che niente

Che certe volte cominci a scrivere e poi devi piantare lì perché è ora di andare a lavorare, e allora te ne vai, ma ti resta una specie di roba dentro che non sai identificare, e ti fa lavorare con l’umore immerso in una specie di colla appiccicosa, tipo marmellata, e magari un po’ di musica migliorerebbe sensibilmente, solo che la musica al lavoro non ce l’hai, ma a pensarci bene non credi cambierebbe granché, che quando sei di quest’umore lì non lasci finire una canzone, e sei sempre dietro a schiacciare effeeffevudì per sentire se quella dopo ti farà più piacere.

E allora rimandi a quando torni a casa, ma quando torni a casa ci sono altre cose da fare, da dire, da vedere, e viene l’ora di cena, e con la pancia piena quella sensazione si è un po’ attenuata, potresti anche buttarci su un film e sei sicuro che passerebbe, poi ti fai una doccia, te ne vai a dormire, e domani che è festa..

Solo che lo sai come funziona, il libretto delle istruzioni lo conosci a memoria, l’hai scritto tu, se lasci depositare la marmellata domani te la ritrovi impastata alla faccia, e non c’è sapone che tenga, ti inchioda lì a scalpellartela via martellando sulla tastiera, le casse alte che ti piantano note sullo sterno, il cane che ti implora di portarlo a pisciare e tu che gli rispondi in malomodo di tenersela, o almeno di imparare ad aprirsi la porta, che quando ti prende male è male per tutti. E allora lascia che mi metta qui dieci minuti, apra il rubinetto un filo e la lasci venir fuori lentamente, evaporare incolore nella stanza, fintanto che aspetto che la salma finisca il suo fumetto e mi dedichi qualche attenzione.

C’era una volta nel lontano paese senza le virgole un bambino privo di cervello ma con due grossi occhiali colorati che a guardarli da vicino potevano dare l’idea che oltre gli occhi ci fosse qualcosa di misterioso e che la maggior parte delle persone attribuiva a una profonda intelligenza mentre quel bambino sapeva benissimo che dietro i suoi occhi non c’era proprio niente e lo dimostrava il fatto che quando si voltava di scatto gli entrava l’aria dalle orecchie e si sentiva un fischio che al bambino piaceva e certe volte lo faceva apposta per sentir fischiare e quelli che lo vedevano stavano un po’ a pensare se per caso quella sensazione di profonda intelligenza non fosse solo un frutto della loro immaginazione perché un bambino che scrolla la testa così o è stupido perso o ha le spighe nelle orecchie come i cocker però il bambino non se ne curava e soprattutto non se ne curava quel giorno che stava andando a trovare suo nonno che gli aveva promesso di regalargli un cimelio di quando aveva fatto la guerra e il bambino sperava che quel cimelio fosse una porterei perché suo nonno aveva fatto il militare in marina ma non quella americana e difatti su una portaerei non c’era mai salito perché nella marina svizzera dove aveva prestato servizio lui l’avevano imbarcato subito su una capra e l’avevano fatto arrampicare su un monte con una radio e avvisare se vedeva arrivare i tedeschi che attraversavano il confine per andare a fregarsi la cioccolata che quella era la paura più grande per gli svizzeri perché non sapevano che i tedeschi avevano già deciso di invadere il piemonte perché secondo loro la cioccolata della novi era molto più buona e difatti molti anni più tardi un pubblicitario tedesco aveva fatto quella pubblicità dei due alpinisti che si incontrano in montagna e uno assaggia la cioccolata dell’altro e poi gli chiede se è sfizzera e lui gli risponde no novi come avrebbe potuto confermare il bambino che quella pubblicità lì la conosceva benissimo e la raccontava a tutti i suoi compagni di scuola e poi si faceva fischiare le orecchie e loro se ne andavano battendosi un dito sulle tempie ma il bambino non si sentiva mai solo perché quando questo succedeva lui mollava tutto come quel giorno lì e andava a trovare il nonno sperando di farsi finalmente regalare quella benedetta portaerei e non come l’ultima volta che gli aveva regalato una mela e l’aveva fatto andare e lui si era offeso di brutto e la mela gliel’aveva restituita tirandogliela contro la finestra della cucina e il nonno era spuntato e gli aveva gridato mascalzone se ti prendo e il bambino era scappato e ora stava tornando a trovarlo ma non aveva paura della collera del nonno perché il nonno soffriva di alzheimer e dopo venti minuti si era dimenticato tutto anche come si chiamava il bambino che tutte le volte doveva ripetergli che si chiamava Arturo e si sentiva rispondere Arturochi e lui gli diceva Arturo quello che gli devi dei soldi e il nonno scuciva e il bambino era rincoglionito ma aveva capito che facendo così ci poteva guadagnare e infatti piano piano gli stava fottendo tutta la pensione e il conto in banca ed era così estasiato a pensare al suo futuro di bambino ricco con le orecchie che fischiano che non si avvide che dal terreno era saltata fuori chissà da dove una virgola, e lui ci inciampò dentro e cadde battendo la testa e morì.

6 commenti

  1. Certe volte non ho granché da dire, mi metto lì e scrivo per vedere se qualcosa viene fuori, che poi lo so che qualcosa da dire ce l'ho sempre, solo che magari non so come dirlo, e qualche volta alla fine trovo anche il modo di dirlo, e a quel punto non si nota più che avevo cominciato tanto per cominciare, e son tutti contenti. Un po' come scrivere a qualcuno e firmarsi, poi viene la volta che ti dimentichi e sembra che l'hai fatto apposta perché volevi criticare, e invece ti sei solo dimenticato di dire chi sei, ma oramai l'hai fatto e chi passa e vede dice "eh ma così son buoni tutti".

Rispondi a spasskyAnnulla risposta

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.