parlando di (cose) serie 2

La volta scorsa mi ero congedato accennando ad alcune serie di cui avrei voluto parlare, così sono tornato per scrivere altre due righe su questo passatempo che abbiamo noi proprietari di divani comodi e tempo da perdere.

Better Call Saul è una serie di cui senz’altro avrete sentito parlare, se non altro a causa della sua sorella maggiore [sospiro]. Per quei due o tre che sono usciti dalla giungla l’altroieri sto parlando di [mi alzo in piedi e mi porto una mano sul cuore] Breaking Bad. Questa serie ne è lo spin-off, e parla dell’avvocato Saul Goodman, uno dei personaggi migliori di quella meraviglia     quell’assoluto capolavoro     quella cosa che se non l’avete vista siete degli stolti   quella serie di cui condivide autori, produzione e parte del cast.

A che ti serve Bryan Cranston quando hai Jonathan Banks?

A che ti serve Bryan Cranston quando hai Jonathan Banks?

Al momento siamo arrivati alla fine della seconda stagione, e tutto si svolge prima della storia raccontata in [mi rialzo in piedi e mi riporto una mano sul cuore] Breaking Bad. Dall’inizio della serie siamo venuti a conoscenza di come Jimmy McGill abbia cominciato la sua carriera legale, del rapporto difficile che ha col fratello (un ottimo Michael McKean che non avrebbe bisogno di presentazioni), della sua tendenza a complicare la vita degli altri, e del suo genio.
È una storia dai toni più leggeri di quella raccontata da [mi alzo ancora una volta e mi riporto la mano sul cuore, ma credo che oramai ci siamo capiti] Breaking Bad, sebbene la presenza di Mike Ehramntraut e di diversi narcotrafficanti conosciuti e non garantisca una certa dose di tensione.

Va visto, anche se non è [resto seduto e agito la mano come a dire seeh andiamo avanti] Breaking Bad, ma del resto alla seconda stagione neanche Breaking Bad aveva mostrato tutto il suo potenziale. Gli elementi ci sono, diamogli fiducia e aspettiamo che Mike faccia il suo sporco lavoro.
Il grande mistero di quest’anno è Preacher. Mi è piaciuto? Mi ha fatto cagare?
È una serie tratta (ma sarebbe meglio dire “ispirata”) a un fumetto di (già??!?) sedici anni fa, scritto da Garth Ennis e disegnato da Steve Dillon.
Se non siete pratici di fumetti questi nomi non vi diranno niente, e vi compatisco perché la vostra vita è davvero triste.
Gli altri staranno scuotendo il capo con mestizia, perché il povero Dillon è morto in questi giorni, e quindi anche la loro vita è triste, ma almeno possono consolarsi rileggendo Preacher, e il Punitore, e Hellblazer, e The Boys, e fermatemi sennò vado avanti tutta la sera.

Machos & nachos

Machos & nachos

La storia raccontata nelle pagine di Ennis è volgare, blasfema e violenta. E a leggerla adesso per la prima volta potrebbe apparire datata. E forse il pregio della serie è quello di averla resa di nuovo attuale, se non altro come linguaggio cinematografico. Perché è un gran bel prodotto, se ne ignori le origini. Ha un sacco di trovate pop, didascalie alla Tarantino, un’ironia intelligente, una storia mai banale, e dei personaggi pazzeschi. Se non hai mai letto il fumetto sei un poveraccio, ma di sicuro ti godrai questa serie molto più di quello che ho fatto io.
Perché il fumetto è diverso, è proprio la storia ad essere stata pasticciata. Il rapporto fra i personaggi è cambiato, Tulip è odiosa e vorrei ucciderla.
Conto sul fatto che una serie si propone di andare avanti per diverse stagioni, e voglia allungare il brodo il più possibile, ma una vocina dentro di me punta il dito e rompe il cazzo.

Scendi da quella macchina e trovati un lavoro!

Scendi da quella macchina e trovati un lavoro!

Mi sono tenuto per ultimo la serie che negli ultimi tempi mi ha fatto innamorare e soffrire come una fidanzata mai abbastanza rimpianta: Narcos.
L’ho amata dalla prima stagione, dalla sigla meravigliosa e dalla voce fuori campo che mi ha portato in Colombia, sulle tracce di Pablo Escobar.

Ecco, non si dovrebbero produrre serie tv che trasformano un criminale sanguinario in un eroe, e questo è forse l’unico difetto di questa produzione Netflix: alla fine, ti piaccia o no, tifi per lui. Perché Wagner Moura, l’attore che interpreta Escobar, è proprio bravo. E con quelle felpe orrende e la panza fa simpatia anche quando ammazza qualcuno a revolverate in faccia. E poi dice plata o plomo, e coma mierda, e hijo de puta con quella pronuncia da ciccione che se l’avete guardato in italiano forse è andata persa, e un po’ ve lo meritate perché dovete essere gli stessi che non hanno mai letto i fumetti di Preacher.

È il 1986, sono in prima superiore e lui è il mio prof di tedesco

È il 1986, sono in prima superiore e lui è il mio prof di tedesco

Ochei, si prende anche delle libertà nel raccontare la storia, inventa personaggi che non sono mai esistiti, ma non è mica un documentario. Se hai voglia di approfondire, internet ti offre tutto il materiale che sei disposto a leggere.
Ma se hai tempo di guardare una serie sola guardati questa. E prova a non innamorarti di Tata.

Se ce l’avessi io il tempo vi racconterei di The Strain, di cui è iniziata la terza stagione, di Mr Robot, di cui non so se guardare la seconda nonostante la prima fosse ottima (o forse proprio per quello), e di Black Mirror, di cui sto guardando, in colpevole ritardo, la prima e la seconda tutta insieme, e nel frattempo stanno trasmettendo la terza.

Magari torno.

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