è la Liguria una terra leggiadra, il sasso ardente, l’argilla pulita, e dei sentieri ripidi dove sbuffi come una locomotiva

Grande trasferta dell’E.C.L.N. quest’oggi, un’escursione premio alle Cinque Terre come ricompensa per non avere spaccato più niente negli ultimi tre giorni. El Bastardo era fra i premiati, ma è rimasto a casa a sorvegliare i suoi croccantini, perché dice che poi arriva quel randagio di merda e glieli frega. Poi si sa che i gatti e l’acqua non vanno granché d’accordo, e da quelle parti acqua ce n’è ben ben.

Restiamo io e il Subcomandante, a scarpinare per i sentieri da Riomaggiore a Vernazza. L’idea era di concludere a Monterosso, ma una spiaggia a metà itinerario ci ha obbligati a fare delle scelte: fare un bel bagno e rilassarsi un paio d’ore o arrampicarsi su per una scalinata da capre in mezzo alle rocce col sole a picco? Si conclude a Vernazza, punto.

Il primo tratto è semplice, sembra la passeggiata di Nervi più stretta e traboccante di tedeschi, da Manarola a Corniglia si va via bene, anche se la scalinata finale rompe un po’ le balle, l’ultimo pezzo è più insidioso, ma ce la puoi fare benissimo. A meno che non lo affronti da Vernazza in scarpette ballerine e borsetta, come ha fatto una squilibrata che abbiamo incrociato insieme al marito.

A Vernazza delle turiste d’alto bordo, o così tentavano di vendersi, interrogavano una vecchietta su quanto l’impatto dei turisti abbia cambiato le abitudini locali. Questa poveretta se ne stava su una panchina a godersi il fresco, cercando di non farsi travolgere dalla fiumana romanomilanese che le scorrazzava davanti. Mi piace pensare che il suo primo impulso sia stato di rispondere:
“M’ei ruttu u belin tutti quanti, nu possu ciù anà a cattà che me tucca fà n’ùa de cùa perché ghe sei vuiatri, nu possu ciù tegnì u barcùn avertu perché chì sutta fèi in casin du sacramentu, se vegnu zù duì menùti me vegnì a rumpì a mussa cun e vostre belinate, e a vostra amiga chi a me s’è assettà in sciu’u baccu, e se a ne se leva d’in ti pè ghe gìu na mascà che a cacciu pè tèra!”
Ha risposto educatamente, si è fatta restituire il bastone e se n’è andata. In compenso la risposta in dialetto l’abbiamo intonata noi, seduti sulla panchina a fianco, ma le turiste curiose non hanno capito.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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