini che urla: “Compagni! Ordine!”. Subito dopo dal portone esce Berlinguer in lacrime.

Renzi capisce che ormai lui e il partito si trovano su due strade diverse, e che deve rifondare un nuovo movimento, partendo dalla strada.

Rifondare è una bella parola, pensa Renzi, starebbe bene nel nome del partito. Decide così di chiamarlo Partito della Rifondazione Renziana. La tomba di Cossutta esplode.

Dopo la fondazione arriva il momento di farsi conoscere dall’uomo della strada, Renzi si mette a fermare persone a caso per sottoporre al loro giudizio il suo programma.

La prima signora che ferma ha votato 5 Stelle e gli dice PDiota.

La seconda persona è un leghista che lo accusa di avere portato i negri.

La terza è un elettore del PDL che gli da del coglione a lui e a tutti quelli che votano a sinistra.

La quarta è uno di Casapound che lo mena.

La quinta è uno di Potere Al Popolo che gli sputa in faccia.

La sesta è uno del nuovo Partito Comunista che gli sputa in faccia.

La settima è Bersani che se non glielo levano da sotto lo disfa.

L’ottava è Casini che lo chiama compagno.

Renzi capisce che bisogna cambiare strategia. In questi anni il partito si è allontanato dalla gente, ha smesso di ascoltarla, e questa si è rivolta altrove. È una storia cominciata tempo fa, quando gli operai votavano Berlusconi, che è come se un cinghiale si facesse la licenza di caccia.

Per la sua nuova strategia Renzi si fa crescere la barba, indossa un parka e va ad aspettare gli operai che finiscono il turno di pomeriggio, fuori da una grossa acciaieria siciliana. Perché è soprattutto il Sud a essere stato trascurato da tutte le forze politiche, perciò sarà da lì che ricostruirà il suo feudo.

Va a chiedere udienza al primo gruppetto che esce dal cancello, coi fogli ciclostilati in mano da vero comunista old staila si avvicina e li interroga.

“Ragazzi, volete il programma di Rifondazione?”

Per uno strano imbarazzo non se la sente di rivelare il nome completo del partito.

Quelli lo riconoscono lo stesso, ma invece di sputargli strabuzzano gli occhi:

“Mii! Ancora campagna elettorale?? Ma siamo appena andati a votare, che è?”

“È che questi partiti non riusciranno mai a formare una coalizione e andare al governo senza di me, quindi si andrà per forza a nuove elezioni. Mi sto solo portando avanti.”

“Vabbè, ma se votiamo di nuovo mica vinci te”, gli dice uno.

“Capace che stavolta pigli il 2%”, aggiunge l’altro.

“Vedete? È per colpa di questo disfattismo che il partito continua a perdere consenso. Non volete capire! Certe volte mi viene voglia di andarmene davvero e lasciarvi da soli a risolvere i vostri casini. Ma sono troppo buono, è il mio problema.”

“Mi sa che il tuo problema è la democrazia”, gli dice un anziano con un po’ di panza.

“Ma figuriamoci! Ma se abbiamo fatto anche le primarie per decidere chi sarebbe stato il segretario! E primarie vere, mica come quelle dei gril..”

“Democrazia nel senso del termine”, lo interrompe quello. “Democrazia inteso come governo del popolo. E il popolo ti ha fatto capire chiaramente che non ti vuole. Ma tu non te ne vuoi andare.”

“Ma perché non volete capire! Non c’è futuro senza di me, io sono l’unico che può traghettare il partito e tutta la sinistra fuori dal baratro! Io..”

“Hai perso. E non lo vuoi ammettere, vuoi restare lì. Ma non è un problema tuo, eh? Sono anni ormai che il partito ha smesso di ascoltare gli elettori. E alla fine gli elettori si sono stancati di parlare al vento. Io sono sempre stato comunista, fin da ragazzino. Figurati che quando stavo a Palermo ascoltavo Radio Aut. Poi avete cominciato a cambiare, e per un po’ vi sono venuto dietro. Ma non si poteva più, tutte le volte era un po’ più difficile. Un paio di volte mi avete fregato col ricatto che se non vi votavo vinceva Berlusconi, ma sto trucchetto non può funzionare sempre, no? Ad un certo punto dovete anche proporre qualcosa. E se qualcuno provava a cambiare lo isolavate. Perfino tu all’inizio sembravi una novità positiva, e guarda come ti sei ridotto. Adesso mi sono scocciato, ho votato i 5 Stelle. Perché sono quello che era il mio partito all’inizio, e magari loro non finiranno per inseguire il potere e basta.”

A sentir paragonare i 5 Stelle al Partito Comunista Renzi si inalbera, anche se lui di comunista non ha mai avuto neanche i nonni, ma essere il segretario di partito ti obbliga a indossare certi abiti che poi diventa difficile togliere.

“Come fai a paragonare questi populisti ignoranti col Partito? E gli ideali? E il progresso? Noi abbiamo lottato per l’aborto, per il divorzio, per le pari opportunità, loro cos’hanno fatto?”

“Voi avete lottato?”, gli grida in faccia l’anziano con la panza, “Voi? Ma che cazzo di lotta hai fatto tu a parte quella per tenerti la poltrona? Dov’è che il tuo partito ha soltanto immaginato qualcosa di sinistra?”

“Vi abbiamo dato i matrimoni gay! Eravamo a tanto così da darvi anche lo ius soli!”

“Ma non l’avete fatto! E i matrimoni gay mi pare il minimo, eravamo rimasti solo noi! Perfino Spagna e Irlanda hanno ottenuto questi diritti! E non mi dirai che sono paesi dove la chiesa non ha nessun peso! La devi ascoltare la gente, Renzi! La gente vuole un partito comunista vero, non questa porcheria!”

“Ce l’avevano. A queste elezioni ne avevano anche più di uno, e non li hanno votati. Hanno votato tutti i 5 Stelle. Perché non li hai votati tu?”

“Perché erano quattro scappati da casa. Io voglio un partito che sappia stare nel suo tempo, se volevo i maoisti andavo a vivere in Cina.”

“Comunque ho capito i miei errori. Per questo ho deciso di uscire dal PD e fondare un nuovo partito a mia immagine e somiglianza. Volete leggere il programma?”

“E faccelo leggere, dai.”

Renzi allunga al gruppetto i suoi fogli ciclostilati e quelli si mettono in cerchio con la testa bassa a rimuginare fra loro.

“Oh ma questo è un programma di sinistra bello tosto, ma che è?”

“Ho capito che non possiamo essere un ibrido né carne né pesce, dobbiamo schierarci. E allora ho preso una posizione netta.”

Gli operai sembrano convinti, sorridono un sacco. L’anziano con la panza gli dà una pacca sulla spalla e gli dice che magari stavolta ci pensa. Intanto si sono avvicinati altri personaggi, che ricevono il programma e si mettono a leggere. In pochissimo tempo il partito di Renzi sembra essersi guadagnato un discreto numero di simpatizzanti.

Poi uno gli domanda:

“Sì, vabbè, ma non è che il governo te lo puoi fare tu da solo. Chi chiami a darti una mano?”

“Eh ci ho pensato a lungo. Ho capito che il Paese chiede facce nuove, non importa la loro esperienza, basta che non siano gli stessi che lo hanno ridotto in questo stato. È per questo che ha avuto tanto successo il partito populista, perché è fatto da sconosciuti, gente non ancora toccata da nessuno scandalo. La gente vuole un rinnovamento, e io ho intenzione di darglielo. Sono o non sono il Rottamatore?”

“Eh, e quindi chi ci metti?”

“Mia zia. Non è mai stata in politica ed è una bravissima persona. E anche suo marito, se avesse voglia di partecipare al progetto. Poi ci sarebbe il mio parroco, da sempre impegnato nel sociale. Al mio meccanico vorrei assegnare il ministero dell’economia, perché dovreste vedere come ha tirato su l’officina che ha rilevato tre anni fa..”

Il sole tramonta dietro le ciminiere, e sul piazzale le ombre si allungano. Mentre Renzi snocciola la sua lista di rappresentanti di specchiata probità e cieca appartenenza alla sua causa il gruppo di operai si disperde. Ai loro piedi tante palline di carta, bianche come lapidi. Ognuna la tomba di un ideale, l’incarnazione di un partito che è morto mille volte e non rinasce mai, ma non per questo smette di morire.

 

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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