I’m afraid of americans

Le pratiche per ottenere il visto per gli Stati Uniti sono lunghe e difficili, soprattutto quando devi partire da zero col passaporto. Molto difficili. Così difficili che se ne fa cenno in antichi testi greci, in merito alle dodici fatiche di Ercole quando il semidio, dopo avere sconfitto l’Idra di Lerna, partì alla ricerca di una cabina per fare le foto certificate.

Dai documenti forniti dalla Questura pare che la foto debba avere caratteristiche specifiche, non devi avere il cappello in testa, fare smorfie, sorridere, essere serio, incazzato, guardare dall’altra parte, avere gli occhiali storti, pensare ai cazzi tuoi, esserti alzato tardi e devono essere trascorse almeno tre ore dall’ultimo pasto.

Gli apparecchi abilitati a questo tipo di documenti ti fanno la foto e poi la limano, correggono tutti i difetti e infine stampano una riproduzione di te che somigli a Liz Taylor e quasi quasi per natale ti regali un lifting. Oppure divorzi.
A Genova cabine prodigiose ce ne sono poche, una in stazione Principe, ma ci è andata ad abitare una famiglia di tunisini, non vedono di buon occhio gli sconosciuti che si fanno la foto nel loro soggiorno; qualcuno dice che un altro apparecchio si trovi in centro, ma non si sa bene dove, chi dice in Corso Torino, chi in Piazza Dante, chi sostiene di averlo visto in Via XXV Aprile in una notte di plenilunio.

Per fortuna nei giardinetti di Busalla ce n’è una in buone condizioni, ed è lì che mi trovavo ieri sera dietro insistenza della fidanzata, il Subcomandante Marzia.

“Ma sei sicura che non vada bene una foto qualsiasi?”
“Dobbiamo affidare le pratiche per entrare nel Paese più paranoico del mondo al corpo più inaffidabile d’Italia, sei davvero sicuro di volerti fidare?”
“Beh.. in effetti..”

Fuori dalla cabina staziona un “losco figuro da Lonely Planet” (la guida più venduta nel mondo nutre un vero e proprio terrore verso gli individui che camminano a testa bassa nei quartieri meno frequentati, li addita spesso come malintenzionati e vi consiglia di non uscire con del denaro in tasca. Tuttalpiù, se volete prendervi un caffè, potete sempre ricorrere al borseggio), ma non abbiamo timore, perché abbiamo portato con noi il Feroce Jack, la belva sanguinaria, terrore delle postine, incubo dei gatti, che però adesso tira come un dannato per andare a correre in mezzo alla strada.
Astuto come una faina non l’ho detto, vero? Beh, c’è un motivo.

In ogni caso non mi fido, anche se il tizio col cappuccio della felpa tirato su sembra più un bimbominkia che gioca col cellulare potrebbe essere un subdolo rapinatore che ha applicato alla cabina un dispositivo che spruzza un potente narcotico quando premi il bottone verde, così da poterci addormentare e poi spogliarci dei nostri beni in tutta tranquillità. Mando avanti Marzia, in fondo se siamo qui è colpa sua.

Mette i soldi, schiaccia il bottone, segue le istruzioni, si mette in posa, rischiaccia, aspetta, non perde i sensi, bene! Quando esce e mi mostra il risultato ho la prova che quell’apparecchiatura è prodotta da qualche centro estetico: l’espressione neutra di Marzia è la stessa di un bulldog cui abbiano tirato indietro le guance, ma nella foto che tiene in mano c’è Liz Taylor ai tempi di “La Gatta sul Tetto Che Scotta”, con tanto di occhi viola.

“Incredibile!”, esclamo, “Ti ha raddrizzato gli occhi!”
“Eh si, ha corretto anche quel lieve difetto al naso che..”
“E quell’orrendo porro che hai in mezzo alla fronte non c’è più! E neanche la mascella sporgente! E i pelazzi neri a unire le sopracciglia! E i brufoli! E i capelli unti! E..”
“La pianti?”

Mi siedo sullo sgabello con la fiducia di una casalinga che vota forzaitalia perché gliel’ha detto Ambra in televisione, ma quando esco ho la faccia della stessa casalinga diciassette anni più tardi.
Nelle foto che tengo in mano non ci sono io, la persona che è ripetuta otto volte in diverse misure ad alta definizione non mi somiglia neanche un po’. È Liz Taylor. Come sarebbe oggi se ne riesumassi il cadavere.

“Spero che la polizia me la accetti lo stesso.”
“Spero che la polizia non ti arresti come sospetto terrorista.”

4 commenti

  1. Ho pensato che era ora di linkarti nel mio blog col nuovo indirizzo, ma visto che è da un mese che non scrivi non perderò il mio tempo.

    P.s. non ho ancora capito chi o cosa siano i bimbominkia

    1. Eh, avevo da finire un libro, e poi sono una persona molto impegnata.. e mio padre è rimasto chiuso nell’autolavaggio.. si, insomma, le cavallette.. Tu però aggiungimi, che non si sa mai, metti che scopro come si fa a modificare il template e mi faccio un blog fighissimo e ci scrivo tutti i giorni e divento una blogstar e mi chiamano a scrivere su qualche sito di opinione un po’ alternativo, tipo il post, o il washington post, che non è alternativo, ma magari ci scrive uno che il suo sogno era assumere in redazione il mio omonimo argentino che per quanto ne so scrive tantissimo e per sbaglio lo ha chiesto a me e quando se n’è accorto oramai non poteva più tirarsi indietro. In un caso del genere tu puoi dire di essere linkata al mio blog già in tempi non sospetti, e questo farebbe di te una privilegiata guardata dai niubbi (che sono come i bimbominkia ma senza gli sbrilluccichi) con un rispetto tale che potresti anche andare in giro senza macchina fotografica da trenta chili e passa e tutti si volterebbero a guardarti e a darsi di gomito lo stesso. Fai tu.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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