suggestioni balcaniche

Fino a Venezia non te ne rendi conto: è un viaggio che hai fatto mille volte su un treno stipato di coscritti, quasi sempre da solo, che i tuoi coetanei li sopporti poco anche fuori dalla convivenza forzata. Scendi a Santa Lucia che è mattina piena, e non hai ancora fatto colazione. Il treno per Zagabria partirà fra quaranta minuti, hai tutto il tempo per un cappuccino, ma il bar della stazione fa tristezza, e poi è o non è un viaggio di scoperta? Lasci lo zaino al deposito bagagli e ti incammini deciso verso il ghetto ebraico, dove ricordi una pasticceria interessante. Dieci minuti più tardi sei seduto al tavolino ad ammirare i ricciolini di tre personaggi dal caratteristico copricapo a tesa larga, e ti domandi se la mancanza di coraggio ad indossarlo in pubblico sia abbastanza come deterrente all’acquisto, che tu e i cappelli avete una relazione complicata.
Magari al ritorno, se ti resterà tempo e denaro e spazio nello zaino.

La prima scoperta è che per arrivare in Slovenia si passa dall’Austria, e due ore a Villach sono un’esperienza che avresti evitato volentieri. Non c’è un cazzo a Villach, è la tipica cittadina austriaca che giri in venti minuti, poi scegli il ristorante dall’aspetto meno lupesco e ti fai un piatto pesante a base di weißwurst e patate, seduto dentro, che fa freddo da quelle parti, e oggi non c’è neanche il sole, perciò niente escursione sulla Villacher Alpenstraße. Per fortuna ti sei portato da leggere più di un libro, che questo tizio che scrive come Saramago non è per niente Saramago, e dopo un po’ meh.

Poi si entra nel Paese della J, Jesenice, Spodnje Gorje, Radovljica, paesi dagli angoli acuti di cui non sai pronunciare il nome, e meno male, che la cazzo di macchia mediterranea ci ha tolto la sensazione del viaggio, questa valle boscosa è identica a quella dietro casa tua. Le auto che corrono sulla strada accanto ai binari non hanno conservato niente dell’austerità socialista, sono le stesse Peugeot e Volkswagen che trovi nel piazzale del supermercato la domenica mattina. Giusto i vagoni merci, con le pareti spesse e tozze, da carro armato, ma sei deluso. Dov’è l’ombra di Tito? Ci sono ancora tracce del suo passaggio su queste terre, dopo trent’anni dalla sua scomparsa? È la ragione del viaggio, la ricerca di un passato che ti ha sempre sfiorato, senza mai toccarti. Nei tetri anni ’90 la guerra dei Balcani si portò via il benessere ostentato, gli scaldamuscoli fucsia e quelle cazzo di pettinature cotonate. Era difficile ascoltare Tarzan Boy quando ci si ammazzava appena fuori casa tua, ma tu vivevi nella tua bolla di irrealtà, avevi appena scoperto Mtv, e anche il servizio militare te lo sei fatto scivolare addosso sulla sponda sicura dell’Adriatico.

Poi un giorno ti svegli e decidi di andare a vedere se è rimasto qualcosa di quegli anni, come a volerti riappropriare di una fetta della tua vita di cui non ti sei curato. Forse è un modo per recuperare a strascico anche questi ultimi mesi balordi, forse entrare in contatto con qualcuno che è stato peggio di te ti aiuterà a ridimensionare i tuoi problemi alle cazzate che sono, e a lasciarteli alle spalle.

Ljubljana è un pezzetto di quel passato di cui sopra: una possibile meta delle tue vacanze di allora, quando passavi tutte le sere a casa della fidanzata e lei ti raccontava della città di sua nonna, guardavate le foto e progettavate un viaggio insieme. Poi siete finiti in Andalusia, e casomai a trovare sua nonna ci sarà andata da sola, dopo. Quattro minuti di sosta e una carrellata di palazzi grigi e spessi come i carri merci di prima sono un’impressione sufficiente con cui pagare il transito al tuo passato, la parte bella e antica che vedevi in fotografia la ritroverai un’altra volta se sarà il caso.

Glavni Kolodvor, dice la scritta alle mie spalle, sulla facciata di questo grande edificio rosa, con le statue ad affollare il timpano come un tempio greco. E proprio come se fosse scritto in greco non ho idea di che cazzo significhi Glavni Kolodvor, sarò sceso alla stazione giusta? Sul binario c’era scritto Zagreb, l’aspetto è quello del centro città, ma mi sento un po’ sperso. Tutto ad un tratto l’idea di viaggiare da solo in un posto di cui non so niente di niente non mi appare più così affascinante.

La piazza della stazione somiglia un sacco ad Avenida dos Aliados, a Porto, tranne che questa è orizzontale, e ti toglie tutta la scenicità, se mi passate il termine, ma cercate di capire, sto in una città che non conosco, non parlo la lingua, sono le nove di sera e devo comunicare con gli autoctoni per raggiungere un albergo che non so neanche se mi aspetta, visto che tutta la corrispondenza con la reception è stata effettuata grazie alla mediazione di google traduttore.

La mappa dice che posso arrivarci a piedi e scamparmi il trauma della comunicazione, così mi incammino lungo la piazza, davanti a questi palazzi che se non fosse per la bandiera croata potrei essere a Vienna. Mi infilo in una strada da vecchia Europa, e sbuco in una piazza vivace, ariosa, con palazzi del settecento pieni di insegne moderne, che è come prendere un quadro neoclassicista e colorarlo a pennarelli. Josip Jelačić indossa un buffo copricapo che vorrei assolutamente e punta la spada verso un negozio che si chiama Pan-Pek, e ha tutta l’aria di essere un panificio. Sento il riflesso pavloviano agitarmi lo stomaco, ma no, prima l’albergo, ormai dovrebbe essere qui intorno.
Mi infilo in una strada nuova, piena di boutiques, e sopra il negozio di Givenchy campeggia una bella insegna spartana che dice Dubrovnik. Eccululà.. Caasa. Vado a fare il check in e mi sbatto in camera, ma che delusione, l’austerità dell’insegna non viene affatto mantenuta all’interno, sembra una nave da crociera, con le camere che si affacciano sul salone e tutti i piani arredati con vasi di fiori. Dalla finestra che si affaccia sulla piazza vedo di nuovo il mio amico Josip, sempre intento a minacciare il panificio col suo sciabolone. Adesso sì, è ora di cercare da mangiare. Domani mattina si riparte, e sarà la parte difficile.

2 commenti

  1. Allora, intanto sto leggendo i tuoi post sui balcani (il che significa che dovrai farmi una visita di cortesia perché hai scritto ben tre post) e devo farti davvero i complimenti per l’audacia del tuo viaggio… Poi, aneddoto significativo, il secondo nome di mia sorella è Ljubljana e mi sono sempre chiesta perché a me abbiano dato due nomi fomi al limite del brutto o del buffo e a lei due nomi belli e sofisticati. Ad esempio il tuo nome è perfetto per te, ma hai mai ragionato come sarebbe stata la tua vita se ti fossi chiamato Augusto?

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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