le pablog au cinéma: La La Land

Attenzione, questo post contiene degli spoiler grossi così!

 

Se La La Land fosse ambientato nel mondo della scrittura il protagonista maschile, Sebastian, sarebbe un blogger pedante che scrive recensioni e caga il cazzo perché non si fanno più i film di una volta, e questa sarebbe una delle sue tipiche recensioni.
Lo leggerebbero in quattro per il suo rifiuto di uniformarsi a una scrittura vendibile, ma lui se ne sbatterebbe le balle perché è anche un narcisista e pensa che gli altri siano solo un mucchio di stronzi incompetenti. Un giorno diventerà uno scrittore famoso e gliela farà vedere a tutti.
E per tutto il film avrebbe problemi a trovare un parrucchiere decente che gli tolga quel cazzo di pendalocco dalla faccia, ma cos’è, ti sei appiccicato alla fronte la bustina usata di tè?
Al cinema invece vedrete una storia in cui lui fa il musicista e tira a campare suonando quello che gli pare a lui invece dei pezzi richiesti, e infatti campa malissimo, tanto che sua sorella immaginaria che compare in una scena e poi basta lo va a trovare preoccupata per la sua salute e lui le rompe il cazzo perché si è seduta su uno sgabello dove una volta si era seduto blah blah blah blah.

ma come ce le hanno portate tutte quelle macchine sullo svincolo? guidando, credo

Lei, Mia, è la classica bellezza bionda che però quando la osservi meglio ti accorgi che non è per niente classica e cerchi di codificare questa bellezza, e alla fine l’hai guardata così a lungo che te ne innamori. Nel film originale l’hanno tinta di rosso per evitare questa chiave di lettura, ma se avete visto Birdman sapete a cosa mi riferisco.
Sta cercando di diventare un’attrice, e nel frattempo fa la cameriera. Una sera, di ritorno da una festa dove l’hanno trascinata le sue tre coinquiline immaginarie che compaiono solo in quella scena, si fa attirare dalla musica nel locale dove lui sta suonando un pezzo particolarmente ispirato che le apre il cuore. Glielo va a dire, ma lui quella sera ha le palle girate più del solito e le risponde “sì vabbè, e sticazzi?”

Si incontrano di persona a un’altra festa, a Los Angeles funziona così, si passa da una festa all’altra aspettando il terremoto che li ucciderà tutti: lui è vestito come uno dei Devo e suona in un gruppetto di cover. Lei gli chiede una canzone e questo si offende, perché per un musicista serio è offensivo suonare quella roba lì. La volta prima facevi canzoncine di natale, non ti va mai bene un cazzo, vai a fare il benzinaio e piantala di menarla.
Non glielo dice, trova una scusa per farsi accompagnare alla macchina e parte un balletto di tip tap che secondo me è il momento migliore del film, anche perché si capisce che nonostante le dichiarazioni di con te neanche morto, e oltretutto stai pure con un altro, lui se la filerebbe parecchio. Ciononostante la lascia salire in macchina e andarsene senza averle chiesto il numero di telefono. C’è più realismo in questa scena che in tutto Rossellini.

fanculo il teatro, voglio imparare il tip tap!

Poi vabbè, si mettono insieme, sennò il film durava un quarto d’ora: lei nel mezzo di una cena a coppie molla il fidanzato immaginario che compare solo in quella scena e corre dall’altro, e inizia la parte di film a tema madonna quanto siamo felici che perfezione ma chi l’ha mai vista una coppia felice come noi uh quanto ci amiamo. Dieci minuti di loro che camminano per mano ovunque, si vede che gli hanno fregato la macchina, ma chi se ne frega della macchina quando c’è l’amore.

Vivono a casa di lui, che ci piove dentro, ma sono felici. Lei lo convince ad accettare un lavoro nel gruppo di John Legend, che qui fa il traditore del Sacro Ideale Del Jazz, suona una specie di fusion tipo Galliano, Buckshot LeFonque, quella roba da aperitivi in spiaggia, lui accetta ma caga il cazzo. Meno, perché guadagna un botto, ma un po’ lo caga.

E poi litigano, e lei se ne va. Lui però va a cercarla perché la ama, la convince a fare l’ennesimo provino, lei lo passa, diventa famosa, e va a Parigi. La ritroviamo cinque anni dopo con un marito elegante, una bella casa e la macchinona. Una sera escono e capitano per caso in un locale, attratti dalla musica. È il locale di Sebastian, ovviamente, se fosse stato un Hard Rock Cafè dove si stava esibendo una cover band degli Aerosmith si sarebbero divertiti di più, ma il film ne avrebbe risentito. Invece al piano c’è proprio lui, Sebastian, che vede Mia fra il pubblico. Hanno per tutto il film questa cosa di trovarsi subito in mezzo a una folla al buio. Io quando sono su un palco e viene a vedermi qualche amico non me ne accorgo neanche se sta in prima fila. Ma loro hanno l’amore che li guida, eh già.
Si vedono, lui attacca un pippone lentissimo che lei riconosce e le fa fare tutto un viaggio mentale col magone, alla fine del quale speri che si rimettano insieme, e invece lei dice al marito “vabbè, andiamo?”.

mi fai quella della pasta barilla?

E qui succede una cosa di fantascienza che non ti aspetti, perché mentre lei esce si guardano un momento, e lui scioglie quest’espressione corrucciata per farle un sorriso e un cenno che sembra dire va bene così, amici come prima.
E no, non può andare così.

Nella mia versione lui la blocca e le chiede chi è quello stronzo.

– E tutte le promesse che ci siamo fatti quando sei partita per Parigi? Io ti ho aspettato!
– Tu non ci sei voluto venire a Parigi, cosa dovevo fare? Dovevo chiudermi in casa a fare la monaca di clausura?
– Ma ti aspettavi che avrei mollato il lavoro per seguirti, scusa?
– Avresti mollato il lavoro che non ti piaceva per inseguire un sogno! Quello mi aspettavo!
– Quel lavoro che non mi piaceva dava da mangiare a tutti e due, mi pare. Perché tu hai lasciato il posto da cameriera per scrivere una cazzo di opera teatrale che hanno visto in tre, e intanto abitavi a casa mia, Mia. Se ora sei un’attrice famosa è anche grazie a quel lavoro là, ingrata di merda!
– E perché tu non hai fatto la stessa cosa? Quand’è stato il tuo turno di buttarti e affidarti a me non l’hai fatto. Avresti potuto suonare nei bistrot, saremmo rimasti insieme. Se ci avessi tenuto davvero a me l’avresti fatto!
– Ma ti senti? Potrei dirti la stessa cosa, te ne rendi conto? Anch’io ti ho proposto di seguirmi in tournèe, sarebbe stato più facile, dopotutto il tuo lavoro era stare a casa a scrivere. Cosa conta se la casa è a New York o a Frittole? Ma non hai voluto, avevi le tue cose lì, dicevi. L’ho accettato, ho rispettato il tuo spazio. Ma quando tu hai dovuto accettare il mio no, niente da fare. La signora non accetta compromessi. La signora non aspetta. La signora se ne va e sposa lo stronzo con la bella macchina, e tanti saluti alle promesse.
– Ma quali promesse? Quali? Le hai lette o no le didascalie del film? Primavera, estate, stop! Siamo stati insieme sei mesi! Ti pare che mi impegno per tutta la vita con uno con cui sto da sei mesi? Non abbiamo neanche fatto sesso, nel film non si vede mai!
– E allora? Non si vede neanche che lo fai con coso qui, l’onorevole di stocazzo.
– Ma abbiamo una figlia! Come pensi che l’abbiamo avuta, coi punti del detersivo?
– Hai detto che mi amavi, cristo!
– Ecco, tu invece non l’hai detto mai.
– Ma mica la scrivo io la sceneggiatura! E poi cosa vuol dire? È evidente che sono uno di quelli che non lo dicono ma lo dimostrano. Non te l’ho dimostrato?
– No. Non sei neanche venuto alla prima del mio spettacolo.
– Stavo lavorando!
– Era più importante il lavoro che odiavi della donna che amavi? Hai fatto una scelta, mi hai costretta a fare altrettanto.
– Eh no, tu hai fatto quella scelta prima di me!

Potrebbe andare avanti all’infinito, e nessuno la spunterebbe.
Il fatto è che La La Land, questa deliziosa storia d’amore e di ambizione, sotto le canzoni orecchiabili e i colori sgargianti ci mostra due egoisti incapaci di riconoscere le necessità di un’altra persona e venirle incontro.
Quello che sembra suggerirci la storia, senza esprimere giudizi a riguardo, è che non importa quanto ti senti felice, la vera gioia sta nel raggiungere il successo. Quando i due si incontrano, alla fine, lo hanno raggiunto entrambi. Rivedersi provoca qualche sguardo incupito, due lacrime, ma nessuno dei due mostra la minima incertezza, è andata così, stammi bene, adesso vi suono un’altra canzone.

Lo so, non dite niente. Va bene così.

È la metafora del sogno americano: prima viene la carriera, poi casomai la famiglia. E poi, quasi sempre, l’analista.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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