Diario portoghese 5 – Questi posti davanti al mare

19/08/2010

Instant Carmo
È una nuova mattina nella città di Porto, il sole tarda a mostrarsi, ma non ci preoccupiamo, l’ha fatto anche ieri, lo fa tutti i giorni in questa città vista oceano, poi pensi che pioverà, esci pesante e dopo un quarto d’ora ci sono trentasei gradi e tutte le piastrelle che ci sono appiccicate ai muri ti riflettono il sole negli occhi, e passi il resto della giornata cieco e sudato. Poi verso le tre, tremmezza muori disidratato.

In questa cupa mattina io e il Subcomandante Marzia abbiamoancora da vedere delle robe, così usciamo prestissimo dalla stanza, tipo le novemmezza, e andiamo a fare colazione, poi rompiamo ogni indugio e usciamo. Per fare la seconda colazione.
E si perché con tutte le pastelerie che ci sono in giro non puoi prenderti almeno un krapfen gigante, una roba con la panna, qualcosa..

Alla fine del pranzo, che le calorie assunte con un dolcetto basterebbero a tener su una squadra di calcio, scarpiniamo fino all’Igreja do Carmo, che non è lontana da dove ci troviamo.

La Santa Guida è rimasta affascinata dalle pareti esterne decorate ad azulejos, merita la visita!”, mi dice la fidanzata, stranamente disponibile verso il clero. Non discuto, si vede che la cena della sera precedente le ha abbattuto le difese immunitarie.

Le dura il tempo di arrivarci davanti e scoprire che la chiesa ha una sorella siamese da cui è separata solo per un vicoletto strettissimo: la Igreja dos Carmelitas.

Eccheccazzo, una non gli bastava?”, protesta, ma entriamo lo stesso. La vista degli azulejos ha un effetto rilassante su di lei, devo ricordarmelo quando torneremo a casa, magari ci arredo la cucina, così la smette di strillare se rovino la cena.

La chiesa all’interno è spoglia, tranne l’altare superaccessoriato, pesante come il trucco di una soubrette, e per entrare devi superare la prova tossico.
C’è infatti in strada un tizio chiaramente segnato dagli stupefacenti che fa la guardia ai passanti, ostentando noncuranza come può farlo uno che vive la sua vita in grassetto maiuscolo: sta appoggiato a un palo cercando di fischiettare e butta la testa velocemente di qua e di là per vedere se qualcuno si avvicina alla chiesa. Appena ne becca uno parte come un razzo e si fionda ad aprirgli la porta, mostrandogli contemporaneamente il bicchierino per l’elemosina. L’ingresso della chiesa ha due porte, e per evitare che il potenziale cliente imbocchi quella senza portinaio il nostro amico marcione lo invita bruscamente a passare dalla sua parte.
Se passi di là lo stesso non succede niente, ti aspetta all’uscita e ripete la scena.

Eletrica salsa (ba-ba ba-ba)
Ci allontaniamo ignorandolo e puntiamo verso il fiume, tanto per cambiare, ma stavolta da una via diversa, che dovrebbe portarci più a valle. Abbiamo deciso infatti di andare a visitare il borgo di S
ão Pedro da Afurada, luogo di pescatori che immagino pieno di graziose casette di legno e strade di pietra, con gatti e reti stesi al sole, uomini cui il mare e il sale hanno disegnato la faccia come la mappa di un tesoro, bar tenebrosi da cui senti venir fuori le più truci canzonacce, donne di malaffare, coccodrilli con una sveglia nella pancia, botteghe di protesi a forma di uncino.
Sono tutto eccitato, ho già in programma di comprarmi una pinta di rum e dividerla con quattordici individui in un’impresa di pompe funebri, ma se non dovessero esserci bottiglierie ad Afurada non importa, sono sicuro che almeno un jolly roger riuscirò a portarmelo via, anche a costo di tirarlo giù dal pennone.

Cammina cammina arriviamo sulla strada che costeggia il fiume. Siamo un po’ oltre la Ribeira, ma non così vicini a dove vogliamo andare. Davanti a noi si erge massiccio il vecchio deposito dei tram, ora adibito a museo. Qualcuno ci ha detto che è bello, la Santa Guida ne parla bene, ma vuoi mettere un tram con un giro di chiglia? Non esiste, voglio i miei pirati!
C’è una fermata dell’autobus con due controllori che ci spiegano la strada per il borgo di pescatori: dobbiamo prendere il tram fino al ponte da Arràbida e poi cercare un passaggio per attraversare il fiume. S
ão Pedro da Afurada è subito di là.

Un passaggio? Non mi ci vedo proprio a fare il navistop”, protesto.
Ma no, vedrai che ci sarà un traghetto”, mi rassicura Marzia, ma ormai mi sono fatto il mio film sulla pirateria, e sono convinto che qualunque battello diriga su Afurada sia carico di gaglioffi pronti a rapinarci.
Piantala! Non ci sono pirati ad Afurada!”
Essì, stai a vedere che hanno tutti windows originale!”
Nessuno di quelli con la benda sull’occhio, almeno!”
Staremo a vedere..”

Ci sono diversi autobus che portano in quella direzione, ma la cosa che vediamo sferragliarci incontro non appartiene alla categoria dei mezzi su gomma. È giallo, piccolo e panciuto, diresti che la fermata precedente l’abbia fatta dentro un cartone animato, e ogni volta che fa una curva hai l’impressione che debba ribaltarsi sulla schiena come una tartaruga.
È il vecchio tram che abbiamo incontrato sotto la Igreja dos Clerigos, e che adesso ci porterà alla nostra destinazione. Per i portoghesi il tram si chiama o elétrico, come fai a non volergli bene a un popolo che parla così?

Sul tram non c’è molta gente, possiamo sederci vicino al finestrino e scattare qualche foto del paesaggio, ma la vera attrazione sarebbe l’interno, perfettamente conservato, ancora con gli spaghi appesi al soffitto per suonare il campanello della fermata.
Non che fuori ci sia molto da vedere, dall’Atlantico sta venendo su un nebbione da paura, il Douro è immerso in una coltre bianca che ci impedisce di vedere perfino il ponte.
Capiamo di essere arrivati alla nostra fermata quando il tram supera il suo pilone di cemento, e a quel punto scendiamo.
E non c’è niente.
Ochei, c’è un bar su una palafitta che ha l’aria di essere piuttosto fico, oltre che chiuso, e alle nostre spalle dei brutti palazzi aspettano di essere completati, ma a parte l’aspetto di periferia dismessa non c’è altro, solo una banchina con una signora seduta a pulire un pescione e un altro tizio seduto per terra che dondola i piedi sull’acqua.
Nessuno dei due ha la benda sull’occhio.
Nessuno dei due ha la gamba di legno.
Nessuno dei due ha pappagalli sulle spalle.
Maledizione.

Questi posti davanti al mare
Nel nostro portoghese stentato chiediamo notizie del traghetto, e la signora, senza voltarsi, sempre col coltello in mano, ci indica la nebbia.

Vuol dire che il traghetto è stato inghiottito dalla nebbia con tutto l’equipaggio e che presto faremo la stessa fine anche noi. Scappiamo!”
Ma no, idiota, vuol dire che sta arrivando, non lo vedi? Eccolo!”

Infatti il traghetto arriva, col suo borbottio placido attracca e fa scendere i passeggeri. Da qualche parte ne spuntano altri che attendono di salire, un paio sono gli stessi che ho appena visto scendere, si vede che a casa non hanno la televisione e si divertono così, facendo avanti e indietro. Il biglietto costa un euro e c’è solo un canale, alla lunga gli conviene abbonarsi a sky.
Sale anche la signora, che si piazza sul ponte e ricomincia a far andare il coltellaccio. Ma non ce l’ha una cucina dove fare questi lavori? Si vede che qui il traghetto è un po’ come la piazza del paese, ci si ritrovano quelli senza cucina, quelli senza televisione, e a giudicare dai giornali che adocchio in cabina deve svolgere anche le funzioni di edicola.
Sono quotidiani sportivi, cosa che mi fa pizzicare il senso di ragno. Ci trovo un paio di notizie che mi fanno sentire odore di casa, ma niente di più; torno a sedermi sul ponte e scatto qualche foto al nulla.
La traversata dura qualche minuto, ed è il tempo sufficiente perché la nebbia sparisca. Quando arriviamo di là è una bella giornata di sole, i pescherecci stanno rientrando in porto e non c’è nessuna faccia da bandito per strada, nessuno che canti canzonacce, niente di niente.

Afurada è un paesino di case basse dall’aspetto moderno, parecchio anonimo, disposte in lunghe file ordinate. C’è qualche negozietto, c’è un piccolo mercato, un paio di ristoranti, ma niente di più.
I pescherecci si, quelli sono interessanti, circondati dai curiosi e da uno stormo di gabbiani in preda a un’agitazione frenetica. Stanno scaricando secchi di pesce, prevalentemente sardine, e i pennuti saltellano qua e là in attesa di potersi buttare sugli scarti. Una volta terminato lo scarico i pescatori se ne vanno e i gabbiani assaltano il battello: in mezzo alle reti ammucchiate sul ponte sono rimasti piccoli pesci, qualche granchio, che vengono subito contesi a beccate. Gridano e si pestano e fanno un gran casino: alla fine li ho trovati i miei pirati, non hanno la benda sull’occhio ma in quanto a uncini sono ben accessoriati.
Però che delusione queste strade tutte pulite e piastrellate, dove ritrovare un po’ dell’antico spirito?

Guarda che è un borgo di pescatori, non di pirati. Sei tu che ti fai dei film!”, mi rimprovera la fidanzata.
Perché, forse che i pirati non andavano a pesca?”, replico, seccato.
I pirati abbordavano le navi, che pesca!”
E cosa mangiavano, oro? Pescavano, te lo dico io! In ogni covo di pirati c’erano dei pescatori, quindi per il principio zero della termodinamica in un villaggio di pescatori devono trovarsi anche dei pirati, è lapalissiano!”
Il principio di che?”
Non lo so, vaneggio.”
Ma vaneggi male! Se fosse come dici tu allora i pirati avevano anche bisogno di vestiti, quindi in ogni città in cui ci sia un negozio di abbigliamento dovrebbero esserci dei pirati! Sarebbero ovunque, scusa!”
Mai affermato il contrario.”
E allora perché non consideri anche Genova una città di pirati?”
Certo che lo è, e lo dimostrano i prezzi nelle vetrine. O i ristoranti, vai un po’ a vedere quanto ti mettono una pizza e poi dimmi se Genova non è una città di pirati.”
Però a Genova non cerchi persone con la benda sull’occhio e il pappagallo sulla spalla.”
Perché in un centro così grande lo stereotipo del pirata si è disperso nella folla, è come il succo di arancia concentrato che ti danno all’ostello di Lisbona: se ci aggiungi un po’ d’acqua è buono, se ce ne metti troppa come fanno loro ottieni un liquido torbido dal sapore disgustoso che mai più ti farebbe pensare all’arancia, sebbene sia l’ingrediente principale.”
Hmm..”

Parlando e camminando arriviamo senza accorgerci a un edificio sul limitare dell’abitato, con una selva di bastoni a reggere delle corde: è il lavatoio pubblico, lo dimostrano le tante vasche all’interno, i panni stesi ovunque a sbattere al vento e soprattutto la signora incazzata che sfrega una maglietta sulla pietra e smadonna in portoghese. È un bel quadro da incorniciare questa donna che lavora coi mutandoni appesi dietro di sé e l’oceano sullo sfondo. Peccato per l’audio.

Senza la nebbia possiamo vedere bene l’orizzonte che credevamo già atlantico, e provare disappunto nello scoprire che non è affatto così. Una diga foranea imbriglia la foce del Douro, impedendo al mare di entrare a fare casino, ma anche a noi di inebriarci di infinito, e a Marzia questa cosa proprio non va giù. Dice che lei ha nuotato nel Pacifico, ma l’Atlantico lo ha sempre solo visto in televisione, e prima di tornare a casa vuole pucciarci i piedi dentro, anche a costo di andare fino al bagnasciuga a piedi.

In che direzione è questo maledetto oceano?”

Le indico una lingua di sabbia che emerge in fondo alla strada. Con tutta probabilità oltre le dune c’è l’Atlantico. O un posteggio.

E allora andiamo! O hai fame?”
No no, è ancora presto, andiamo pure a vedere l’oceano”

In realtà sono le undici e mezza e ho una fame che mangerei una tonnara. Girando per il paese abbiamo comprato un pezzo di pane locale dall’aspetto invitante, ma pesa come se fosse impastato col granito, ogni boccone che mando giù precipita nello stomaco con rumore di ghiaiaio.

1 commento

  1. bé, ti lamenti? un bel pane pesante è il miglior modo per far passare la fame senza soddisfare il palato. tu si che sei un intenditore!

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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