salmo 42

“Non possiamo pretendere che le cose cambino,
se continuiamo a fare le stesse cose.”
Albert Einstein

“La, languidi bri, brividi
Come il ghiaccio bruciano quando sto con te
Ba, ba, ba, baciami siamo due satelliti in orbita sul mar”
Righeira

Sono seduto fuori, nel gazebo, e c’è questo pakistano che mi regala un braccialetto portafortuna perché gli ho dato un euro, quindi alla fine non me l’ha regalato, me l’ha fatto pagare un euro, che è un prezzo veramente da bastardi per un braccialetto di nylon, e me l’ha ancora spacciato per un gesto di generosità inestimabile, che quell’amuleto mi cambierà la vita, dovrei tornare a cercarlo e tirarglielo.

Però un attimo dopo, proprio mentre lo sto legando con una destrezza che se non mi garantisce l’accesso alla nazionale di legamento braccialetti dei pakistani truffaldini è solo perché al tavolino accanto non è seduto il commissario tecnico ma due tizie col cagnone di Up, arriva una che secondo me è fatta di un materiale che non è di questo pianeta, e parliamo di qualcosa che nella mia testa suona come un ronzio di api impegnate a secernere miele, dove la mia voce interpreta le api e la sua il miele, ed è tutto perfetto tranne che la persona che sta al tavolino con me non mi fa il favore di scomparire in un’altra dimensione e rumoreggia perché la presenti, così mi rivolgo alla creatura extraterrestre e in uno sforzo titanico imbriglio quei tre vocaboli necessari e le faccio conoscere la mia amica Santa Rosalia de Carrizal.

La conosceva già, di nome, un nome così te lo ricordi, anche se non è il suo vero nome, lo cambia a seconda del calendario liturgico per poter sfruttare al massimo gli onomastici, due mesi fa si chiamava Luciano. Gliel’avevo già nominata la settimana scorsa, quando mi ero trovato casualmente proprio davanti al suo bar ad aspettare questa stessa mia amica con cui avevo appuntamento tre ore più tardi dall’altra parte della città, e questa creatura composta di pulviscolo cosmico e nuclei di stelle mi aveva chiesto con una certa rudezza “chi cazzo è Santa Rosalia de Carrizal?”.
Mi ero anche fatto dei film su questa sua scena di gelosia, avevo ridacchiato con sicurezza e le avevo chiesto se per caso fosse gelosa delle mie amiche. Mi aveva guardato senza rispondere, ma nel suo sguardo c’erano tutte le risposte più sarcastiche e umilianti che un uomo potrebbe ricevere in tre vite, e la mia sicurezza aveva guaito ed era corsa a piangere sotto la doccia.

Stasera l’ha visto chi cazzo è, ha riso, le ha stretto la mano esclamando “Chi Cazzo è Santa Rosalia de Carrizal! Piacere di conoscerti!” e si è fermata a fare le due chiacchiere abituali, che fino a quel momento erano mancate. Già, per tutta la sera ha girato intorno al tavolino senza avvicinarsi, mi ha guardato mercanteggiare con un predone di Harappa senza intervenire neanche quando era ormai chiaro che sarei finito in trappola spogliato dei miei averi, ma soprattutto ha osservato da lontano il mio comportamento con la donna che mi stava accompagnando, assicurandosi che non ci scambiassimo limoni in pubblico o smanacciate sotto il tavolino.

La mia amica è un’ottima spalla, fa in modo che la conversazione cada spesso su di me e ne approfitta per lodare le mie qualità senza apparire forzata: quando la Risposta Alla Domanda Fondamentale Sulla Vita L’Universo E Tutto Quanto ci racconta del tizio che ieri sera l’ha seguita mentre tornava a casa dopo il lavoro, la mia amica risponde che se ci fossi stato io nei paraggi non avrebbe corso alcun rischio perché sono stato campione olimpico di dure nelle cosce e conosco a memoria tutte le canzoni di Memo Remigi. Che c’entra Memo Remigi? Niente, però le sa ed è giusto che glielo si riconosca.
La mia amica si fa prendere un po’ la mano, certe volte.

Quando andiamo via mi fermo a salutarla e la mia amica si piazza alle mie spalle e mi pianta il gomito in un rene e mi borbotta chiediglielo chiediglielo chiediglielo a un volume che nella discoteca in fondo alla strada uno si affaccia a vedere chi è che schiamazza, e allora le chiedo se dopo il lavoro le va di venire con noi, e a sorpresona risponde di sì e mi lascia il numero di telefono.
Muoio apposta per resuscitare, ma non lo do a vedere. Me ne vado via con Santa Rosalia de Carrizal e l’aria di chi il numero di telefono gli era dovuto,  ma arrivati davanti alla discoteca entriamo e accendiamo un cero alla Madonna Delle Occasioni Mancate per ringraziarla di essersi distratta. In discoteca non hanno ceri, ma tanto quella madonna lì ce la siamo inventata in quel momento. Per fortuna che non incontro il pakistano di prima perché sono così esaltato da credere alla storia del braccialetto portafortuna e finirei per regalargli le chiavi della macchina.

Andiamo a cena dall’indiano e ci troviamo il pakistano di prima, che lavora lì, fa il cameriere. Vedendomi al polso il suo braccialetto ci tratta come clienti vip e ci fa sedere al tavolo più importante, quello del padrone del locale. E sono così esaltato che potrei regalargli le chiavi della macchina, ma viene fuori che il tavolo del padrone sta fra la cucina e il cesso, perché il padrone fa avanti e indietro tutto il tempo, non può mica ogni volta attraversare tutta la sala e dar fastidio ai clienti.
Finita la cena siamo impregnati di un odore di cibo che non capisci se è di prima che venga mangiato o di molto dopo.

Scrivo un messaggio a quell’entità soprannaturale fatta di preghiere e sogni di bambini. Scelgo con cura le parole per non lasciar trapelare che ho lo stomaco stretto dalla voglia di vederla, oppure dalla cena, non lo so, preferisco credere alla prima. Dopo quaranta minuti Santa Rosalia de Carrizal mi chiede se mi ha risposto, ma devo ancora finire di scriverlo, per il momento ho digitato solo la lettera u. Perché la u? Perché mi sembrava una bella lettera.
La mia amica sbuffa e mi prende il telefono e scrive qualcosa di breve, oppure un poema epico in tre atti, ma allora digita velocissimo, e dopo un paio di minuti il telefono mi avverte che è arrivata la risposta.
Faccio un bel respiro, la leggo, ne faccio un altro più lungo. Dice che non sa se ci raggiunge. Sta ancora lavorando, è stanca, magari torna a casa.

La mia amica cerca di tirarmi su il morale e mi propone di accompagnarla in una piazza della città dove dei suoi amici stanno facendo la gara a chi sta vivendo l’esistenza più squallida. Accetto, l’idea di primeggiare in qualcosa mi fa sentire un po’ meglio.

Gli amici di Santa Rosalia de Carrizal sono tre, e si chiamano Gina, Michela e Quiquoqua. Quiquoqua è un uomo, o almeno così tiene a ribadire, indossa pantaloncini da uomo comprati nel reparto maschile di un negozio di abbigliamento per uomini, e sulla maglietta c’è scritto MAN a lettere maiuscole. I baffi non li porta perché non riesce a farseli crescere. E per ribadire che è un uomo con tutte le cose in regola ci prova tutto il tempo con Michela.
Che è un uomo pure lei. Oppure no, la mia amica dice di no, ma se è una donna è una donna molto brutta, non ha niente di quello che ti aspetteresti di trovare in una donna, tipo la femminilità. C’è più femminilità in un carro armato tedesco che dentro Michela. È secca secca, tiene le braccia piegate e si strofina le mani nervosamente. La mia amica dice che non ha un uomo da anni, ma che Quiquoqua non le piace.

Gina è la signora di ottantacinque anni a cui Michela fa da badante, se la portano dietro dappertutto, tanto lei non si lamenta. Dice eeh questi giovani. Le chiedi come sta, se vuole il golfino, ti guarda e non capisce. Allora Michela le dice la rebecca, e lei fa di sì con la testa. Perché a Genova gli anziani se non gli parli in anziano mica ti capiscono.

Mi suona il telefono e non capisco chi sia che mi chiama a quest’ora, tutte le persone che conosco sono già sedute al tavolino, le altre hanno smesso di cercarmi da dieci anni, compresa la mia famiglia che per essere sicura di far perdere le tracce ha cambiato cognome e ora si chiamano tutti Gonzales. Abitano sempre nella stessa casa, ma il nome sul campanello adesso è Gonzales, e quando ho provato a suonare mia sorella ha risposto que pasa hombre. Io faccio finta di non riconoscerli quando li incontro per strada perché ho l’impressione che preferiscano così.

Sto a guardare il telefono senza toccare niente, per paura che smetta di suonare, che si rompa qualcosa, che un intervento esterno possa spezzare quel momento di pura magia che di certo non si ripeterà mai più. Santa Rosalia de Carrizal capisce chi è e risponde al posto mio. Dice siamo in piazza e poi dice ti aspettiamo ciao. Le chiedo chi era, mi dice che coglione.

E dopo poco, davvero pochissimo, addirittura nella stessa settimana, la vedo arrivare. Mi accorgo che è lì perché l’aria si fa più fresca, come se spirasse un vento che arriva dalla cima di una catena montuosa di un paese remoto, dove la neve si sta sciogliendo e i prati sono pieni di fiori. Invece è la cameriera del bar che ha aperto la finestra del gabinetto quando è entrata per cambiare il wc net. A quanto pare hanno riparato il condizionatore.

Il Riassunto della Divinità si siede vicino a me e saluta tutti, si presenta col suo nome terrestre che non sono degno di rivelare né voi di conoscere; non lo sono neanche le persone al tavolo, ma se gli faccio una scenata Santa Rosalia de Carrizal poi mi tiene i musi. Ci incanta tutti con la sua voce incantevole, poi ci innamora coi suoi modi amorevoli, e infine ci stupisce dicendo un sacco di stupidaggini, e tutti ridiamo come bambini dopo una barzelletta sconcia.

Il più colpito di tutti è Quiquoqua, che non riesce a credere alla fortuna che gli è capitata e non vuole assolutamente perdere l’occasione di fare bella figura con la donna più bella che abbia mai incontrato. Le dice cose, le si siede vicino, più vicino, in braccio. Lei non si scompone, è di natura gentile, lo asseconda. Lui ci crede, si fa intrepido, mi esclude dalla conversazione. Michela coglie l’occasione e mi viene vicino, mi fa domande intellettuali, mi chiede che libri ho letto, mi chiede se conosco un regista afgano, mi chiede se ho letto libri che parlano di registi afgani, ma non ne ho voglia, rispondo vago, le taglio ogni tentativo di avvicinarsi.
Per carità, è una donna di profonda cultura e dall’intelligenza sopraffina, ma per le mantidi religiose in piena crisi sessuale ci sono i documentari su youtube.

Poi com’è cominciata finisce, e quando finisce è come mettere un miracolo in una scatola da scarpe in cima all’armadio. Un attimo prima era la festa del patrono con la chiesa illuminata che pare fatta di pizzo e quello dopo è gennaio, fa buio alle quattro e la roba stesa non asciuga più.
Ho passato la serata indimenticabile che desideravo? No.
Lei ha capito di voler passare il resto della sua vita con me? No.
Almeno ci ho parlato? No.
Vabbé, ma alla fine l’avrò accompagnata a casa? No. Ma neanche Quiquoqua.

Mi sento una barca in mezzo al mare, incapace di concludere qualsiasi cosa compreso il sudoku. Mi sento inutile, inadeguato. Mi sento addosso l’odore del cesso del ristorante indiano e di quello del bar in piazza.
In un gesto di rabbia prendo il braccialetto fra le dita e dò uno strattone. Non si strappa, però mi faccio un sacco male e il giorno dopo ho ancora il segno sul polso.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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