Diario americano – Flatiron district

Qui bisogna che ci diamo una botta se vogliamo vedere tutto quello che ci siamo prefissi, il 2012 è vicino e poi non si può più, che ai maya io non ci credo, ma gli americani sicuramente e ho paura che l’anno prossimo chiudano tutta l’America in un’astronave e abbandonino il pianeta in cerca di fortuna, compresi gli speculatori di Wall Street che li hanno messi in ginocchio, al limite se lo dovessero rifare li sparano nello spazio. È questa la ragione che mi spinge a saltare giù dal letto alle sei e mezza come se dovessi andare a spaccare il mondo, vai, porcodue!

Usciamo comunque alle nove, che siamo due pigri di merda, ma nel frattempo posso sedermi sul divano a guardare l’East River.

Il Flatiron Building, pochi lo sanno, è la sede dei Boys, la più recente creazione di Garth Ennis, un fumetto molto violento e molto ironico che racconta quel che non sappiamo dei supereroi. La New York che fa da sfondo alle storie è molto simile a quella reale, salvo che l’undici settembre ha risparmiato le Torri Gemelle a danno del ponte di Brooklyn, e questo fa si che un lettore possa girare la città in cerca di luoghi descritti, lo stesso tipo di turismo cinematografico su cui ho già impostato la vacanza fin dalla sua preparazione.  Della sensazione che si prova a vedere una vignetta dal vivo ha già parlato Scott Ronson nelle sue ottime cronache americane, quindi vado avanti.

Se scendete dalla metro a Chelsea e vi avvicinate lungo la 23rd potete sbattere nel Chelsea Hotel,residenza storica di celebrità e teatro di un altrettanto celebre delitto: fu proprio qui che Nancy Spungen, fidanzata del bassista dei Sex Pistols Sid Vicious, venne trovata pugnalata il 12 ottobre 1978. Si parlò molto della cosa, se ne fece un film, ma la verità venne fuori solo molti anni dopo, ad uccidere Nancy fu il Professor Plum nella sala da biliardo con la chiave inglese. Quel che se ne fece del cadavere non ci riguarda.

Il Flatiron Building è tanto bello fuori quanto anonimo dentro, perlomeno il lato che ti lasciano visitare. I palazzi americani hanno tutti il portiere, un tizio ben vestito che ti osserva quando entri nella hall e non ti stacca gli occhi di dosso finché non te ne vai. A seconda di quant’è abituato ai turisti ti può lasciar pascolare o chiederti subito cosa vuoi, ma se provi ad avventurarti per le scale immagino che sia lì apposta per abbatterti davanti agli ascensori. Almeno questo è lo scopo dei portieri del palazzo in cui stiamo, e mi è sufficiente per non tentare di salire ai piani in nessun edificio in cui mi intrufolo, Flatiron compreso. Peccato, perché sono sicuro che salendo migliora parecchio.

Il vecchio Ferro da Stiro è in pratica anche l’unica tappa della giornata, visto che ci ronziamo intorno per un’ora, ma è un vecchio signore elegante, difficile tirarsene via prima che ti abbia raccontato di quand’era giovane e le macchine avevano le ruote di legno e tutto intorno erano casette basse e nei locali si suonava il charleston e la vuoi una mela cotta e ti ho già raccontato di quand’ero giovane e le macchine avevano le ruote di legno?

Una volta venuti via di lì ci facciamo un goodburger, che sarebbe l’hamburger che ti danno in una delle tante catene, molto buono davvero. Di fronte al ristorante i dipendenti Verisign, una specie di telecom locale, sono in sciopero contro i tagli aziendali, ed espongono cartelli che invitano gli automobilisti a suonare il clacson per manifestare la loro solidarietà. Questo rende il nostro pranzo un po’ rumoroso.

A Union Square, poco lontano da lì, delle anziane signore invitano i passanti a votare per una migliore ripartizione del denaro pubblico secondo un sistema intelligente: in pratica ti danno una bustina con delle monete e ti chiedono di infilarle in contenitori cilindrici su cui sono applicate etichette che dicono “spese militari”, “istruzione”, “cultura” e via dicendo. Una di loro si incarica di registrare le percentuali di voto su un quaderno che poi immagino spediranno a chi di dovere, o conserveranno da sfogliare nelle fredde serate invernali insieme ai nipotini.
Quando scoprono che siamo italiani indovinate di chi ci parlano, scuotendo la testa? Vi aiuto, non è l’ultimo fidanzato della Pellegrini.

Finiamo la giornata in un grande magazzino di Union Square a fare qualche foto dalla vetrata al quarto piano. Come ci sia voluto tutto il giorno è un mistero che non so spiegare, ma la sera c’è da andare a teatro!

Appuntamento a Chelsea, al McKittrick Hotel, un edificio trasformato fino a ottobre in un set dove si tessono le cupe trame di Sleep No More, decisamente lo spettacolo più accattivante cui abbia mai partecipato: arrivi e ti mettono una maschera bianca col becco, da signore veneziano, ti dicono di non parlare con nessuno e ti infilano in un ascensore dopo averti separato dagli amici; quando si aprono le porte non c’è l’orgia di Eyes Wide Shut, ma un edificio su quattro piani in cui sono stati ricavati giardini, stanze, uffici, un manicomio, un salone da ballo e un mucchio di altri ambienti tetri in cui sei libero di girare e mettere le mani. Letteralmente. Puoi aprire cassetti, armadi (in uno c’è anche un passaggio segreto), leggere le lettere e raccogliere indizi per legare insieme le scene cui assisti in giro per l’edificio. Devo dire che, per mio limite, le scene fra attori sono state l’aspetto negativo di tutto lo spettacolo: lentissime, prive di dialogo e quasi sempre risolte in una specie di balletto con i protagonisti che saltano sui mobili; inoltre la libertà di muoversi all’interno della scena diventa un ostacolo per gli altri spettatori, che spesso si trovano a dover sgomitare per capire cosa stia succedendo. Dovessi rivederlo, e lo rivedrei volentieri, eviterei di ciondolare per il palazzo finendo per caso in qualche situazione, ma seguirei un personaggio dall’inizio e guarderei la storia attraverso i suoi occhi. Magari la fattucchiera, che mi ha già baciato una volta, metti che ci esca qualcosa di interessante.

La notte sogno omicidi al rallentatore, ma perlomeno Godzilla non c’è.

(continua)

3 commenti

  1. Ma il Subcom non si è fiondato a manifestare con i dipendenti del fastfood? E come ha ripartito le sue monetine? E non ha tenuto dei comizi in Central Park? E tu non hai abbandonato il tuo libro su qualche panchina, che tanto poi col traduttore di google si fa il resto?
    Adesso mi guardo le foto

    1. Il mio libro (e quelli di altre due tre persone) l’ho abbandonato in Italia fra Milano Centrale e l’aeroporto di Linate. Le foto sono solo quelle funzionali al blog, tutte le altre le metterò al ritorno. Sono tante, vanno ancora scremate e su qualcuna devo mettere mano a photoshop o a qualche programma di fusione. Non è che lo Shuttle riesci a farlo stare in una foto sola..

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